DIECI
Diede un bacio in fronte a Olga e si girò a guardare la tavola apparecchiata.
«Scusa, amore: sono in ritardo?»
«Non più del solito».
«Allora andiamo a tavola». L’aiutò a sedersi, prese la bottiglia del vino e ne versò nel bicchiere di Olga, poi allungò il braccio verso il proprio: e in quell’attimo suonò il suo telefono.
Si diede una manata sulla fronte, aveva dimenticato di spegnerlo. Guardò Olga e con un gesto le chiese scusa, mentre Liciuzza portava in tavola la zuppiera fumante di spaghetti alle cozziche, rigorosamente senz’aglio, perché a Olga faceva male.
«Gilardi» disse a mezza voce.
«Mi scusi, avvocato. Sono Carlo Orsi…»
«Sono Massimo». Se doveva stare al telefono mentre aveva nel piatto gli spaghetti con le cozze, tanto valeva che ci stesse da amico e non da avvocato. Sorrise a Olga che sollevò la forchetta dal piatto, per comunicargli con quel gesto che lei avrebbe iniziato a mangiare.
«Grazie, scusami. Non so che cosa fare… mi stanno trattando come se sospettassero di me…»
«È normale. A che punto sono?»
«Non lo so. D’Urso mi interroga come se non mi conoscesse».
«È un buon poliziotto». Mise in bocca una piccola porzione di cozze e le masticò in fretta.
«Sì, certo, tuttavia la collezione sta partendo per l’America e non posso seguirla, deve andare una nostra collaboratrice che per fortuna seguiva il lavoro di Elena e parla bene l’inglese. Io verrei a Napoli, ma di sicuro non mi lasciano muovere…»
«Anche questo è normale». Capì dai gesti quello che gli stava dicendo Olga e fece di sì con la testa. «Senti, Carlo… ascolta. La prossima settimana portiamo i ragazzi nella tenuta di Olga, a Siena. Tu forse non potrai raggiungerci, ma io sì. Mi hanno telefonato anche le due baronesse, andrò ufficialmente da loro. Possiamo aspettare qualche giorno?»
«Certo, grazie… scusa. Certo, io sono sempre qui».
«Quando mi organizzo ti avverto, va bene?»
«Grazie, sai… sono disperato».
«Mi sei più utile calmo e ragionevole. A quello che mi risulta nei tuoi confronti non stanno facendo niente che potrebbe preoccuparti. Prassi normale, stai tranquillo. Ti avverto quando posso raggiungerti, e non parlarne».
«Neppure con Eleonora? È molto gentile con me, mi crede».
«Anch’io. Ma non dire a nessuno, neppure in fabbrica, che vengo a trovarti. Preferisco che resti una faccenda tra te e me, d’accordo?»
«Certo, grazie Massimo. Ti aspetto… Ti prego di abbracciare Olga da parte mia, Elena le voleva bene».
«Lo so. L’ha detto anche a me».
Quando spense il telefono e lo gettò sul divano con una mira ormai collaudata, chiese a Olga se avesse capito il senso di quella conversazione.
«Sì, certo… immagino che si sentirà assediato, trattato come un assassino».
«Ma no, che cosa dici? Si erano appena sposati, si amavano… perché dovrebbero credere che volesse sbarazzarsene?»
«Perché la gente è stupida, Max. E la stupidità è una brutta malattia, una malattia volgare, capace di generare mostri. Quanti hanno pensato che a lui quel matrimonio convenisse? Quanti hanno pensato che Elena non era una bella ragazza brianzola con tutte e due le gambe sane?»
Max restò con il bicchiere in mano a fissare per un attimo il vuoto, oltre la testa di Olga. «No, non è su questo che stanno lavorando, non ha senso. D’Urso non è stupido. È facile immaginare che di lei invece Carlo fosse innamorato, perché Elena era intelligente, buona, simpatica, capace di aiutarlo anche nel suo lavoro. Escludo che stiano procedendo su questa ipotesi. Avranno certo preso in considerazione il fatto che a lui era convenuto che Elena in quella casa e in quella fabbrica fosse arrivata da padrona, con il suo patrimonio e la sua cultura, ma nessuno ammazza la gallina dalle uova d’oro». Fece una smorfia. «No, escludo che stiano lavorando su questa ipotesi, sarebbe una inutile perdita di tempo».
«Sono d’accordo, e speriamo che se ne convinca anche lui: questo non gli ridarà Elena, ma almeno il rispetto e la pietà di chi gli sta attorno».
Le sorrise, mentre Liciuzza cambiava i piatti. Di fronte alla cianfotta di verdure fece una smorfia di consenso, era la sua preferita. Quelle due donne lo viziavano, ed era una magnifica sensazione.
Quando restarono nuovamente soli riprese il discorso.
«Mi ha detto che Eleonora è gentile con lui e gli crede».
«Ne sono convinta. Nessuno tra quanti erano presenti quel giorno al loro matrimonio può pensare che Carlo non fosse felice. Escluso lui, come probabile colpevole, allora la faccenda si complica, avvocato». Le piaceva che Max accettasse di parlare con lei del proprio lavoro, anche se in modo superficiale, soprattutto quando si trattava di casi che la cronaca aveva resi pubblici. Gli sorrise. «Quanti, in un paese sperduto dove tutti conoscono tutto di tutti hanno accettato quel matrimonio? Un piccolo mondo dove le tre sorelle sono un’eccezione quasi maledetta e fuori posto? Accettabile finché se ne stanno a casa loro, ma Elena aveva sbagliato, era uscita dal suo guscio dorato e aveva preso l’uomo dal pomo d’oro. Elena aveva invaso il loro campo. Elena era un errore da cancellare».
«Tutti assassini?»
«Tutti no, ma uno, sì».
«Uno di loro? Uno qualunque?» Fece una smorfia. «Per uccidere, e in quel modo, bisogna avere una ragione che superi tutte le altre. Che superi tutte le ragioni degli altri… Qui non c’è condivisione. È il gesto meditato di qualcuno che vendica se stesso, non la comunità». Assaggiò una forchettata e fece una smorfia di piacere, passandosi la punta della lingua sulle labbra. «Ora però lasciami gustare ’sta verdura, una benedizione…»
«Ingrasserai…»
«Dopo andiamo in piscina e ci dimentichiamo di tutti, anche di questa cianfotta… hai sentito come ci sta il basilico? Un profumino appena».
«Ma da quando sei diventato così goloso?» gli domandò ridendo.
«Da quando amo te!»