OTTO
Si portò quattro dita della mano destra sulla fronte, su e giù… su e giù… come se volesse frugarci dentro.
«Tu dici che è venuto qui? Che ha suonato da noi? Ma noi non c’eravamo, non eravamo ancora tornati».
«E tu come lo sai? Io non ti ho detto quando è successo».
«Se fossi stato qui, me lo ricorderei… Ma chi te l’ha detto? Quelle là? Ma mi odiano, dai retta a quelle?»
«Carlo, non ti odiano… Ed è stato il cameriere a dircelo, vero?» Ilaria Guerci si affrettò a dire di sì. «Ci ha fatto vedere dove si era fermato. Vero?»
«Uno con un cappotto nero, lungo… me lo ricorderei soltanto per quel cappotto, che in quel modo non usano più da un pezzo. Forse si sarà fermato, avrà dato un’occhiata al cancello, alle serrature. Ma noi non c’eravamo, e se torna gli faccio vedere io…»
«Non fare stupidaggini, che ne sai chi è? Magari cerca davvero quel tipo… Stai calmo, Carlo, per quanto è possibile. Ci siamo noi. Non complicarci la vita e soprattutto non complicarla a te. Hai visto che ti hanno creduto, ti hanno lasciato tornare a casa…»
«Sì, ma non posso allontanarmi da casa».
«Normale, sei coinvolto in un delitto».
«Magari fossi stato testimone... ora sarei in galera perché lo avrei ammazzato a mani nude».
«Mi dispiace, Carlo. Tieniti a disposizione. Non è ancora finita».
«Quando potrò seppellirla?»
«Quando avremo finito e tutto sarà chiaro e spiegato».
«Quanto ci vorrà?»
«Vorrei poterti rispondere giorni… settimane, forse». Erano in piedi in mezzo alla veranda, e D’Urso si appoggiò alla spalliera di una di quelle belle poltrone di rattan dove erano stati seduti in una giornata molto allegra e felice. Avrebbe voluto trovare parole rassicuranti, affettuose. Aveva la gola arida, come gli succedeva quando capiva di dover affrontare un pericolo o una situazione particolarmente difficile. «Tu rimani qui, vero?»
«Sì, non scappo. Stiamo mandando la collezione in America, avremmo dovuto tornarci insieme…» Picchiò con forza un pugno sul palmo dell’altra mano. «Qualcuno riesce a capire quanto mi manca? Riuscite a capirlo, accidenti? E mi trovate il maledetto che l’ha uccisa? Lo voglio qui, lo voglio qui, perdio!»
«Calmati, lo troveremo. Ti chiameranno per interrogarti, lo sai vero?»
«Che cosa posso dire che non sapete già?»
«Quello che hai detto a me. Esattamente. O se ti ricordi qualche altro particolare che al momento ti fosse sfuggito… più elementi abbiamo e meglio riusciamo a organizzare le indagini. Capisco che ti addolori, ma ci vuoi ridire come l’hai trovata quella mattina? Tutto… da quando l’hai lasciata la sera, al ritrovamento… così ora siamo in due a sentirlo. Con calma, Carlo. Con calma». Questi erano i metodi di Gilardi, e lui sapeva che funzionavano. Girò due sedie e si rimisero a sedere, Carlo sulla poltroncina e loro due davanti, per guardarlo bene in viso.
Prima che Carlo iniziasse a parlare, D’Urso gli domandò dell’avvocato. «Sei ancora dell’idea di chiamare Gilardi?»
«Sì…»
«Ma ti rendi conto? Lui è a Napoli e secondo te viene sin qui per difenderti da un’accusa che nessuno ha ancora pronunciato? Sceglitene uno di qui e non perdere tempo, Gilardi è a Napoli».
«Lo so. Ma so che lo farebbe. So che mi crederebbe».
«Carlo, anch’io ti credo, ma non basta. Ci vogliono prove e per quanto tu possa non crederci, le prove a discarico sono più difficili di quelle a carico. È così che funziona. Tu avevi l’occasione e… il movente».
«Il movente?» Carlo si sollevò dalla poltrona e ricadde pesantemente indietro, come privo di forze. «Ma sei pazzo? Dimmi che sei pazzo».
«Lei era intelligente, brava, spigliata, aveva gusto… non ti aveva messo un po’ in secondo piano davanti alle tue maestranze e ai tuoi clienti? Non eri un po’ geloso dei suoi successi?»
Si era ricordato della battuta di Elisa e voleva verificarla, per essere tranquillo.
«Lei aveva dato una scossa al mio lavoro e io sarei stato così scemo da ammazzarla perché ci faceva guadagnare di più… Devo essere un genio. Sante, non sai quello che dici. Io l’amavo anche per quello che aveva portato di nuovo nella mia vita e nel mio lavoro. Sante, sei mai stato innamorato? Sei mai stato innamorato davvero? Non sai quello che dici… Allora, vuoi sapere di quella mattina…»
Si prese la testa tra le mani e chiuse gli occhi. Un uomo grande e grosso, ridotto a uno straccio: questo pensò Ilaria Guerci. Non riuscendo a capire perché il commissario insistesse tanto per farsi ripetere quella storia.
