QUATTORDICI
Trovarono Beppa in cucina, con un gran
grembiule bianco di plastica, come quello dei pescivendoli, che la
fasciava dal collo alle caviglie, mentre sul lavello stava pulendo
e spezzettando un pentolone di verdure.
«Cosa ci manca?» domandò, girando appena la
testa.
«Chiudi l’acqua e mettiti quieta, perché
l’avvocato deve chiederti una cosa».
La donna alzò una spalla, come se la
faccenda non la riguardasse, ma obbedì. Chiuse il rubinetto e con
un gesto, che certo aveva ripetuto migliaia di volte, si slacciò e
si tolse il grembiulone. Sotto ne aveva un altro, più piccolo,
bordato di blu.
«Posso sedere?»
«Prego. Lei è nata qui?» E intanto le guardò
le mani, piccole, nodose, certamente più forti di quanto la sua età
e la sua statura facessero immaginare.
«Certo che sono nata qui».
Anche Gilardi e Carlo si erano seduti sugli
sgabelli attorno al lungo tavolo di legno lucido.
«Quanti anni ha?»
Gli rispose con una smorfia, come se non ne
fosse sicura. «Settantadue».
‘Ne dimostra cento’ pensò Gilardi. E le
sorrise. «E lavora ancora? Non le pesa?»
«Che cosa farei, sennò? Io sono venuta in
questa casa che avevo sedici anni. L’ho visto nascere, il Carlo. E
ho servito i suoi genitori, come usava allora, e adesso lui e la
povera signora…»
Elena era diventata ‘la povera signora’.
Gilardi cercò le parole per porre la domanda, chiedendosi come
Beppa avrebbe reagito.
«Conosceva anche Elena da tanto
tempo…»
«Da quando è nata. Io ero qui quando il
principe…»
«Il principe?» la interruppe Gilardi.
«Così si chiamava il padrone del castello,
che ha sposato la baronessa… io ero qui».
«Ha visto il matrimonio?»
«Ma che cosa dice? Qui è arrivata sposata…
secondo lei si sposava in questo paese di poveri contadini? Un
matrimonio come quello di Carlo non si era mai visto prima, da ’ste
parti. Cose da pazzi. La baronessa ci è arrivata sposata e…»
Allargò le braccia a cerchio davanti alla pancia e fece una
smorfia. «Mi capisce…»
«Era incinta» concluse Carlo. «Questa storia
me l’ha raccontata mia madre un mucchio di volte. Fu uno
scandalo».
«Perché, se era sposata?»
«Perché era sposata da tre mesi e la figlia
nacque dopo qualche settimana. Qui fu scandalo, ma tutti amavano il
principe, come lo chiamavano. E fecero finta di non fare i
conti».
«E nacque Eleonora» concluse Gilardi.
«E chi lo sa» disse Beppa, asciutta.
«C’era stato un figlio prima?»
«E chi lo sa, glielo ripeto. Non si è mai
capito. Andavano all’ospedale, in città, la baronessa non si
sgravava in casa, come le donne di qui. Lei andava all’ospedale e
tornava con il fagottino. Rosa, perché era femmina».
«Quindi Eleonora».
«Si diceva che il primo era stato maschio,
ed era morto».
«Quindi la baronessa non è arrivata qui con
il fagottino rosa…»
«Senta… lei è avvocato? Sì? Allora senta,
provi a capirci lei».
«La cosa che mi sembra più probabile è che
si trattasse di due gemelli, un maschio e una femmina, e che sia
sopravvissuta soltanto la femmina. Cioè Eleonora».
«Diciamo… ma la storia non è questa. Qui
raccontano un’altra cosa».
«Che cosa raccontano?» Era sul punto di
perdere la pazienza, ma capiva che in quel disordine di pensieri e
di parole c’era qualcosa che forse poteva diventare
interessante.
«Insomma… noi, qui, la baronessa con la
pancia non l’abbiamo vista mai. Stava sempre chiusa in casa, non
usciva…»
«Ma hai appena detto che è arrivata sposata
e con la pancia…»
La donna sbuffò e diede un’occhiata quasi
tenera alle verdure che aveva lasciato sul lavello. «Da me che cosa
vuole? Io le racconto quello che so. La pancia se la sono
immaginata quando è arrivata qui con il figlio, che non era
femmina, ma poi invece era Eleonora… o forse quell’altra. La pancia
l’hanno detto dopo, quando è nata la prima figlia, perché qui in
giro non l’ha mai vista nessuno».
«Neppure in chiesa?» domandò Carlo.
«In chiesa sì, ma sempre vestita che non si
capiva, sembrava sempre magra. Insomma noi non l’abbiamo mai vista.
Partiva e ritornava con una figlia».
Gilardi con un gesto fermò Carlo, che
sembrava innervosito dalle chiacchiere sconclusionate della donna.
E gli fece cenno di tacere.
«Me lo da un bicchier d’acqua?»
«Vuole acqua o le faccio…»
«Acqua, grazie».
Attese il bicchiere, si bagnò appena le
labbra. Quando capì che era passato un tempo sufficiente a calmare
la donna, che sembrava confusa e irritata da quei ricordi, le pose
finalmente la domanda che aveva rimandato di proposito. «Quale
delle tre sorelle non è figlia della baronessa?»
