DICIASSETTE
Elisa varcò l’entrata signorile del numero
18 di via Mazzini, in quella strada di palazzi vecchi e antichi
dove era raccolta la buona società di Como.
Con l’ascensore arrivò al terzo piano e
trovò socchiusa la porta di legno chiaro che era al centro del
breve ballatoio.
«Perché così tardi, amore?»
Elisa si lasciò abbracciare e sbuffò con un
gesto persino elegante.
«Oggi Eleonora aveva la luna di traverso.
Non mi lasciava andare… le ho detto che andavo al tè di
Beatrice».
«Le telefonerà…» Intanto l’aveva aiutata a
togliersi la giacchettina e si era chinato a baciare il suo braccio
nudo.
«Non lo farebbe mai, non la conosci».
Finalmente si girò verso di lui e gli offrì la bocca, lasciando che
le accarezzasse il seno: anche attraverso la stoffa sentiva quelle
mani sul suo corpo, come se fosse nuda. «Mi ami?»
«Lo sai…» Le prese una mano e la spinse tra
le gambe, per farle sentire l’effetto di quel contatto. «Andiamo…
vuoi bere qualcosa?»
«No, voglio te…»
Si spogliarono di furia, senza alcuna
grazia. Nudi, sulla coperta di pelliccia del grande letto
matrimoniale, si abbracciarono, toccandosi, scorrendo a vicenda con
la bocca i loro corpi, agitando e intrecciando le gambe.
«Non ne posso più…»
«Sì, amore… sì, vieni… sì, amore».
«Dio… dio mio, siiì. Ti amo!»
Restarono a occhi chiusi, abbracciati, come
se mancasse ancora qualcosa. Le accarezzò la spalla con le labbra
ancora umide. «È stato meraviglioso, amore. Non ho mai amato in
questo modo nessuna donna… sei stupenda».
Se Elisa avesse avuto più esperienza avrebbe
saputo che questa è una frase che due uomini su tre dicono al
termine di un incontro amoroso, comunque concluso. Elisa invece gli
sorrise, sentendosi irresistibile, e si chinò a baciarlo, come lui
le aveva insegnato.
Sul divano, davanti al tavolino con
stuzzichini al salmone e al caviale e ai due calici di champagne,
Elisa si ricompose. Ritornò a essere la ragazza del castello.
«È arrivato Gilardi…»
«Gilardi? E tu come hai fatto a sganciarti
per venire qui?»
«Si è fermato da Carlo, dalla finestra ho
visto la sua macchina. Stasera è da noi a cena, ma Eleonora non ti
vuole».
«Mi sembra giusto».
Elisa lo guardò con sospetto, le sembrò un
po’ troppo consenziente. «E tu che cosa farai?» domandò alzando il
mento.
«Ora tornerò in ufficio, poi andrò a cena al
mio solito ristorante, e tornerò qui… che cosa vuoi che faccia dopo
tutto questo?»
«Se so che mi tradisci, ti uccido: ricordati
che ho buona mira».
«Amore, mi hai distrutto… non ci riuscirei
neppure volendo. Tanto più amandoti… lo sai che ti amo,
vero?»
«Spero di sì».
Sante la distese sul divano e si chinò a
baciarla. Fecero ancora l’amore, un po’ scomodi ma rassicurati: per
quella notte Elisa poteva stare tranquilla, Sante D’Urso non
l’avrebbe tradita. «Quando torni, amore?»
«Domani sarà difficile, soprattutto se
Massimo si ferma da noi. Ti telefono…»
«Non quando sono in ufficio, ti prego. Non
posso risponderti».
«Va bene… ora però devo andare, altrimenti
Eleonora si agita. Quand’è che ci sposiamo?»
«Prima devo risolvere il caso di tua
sorella. Quel tizio con il cappotto nero, quello descritto dal
vostro cameriere, è solo un truffatore che deruba anziani
intrufolandosi in casa loro. Per la notte in cui tua sorella è
stata uccisa ha un alibi di ferro».
«E io che cosa c’entro con il caso di mia
sorella? Sono in lutto, ci sposiamo in municipio, la facciamo breve
e non quella pagliacciata di Elena e Carlo, e io mi trasferisco
qui. Risolto il caso, penseremo alla casa, all’eredità, al viaggio
di nozze, alla tua carriera… che cosa dobbiamo aspettare? Io non ne
posso più di avere sempre mia sorella che guarda quando esco,
quando ritorno… sembra che mi legga in faccia che sono stata a
letto con te, che ho fatto l’amore, che sono felice… Mi sembra
persino invidiosa che io sia allegra, lei che prega e sospira tutto
il giorno. Non sa, e non lo saprà mai, come è bella la vita».
Sante D’Urso era in piedi, davanti a lei, si
era rimesso i pantaloni e ora stava infilandosi la camicia. «Ha
molte responsabilità» disse, cercando di farla rivestire, perché
ora aveva premura di tornare in ufficio.
«Se le è prese, le responsabilità… scusa, mi
allacci la cerniera sulla schiena?»
Sante si chinò a baciarle la schiena nuda:
malgrado non fosse una ragazza, Elisa aveva un bellissimo seno e
non portava reggiseno quando veniva da lui. «Le piacciono le sue
responsabilità, ha in mano l’intero patrimonio, ma dovrà darmi
quello che ha dato a Elena, e non è poco». Gli sorrise. «Che ore
sono?»
«Le sette meno dieci. Ora vai,
tesoro».
«Sì… poi ti dico se ci sono novità. Se
Massimo è venuto qualcosa significa».
«No, lui non può sapere niente che non
sappiamo anche noi e che non sia uscito dal mio studio. Sarà una
visita affettuosa, vedrai. Comunque assecondalo, lui non ama
discutere».
«Tu, sì?» Erano sulla porta, e Elisa lo
baciò. «Tu, sì, amore?»
Si ritrovò in ascensore da sola. Come una
puttana, pensò con rabbia. Non le piaceva quel rapporto di sesso,
che finiva sulla porta di casa. Un bacio e arrivederci alla
prossima volta.
Voleva passare qualche notte con Sante. Una
breve vacanza insieme, anche se ora, con quella faccenda di Elena
da risolvere, si rendeva conto che fosse impossibile.
Voleva capire come sarebbe stata la loro
vita insieme, invece di salutarsi dopo aver fatto l’amore per
tornare in quell’orribile castello con Eleonora inconsolabile, e
riprendere tra le mani una vita inutile fatta di armadi pieni di
vestiti e di scarpe e di pellicce che non poteva indossare, di un
lusso modesto del quale Eleonora sembrava vergognarsi.
Voleva far presto. Avrebbe fatto
presto.