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Sala n. 21 – Non è strano che lui amasse i cactus, spinosi e aggressivi com’erano. Aveva anche tenuto una conferenza sulle guerre nel mondo vegetale, illustrando le piante carnivore, quelle le cui radici emettono tossine per annientare altre radici e impadronirsi del loro territorio, l’allenza fra le acacie e una specie di formiche cui le acacie offrono rifugio, vere e proprie casermette, dove si insediano e da dove combattono ferocemente un’altra specie di formiche, quelle tagliatrici, che altrimenti fanno a pezzi le foglie dell’acacia stessa. Aveva parlato soprattutto delle spine, della loro funzione nelle battaglie vegetali ma anche nella protezione delle trincee e degli accampamenti, soprattutto nella prima guerra mondiale. Ma in particolare ammirava i cactus, che conosceva grazie all’opera di Frič, di cui era venuto in possesso tramite quel dottor Huláček che gli aveva fatto avere pure l’ascia dei Chamacoco. Anche per questo, secondo Luisa, quell’Echinocactus doveva essere collocato in modo da essere ben visibile e attirare l’attenzione, soprattutto sul suo incorreggibile possessore, Vojtěch Frič, grande botanico e ancor più grande Schlimazel cui tutto va storto ma che non ne prende atto.

Echinocactus grusonii. Sistemato al centro, in modo da ricevere l’aria e la luce necessarie. Globoso, le sue coste sporgono aggressive come spalti di un castello; fiori a corona e spine gialle, diecimilaottocento spine gialle, raggiere di luce, scheletri di ottaedri, un verde lanoso e soffice, dolce sotto il dito che lo schiaccia come una bocca un frutto polposo, tingendo l’acqua che ne esce con un po’ di sangue. Una spina spezzata – deve essere accaduto quando lo sistemava – si inclina, insanguinata di sangue altrui, ormai disseccato; dalla finestra raggi del sole giallo che cala si tuffano in un mare rossastro. Sull’Opuntia microdasys le spine sono milioni. L’Echinocactus grusonii più familiarmente si chiama anche cuscino della suocera.