Beppa lo guardò con uno sguardo di traverso,
e alzò le spalle. «Lo chieda a loro. Lei non è un avvocato? E lo
chiede a me?»
«Quale?» insistette Carlo. «Era
Elena?»
«Forse era Elena, perché l’hanno scaricata a
te volentieri» rispose a mezza voce, quasi borbottando.
«Non sai quello che dici. Elena somigliava a
suo padre, e non l’hanno scaricata. Aveva la sua parte di
patrimonio, come le altre due, sono io che non l’ho voluta». E
rivolto a Gilardi, cambiando tono aggiunse: «Non ci sta con la
testa, non sa quello che dice, non le dare retta. Io ho rifiutato
il patrimonio di Elena, ma le avevano dato tutto, parte del
castello, i cavalli, soldi, titoli, palazzi in città, quadri di
valore, gioielli… In tre parti uguali, l’amministratore mi ha
mostrato i documenti. Non sa quello che dice».
«Va bene, grazie». Gilardi si alzò e
allungando il braccio le accarezzò una spalla. «Mi è stata
utile».
«Ci scommetto… non mi da retta nessuno,
quando parlo». Tornando al lavello e alle verdure, continuò a
borbottare sotto voce: «Che se la trovi lui la terza sorella, da me
cosa vuole, eh? Che se la trovi».
Quando furono nuovamente soli nella veranda,
Carlo versò del cognac in due Napoleon e uno lo porse a Gilardi.
«Mi dispiace, se avessi saputo che era questo che volevi sapere, ti
avrei avvertito. Questa è una storia che circola da anni…»
«Quale storia, di preciso?»
«Che una delle tre sorelle non sia figlia
della baronessa».
«Stravagante. E di chi sarebbe
figlia?»
«Di un’amante del principe. Appena nata la
bambina sarebbe stata portata qui e la baronessa l’avrebbe
accettata come figlia».
«Un po’ assurdo, ma non impossibile. Mi
dicono che non ci sono documenti al riguardo che contraddicano la
nascita di tutte e tre le figlie dagli stessi genitori».
«Così pare. Ma a te chi l’ha detto?»
«Ho le mie fonti. Non ti dimenticare che
sono stato poliziotto». Non avrebbe messo di mezzo D’Urso.
«I documenti del nostro matrimonio sono
regolari. Elena figlia di… madre e padre, il principe e la
baronessa».
«Sono tutti regolari. Se c’è una verità
diversa dovremo cercarla da qualcuno che ha buona memoria, non dai
documenti. Probabilmente non lo sanno neppure loro, perché i loro
documenti sono, per così dire, compiacenti».
«Stai scherzando, non sono stupide. Se si
tratta di Eleonora, non ci sono testimoni. Se la diversa è Elisa,
le altre due avevano, rispettivamente, otto e cinque anni: se lo
ricorderebbero. Se è Elena, Eleonora aveva tre anni. Forse sua
madre che va all’ospedale, che ritorna con la bambina, che
l’allatta… vuoi che non se lo ricordi?»
«Molto improbabile se hanno fatto di tutto
per nasconderglielo. Molto improbabile». Gilardi sorseggiò il
cognac e restò a fissare controluce il bicchiere che teneva in
mano. «Buono…» disse, con il tono dell’intenditore. «Buono…» Posò
il bicchiere sul tavolo che era in mezzo a loro e appoggiò le
spalle e la testa ai cuscini della poltrona.
«Tra loro tre quella diversa era Elena, sei
d’accordo?»
«Fisicamente sono tutte diverse una
dall’altra, da non sembrare sorelle. Anche nel carattere, ora che
le conosco un po’ meglio. Elena era allegra, intraprendente,
moderna…»
«Olga dice che si capiva che fosse diversa
dalle sorelle».
«Va bene, accettiamo l’idea che Elena fosse
diversa. Ma suo padre era lo stesso e sono tutte e tre diverse.
Eleonora è invecchiata anzitempo, ma è gentile, dolcissima: i
vecchi dicono che la madre fosse altera e scorbutica, molto
vanitosa, quindi non le somiglia. Elisa è scioccherella, direi la
meno intelligente e forse la più ambiziosa. E ora? Non avendo
conosciuto né il padre né la madre, come facciamo a stabilire a chi
somigliano? E sarebbe la prima volta che i figli non hanno
ereditato nessuna delle caratteristiche, persino somatiche, dei
genitori e invece hanno le stesse attitudini di un parente? Io, per
esempio, figlio di contadini ma con la moda in testa, da chi avrei
preso? Mi sembra una strada molto tortuosa: per arrivare a quale
conclusione?»
«Nessuna, hai ragione. Mi era arrivata
questa storia e mi aveva incuriosito. Se fossi uno scrittore di
gialli alla Simenon, sai come andrebbe a finire?»
«Sentiamo». E per la prima volta, in tutto
quel lungo pomeriggio, riuscì a sorridere.
«La figlia diversa è Elena. È una donna
ricca. Un parente della sua vera madre, che naturalmente è morta,
la raggiunge di notte, le rivela la verità e pretende la sua parte.
Al rifiuto di Elena, la uccide».
Simenon l’avrebbe scritto meglio.
«Un particolare: questo Simenon non
conosceva Elena, io sì. Lei gli avrebbe dato tutto quello che
aveva, purché noi due restassimo insieme».