Eleonora
L’ultima volta in cui avrebbero fatto la prima colazione insieme nel salottino al piano dove erano le loro camere da letto. Il tavolo centrale apparecchiato come al solito, ma con petali di rosa sparsi sulla tovaglia ricamata, evidentemente stirata da poco perché era ancora tiepida. Le belle tazze di Rosenthal, l’alzata di cristallo e argento con i biscotti come ognuna di loro tre preferiva: di pura farina e zucchero per Eleonora, con la cioccolata per Elena, con la crema per Elisa. Il succo d’arancia nei bicchieri di cristallo inciso, la brocca per il latte, la teiera e i piattini in una discreta esposizione di argenti lucidi e candore di lini.
Eleonora era già seduta al suo solito posto, con le spalle alla finestra socchiusa. Elena entrò e si diresse verso la sorella per darle il bacio del buongiorno. Elisa sarebbe arrivata in ritardo, al solito.
Questo notò Elena: in quella mattina – che per lei e per tutti sarebbe stata una mattina molto speciale – non c’era niente di diverso dalle solite mattine della loro vita. Tranne quei petali di rosa.
Ne sollevò uno e se l’accostò al naso per sentirne il profumo. «Grazie» mormorò con un sorriso. «È l’ultima volta che facciamo colazione insieme».
Eleonora stava versando il tè nella sua tazza. «Chissà, magari se Carlo deve partire, tu puoi tornare qui… questa è sempre casa tua».
Elena le prese la mano. «Casa mia, da ora e per sempre, sarà quella, Eleonora. Comunque mi fa piacere rimanere così vicina a te… a voi».
Con il capo Eleonora le fece di sì. «Sei felice?»
«Sì, Elli…» La chiamò così, come quando erano bambine e Eleonora sembrava un nome troppo lungo e severo. «Sono felice, sì. Non me l’aspettavo».
«Allora sono felice anch’io. Ma ricordati che noi siamo sempre qui e che questa è sempre anche casa tua».
«Certo». Era un discorso che non voleva più affrontare. La sua vita sarebbe stata in quella casa che aveva costruito con Carlo. E l’avrebbe amata, più di quanto era riuscita ad amare la casa nella quale era cresciuta. Si allungò verso la sorella e le diede un altro bacio. «Tu ci hai fatto da sorella maggiore e da madre, non lo dimenticherò mai».
«Vuoi farmi piangere?»
«Sarebbe una novità, non ti ho mai visto piangere, sei sempre stata la più forte, tra noi tre. La migliore».
«Avanti, su… che storie sono?»
Elena non poté rispondere, perché stava entrando Elisa, con i bigodini e un foulard in testa. «Scusate… ero con la parrucchiera, che è già arrivata e aspetta te». Si sedette al proprio posto e addentò uno dei suoi biscotti. «E questi petali? Una nuova dieta?»
Elena, uscendo, le fece una carezza. «La dieta dell’amore, ne hai sentito parlare sorellina?» E ridendo si chiuse la porta alle spalle.
«Dopo vai tu dalla parrucchiera, io devo farmi dare soltanto una pettinata». E rivolta alla cameriera che era rimasta accanto alla porta, Eleonora domandò: «Nel salone è tutto a posto? Stanno servendo la colazione?»
«Sì, signora baronessa. Il signor avvocato e la signora sono serviti».
«Bene, allora io vado a vestirmi. E tu sbrigati con quei capelli».
«Ma insomma! Si sposa a mezzogiorno e sono le otto e mezzo… che ci devo fare, i boccoli?» Addentò un altro biscotto. «Ti piace davvero il mio vestito?»
«Mi piace davvero. Ti sta bene il colore… forse l’hai notato anche tu, ha il colore dei tuoi occhi. Ti sta bene anche quella piccola cosa in testa».
«Per chi, poi?»
Eleonora le rispose in francese, che era la lingua con la quale avevano imparato sin da piccole a confidarsi i segreti che la servitù non doveva capire. «Ma per te, per noi. Per tutti quelli che ci saranno».
«Bella soddisfazione…» Restò pensierosa, con la tazza in mano, a fissare il cielo che stentava a diventare azzurro. «Quel Sante ha una fidanzata, hai sentito che l’ha detto ieri sera?»
«Che te ne importa? Un commissario, figuriamoci».
«Sempre meglio di un contadino che si è rifatto il vestito».
«No, Elisa. Non mi piace. Carlo è un bravo uomo, ama nostra sorella… devi rispettarlo».
«Ma certo. Mi sembrava che un commissario fosse meglio. Comunque ha una fidanzata, hai sentito? Quest’inverno faccio l’abbonamento ai concerti della Scala».
«Mi sembra una buona idea. E sai che cosa ti dico? Qualche volta ci verrò pure io».
Ora stavano ridendo, ma non erano felici. Quei concerti alla Scala erano una scappatoia per non sentire quanto fossero sole, annoiate, preoccupate di un avvenire che non sarebbe mai cambiato.
«Vado a vestirmi» disse Eleonora, alzandosi. «E tu non fare tardi».
Elisa rimase un attimo a fissarla. Ora Eleonora era in piedi, davanti a lei. E la vide come era veramente: una donna matura, che stava appassendo. Che non aveva sogni, ma soltanto doveri e il peso di quella casa esclusivamente sulle sue spalle, come aveva voluto loro padre. Come aveva voluto anche lei.
«Saranno felici?»
«Credo di sì… Anzi, ne sono certa».
«Sì, anch’io. Elena se lo merita…»
Eleonora riuscì a ridere. «Ma da dove ti viene tutta ’sta filosofia, stamattina? Vai a vestirti e fatti mettere un po’ di rosa su quelle guance, sei pallida. Quest’estate non hai mai preso sole… ma appena Elena se ne va in viaggio di nozze, noi due andiamo a Cortina». Era improvvisamente allegra, stava ridendo di quel progetto che avrebbe voluto realizzare. «Come quando c’era nostro padre, ti ricordi? A Cortina conosciamo gente, abbiamo amici… persone del nostro livello. Ti va? Andiamo a Cortina?»
Anche Elisa ora stava ridendo. «Dove vanno quei due in viaggio di nozze?» Si riferiva a Elena e a Carlo.
«Niente viaggio di nozze, per ora. Una scappata da Olga, poi lui ha la moda a Firenze, a Parigi… Poi ho sentito parlare della Grecia e di un salto a New York per lavoro».
In piedi, una di fronte all’altra. Con lo sguardo altrove per non riconoscere una negli occhi dell’altra la stessa tristezza, lo stesso senso di solitudine.
Che ormai aveva il colore di quel cielo sopra di loro.
«Ma sì, ma sì…» si riprese Eleonora. «A Cortina vedrai che ci divertiremo. Nei prossimi giorni, quando tutta ’sta fiera sarà finita, telefono e andiamo». Lasciò che la cameriera le aprisse la porta. E in italiano aggiunse: «Fai in fretta, in chiesa ci andiamo insieme con la nostra carrozza».
Ecco, di colpo, era ritornata la baronessa Eleonora del castello di Dubeca.