44.

«Sì, la bomba è esplosa. De profundis clamavi ad te, Domine. Ho diritto di scrivere, anche solo di pensare queste parole, dopo tante porcherie? O devo vergognarmi di pregare, dopo averle dimenticate per tanti anni, le preghiere, e prima, da bambino, quando me le facevano recitare, solo ripetute meccanicamente, ma anche con fastidio, quasi con disprezzo?

Per quel Dio che invocavo come mi si ordinava non provavo niente. Immaginavo un uomo grande, alto, enorme, visto di schiena, con una grande livrea scura di cameriere, nera, nerissima, un braccio nero ricurvo che reggeva una specie di vassoio, come avevo visto in una gigantesca réclame di liquori e di caffè che occupava tutta una vetrina. Si vedeva solo quel nero e quando ci passavamo davanti avevo paura, tiravo la mano della mamma perché affrettasse il passo. Non si vedeva la faccia, girata dall’altra parte, ma solo la grande schiena nera che era là, immensa e indifferente. Cosa c’entra con me quella schiena?, pensavo mentre ripetevo il Padrenostro. Questo mi rassicurava un poco. Quel frac nero non c’entrava con nulla e con nessuno. Non aveva per esempio a che fare con Poldo, il cane che mi leccava la faccia e le orecchie ogni volta che poteva – e poteva spesso, perché appena possibile mi stendevo vicino a lui, quella lingua calda sulle orecchie e sul collo e quegli occhi interrogativi, ansiosi e complici sono stati la mia felicità; l’ho avuta anch’io, disteso con Poldo, sul tappeto sfilacciato. E la felicità, anche una sola, dovrebbe bastare. Poldo è finito sotto un’automobile e poi nella spazzatura, ma non era stata colpa di quella schiena nera, che non c’entrava con quelle leccate né con le ruote di quell’automobile né con me in generale.

Ma chi c’entrava con me, poi? Nessuno, mai. Men che meno quella schiena nera girata dall’altra parte, peggio che i manichini dei negozi di vestiti, perché almeno quelli ce li hanno, gli occhi, anche se sono vuoti, solo una cavità, ma prima o dopo ci si potrebbe mettere qualcosa, un occhio di vetro o un bottone. Quello là, invece, ha solo una schiena, è solo una schiena, come tutte le altre che hai visto, del resto, perché hai visto solo schiene, tutti ti hanno sempre voltato la schiena. E come avrei potuto invocare quella schiena? Immensa e nera come la notte, una grande notte vuota. E adesso invece mi sembra naturale chiamarti, invocarti, dirti di girarti verso di me, come devi aver già fatto, perché sennò non avrei nemmeno immaginato che dall’altra parte del vetro del negozio, nell’angolo oscurato dal manifesto appiccicato sulla vetrina, in fondo a quel bar potesse improvvisamente...»