Carlo raccontò dal principio, da quando era entrato nella camera di Elena, con un fiore in bocca per farla ridere, per lasciarglielo come un pegno d’amore, visto che sarebbe tornato verso sera.
E l’aveva trovata con la testa leggermente fuori dai cuscini, penzoloni verso il vuoto oltre il letto. Gli occhi sbarrati, quel ferro di traverso in gola, il sangue sul cuscino e in terra sul tappeto bianco.
«Quel ferro era di Elena?»
Carlo fece di sì, muovendo appena la testa. «Sua sorella Eleonora le stava insegnando a lavorare a maglia con quattro ferri… guarda che te lo sto dicendo come me lo ricordo, ma dovresti chiederlo a lei. Non so a quale scopo né perché… Da un paio di sere, davanti alla televisione, lei faceva quella calza con quattro ferri uguali, senza il pomello in fondo… Non so spiegarmi, ma erano quattro ferri appuntiti e uguali. Chiedilo a Eleonora, di certo lei lo sa. Elena si era portata quel lavoro in camera perché voleva andare avanti prima di dormire… io non so che cosa stesse facendo, non lo so… Hanno usato uno di quei ferri…»
«Sì… sono ferri forti e duri. Li stanno esaminando».
«Capaci di entrare nel collo…»
«Purtroppo sì. Un colpo solo, probabilmente con le due mani per fare più forza. Non ho ancora parlato con il dottore, ma suppongo che abbia colpito la giugulare, è morte istantanea».
«Almeno quello… e lei avrà visto il suo assassino, ti rendi conto? L’avrà guardato in faccia il suo assassino mentre l’ammazzava…»
«Forse era addormentata, altrimenti si sarebbe difesa in qualche modo. Forse…»
«Sì, forse si era addormentata. Lei, la donna più dolce del mondo, la mia Elena». Ora stava piangendo, con le mani aperte a nascondere la faccia. Come se avesse di fronte quella scena, che non avrebbe più dimenticato.
«Noi andiamo, Carlo. Faremo tutto il possibile per scoprire la verità».
«Ma lei non tornerà… chiedi a Eleonora di quei ferri. Glieli ha dati lei».
Al cancello li accompagnò uno dei ragazzi che stavano caricando il furgone. «L’avete preso?» domandò, tenendo aperto il cancello con un piede.
«Lo prenderemo. Di questo sono sicuro, lo prenderemo».
Mentre uscivano sentirono distintamente che il ragazzo stava dicendo a voce bassa: «Me lo immagino. Altroché… me lo immagino proprio» per totale sfiducia nella polizia.
«Commissario, andiamo dalla signora a farci dire dei ferri?»
D’Urso si grattò la fronte, arricciando il naso. «Ci vada lei, vicecommissario, per favore. Io non ci capirei, sono cose da donne».
«Sì, va bene. Chiedo della baronessa Eleonora?»
«Baronessa… queste credono di vivere nel Settecento… chissà quando si svegliano… Baronessa Eleonora. Grazie, vicecommissario».
Lasciò che Ilaria Guerci arrivasse alla villa, poi salì in macchina e adagio si avvicinò al cancello, tenendo il motore acceso. Vide un viso, a una finestra del primo piano, che riconobbe: era Elisa. Un momento soltanto, prima che la tenda ricadesse: Elisa era sparita. Sorrise. Si ricordò di averle detto di non essere più fidanzato. Forse, qualche sera, magari una volta…
Ilaria Guerci ritornò correndo. Si sedette accanto a lui e gli mostrò un ferro corto, rigido, appuntito ai due estremi. «Era come questo» disse. E lo puntò sul dorso della sua mano. «È duro, rigido… accidenti, sì. Se usato con forza può anche uccidere».
«Che cosa stava facendo Elena con questi ferri?»
«La baronessa non era sicura, ma un girocollo, pare che l’avesse visto in America e voleva che suo marito lo producesse da abbinare ai capi sportivi. Capisce il modello?»
«No, francamente».
«Per i ragazzi. Si infila dalla testa e ti tiene caldo il collo. Volendo può stare anche in testa come un cappuccio. Usava ferri grossi perché la lana era grossa… io li ho visti, sono molto comodi».
«Ma che brava… era una donna intelligente e allegra, diversa da queste due». Ci pensò un attimo prima di chiedere: «Come le è sembrata Elisa, la giovane?»
«Da che punto di vista?»
«Così, in generale…» Stava guidando e forse era arrossito. Ilaria Guerci riuscì a ridere. «Molto matrimoniabile, commissario. Molto conveniente».
Erano arrivati sulla strada e D’Urso accese la radio. Stavano trasmettendo una canzone dell’ultimo Festival di Sanremo e finalmente riuscì a rilassarsi.