UNO
Non erano tanto normali, per il paese, le
auto della polizia alle sette e mezzo di mattina di una domenica
che sembrava tranquilla. Erano arrivate senza sirene, ma il paese
se n’era accorto come di una cosa strana, capitata all’improvviso.
Qualcuno, ancora in maniche di camicia, si era affacciato alla
porta e aveva guardato verso la valle: di solito i guai, il fiume
che straripava o qualche incendio, capitavano da quella
parte.
Tutto sembrava tranquillo. Anche quelli che
erano in chiesa si erano affacciati sul sagrato, con don
Gerolamo.
«È un incendio?»
«Ma no… non sono i pompieri, è la
polizia».
«Ho visto la macchina del commissario, l’ho
riconosciuto. Era qui per il matrimonio, uno dei testimoni».
«Dove sono andati?»
«Si sono fermati dal Carlo, sono entrati da
lui».
«Allora c’è stato un furto alla
fabbrichetta…»
«Ma dai. Hanno gli allarmi e ci sono i cani…
non s’è sentito niente».
Vico, il gobbo, guardò verso il fondo del
viottolo che portava al castello. «Quel matrimonio… non portava
niente di buono, sempre detto».
«Arriva lui, adesso».
«Tutti quei soldi, la casa, la fabbrica, il
matrimonio con quello sfarzo… porta male, porta ladri».
«Ma se non lo sai ancora…»
«Avanti, andiamo in chiesa, basta ora. Ci
diranno… ora dobbiamo pensare alle cresime…» Don Gerolamo si fece
il segno della croce. «Quei due si sono conosciuti proprio alla
cresima… io ero ancora all’inizio e me li ricordo». Altro segno
della croce. «Ave Maria, gratia
plena…»
Il commissario D’Urso parcheggiò la macchina
in cortile. «È arrivato il dottore?»
«Sta arrivando, commissario». Il
vicecommissario Ilaria Guerci gli sorrise prevedendo la reazione.
«È il dottor Vincenzi».
Infatti D’Urso strinse le labbra. «Ma sempre
quello mi tocca, accidenti! Non gli si cava una parola di bocca…
ah, eccolo».
Il dottore gli passò davanti, fingendo di
non vederlo. Sembrava accaldato, ma era maggio e non faceva ancora
caldo. Era spettinato, come se lo avessero fatto scendere dal letto
all’improvviso. Lo salutò con un mugugno.
«Buongiorno, dottore…»
«Sai che buongiorno, neanche di domenica…
poi le dico, ora mi lasci in pace». E sparì, seguendo gli uomini
della Scientifica e i barellieri dentro casa.
«Andiamo bene» commentò acido. «Lui
dov’è?»
«Il marito? Di qua, commissario, l’ho fatto
sedere in cucina, per toglierlo di mezzo. L’ha trovata lui
stamattina, quando è entrato in camera per salutarla. Sembra
impazzito…»
D’Urso sorrise. «L’avvocato Gilardi, che
quando era ancora commissario è stato mio maestro, a questo punto
direbbe: come tutti gli uxoricidi… Ma Carlo lo conosco, non può
essere stato lui. Vado a parlargli». Si fermò all’inizio del lungo
corridoio, seguendo un pensiero. «Qualcuno è salito al castello
dalle sorelle?»
«No, commissario, aspettavamo lei».
«Ho da fare qui, ci vada lei, Guerci. Mi
raccomando: non abbiamo notizie, non sappiamo niente. Le tenga
lontane da qui. Grazie».
«Dovere, commissario».