34.
Sala n. 14 – Una vetrina, 2 metri di altezza, 1,5 metri di lunghezza, 50 centimetri di larghezza. Irregolari scaffali reggono piccoli piedistalli su cui poggiano pietre dure e aguzze, bastoncini dalla punta dipinta in vari colori, cannucce tagliate, boccette di vari inchiostri, pennelli dalle estremità sfrangiate, scalpelli, tavolette coperte di cera, fogli di papiro e di pergamena, stiletti appuntiti, penne d’oca, pennini, pennelli, stilografiche di ogni tipo, Parker Aurora 88 Montblanc, penne a sfera, biro, lapis infilati su portamatite come lance, colophon, Olivetti Lettera 22, linotype, computer di diverse generazioni. Una scritta su carta a grandi caratteri taglia trasversalmente la vetrina: «Ne uccide più la penna che la spada».
Sotto, attaccato al muro e coperto da un vetro, un suo foglio sparso, strappato in fondo – lei lo aveva recuperato da un cestino di carta straccia. «La scrittura, pugnale acuminato che va diritto al cuore. Ferisce e guarisce, ma soprattutto ferisce. La penna – certe penne grosse e pesanti addirittura le assomigliano – è una misericordia, la corta daga spagnola a lama robusta, in genere triangolare, che dà il colpo di grazia. Libri che infiammano il mondo, che scaldano il cuore ma di colpo lo abbandonano, come in tante storie d’amore ovvero di morte. Spargono veleni, promettono paradisi e illudono che la vita vera sia un’altra, violano segreti e intimità, fanno la spia. Lettere anonime, denunce, vendette. Falsità e verità ancor più distruttive di ogni menzogna. Ghirigori della penna, labirinti per irretire, far perdere la strada e perdersi. Liaisons dangereuses, capolavoro assoluto di perfidia ma soprattutto di irrimediabile infelicità e, quel che è peggio, di suprema poesia, quasi a suggerire un nesso inesorabile tra poesia, amore e infelicità. Colpo su colpo. Stilo che incide sulle tavole di cera, lascia cicatrici nell’animo e nel cuore. Scrivere incidendo a sangue il corpo, vedi Nella colonia penale di Kafka. Stilettare, ferire con uno stiletto. Cesare si difende con lo stilo dai congiurati; qualcuno ne avrà certo ferito.»
Libri... I Protocolli dei Savi di Sion, Mein Kampf, Malleus maleficarum, vecchie catapulte dell’odio tanto più distruttore quanto più stupido, ma ormai macchine in disuso e proiettili antiquati, buoni per un Museo. La morte e la distruzione corrono ora sulla rete, più veloci del pensiero; si schiaccia una formica, minima goccia rossastra invisibile sotto la suola, si preme un tasto si uccide un uomo, catene invisibili di milioni di bit strangolano la sua gola il suo onore.
Niente sangue; si preme un altro tasto, chilometri cubi di bigliettoni volano chissà dove, straripano dai depositi bancari presto vuoti, carta straccia che intasa le strade, milioni di affamati affollano quelle strade, frugano la cartaccia alla ricerca di qualche rifiuto ancor mangiabile, qualcuno scivola e affonda nei mucchi viscidi e unti, soffoca là sotto. L’amministratore delegato è ancora al suo tavolo, capitano che lascia per ultimo la nave; si ostina davanti al computer, ma dalla stampante escono e-mail senza tregua e senza pietà, serpenti di carta si attorcigliano intorno all’Ercole indifeso come a un bambino nella culla ma non si lasciano strangolare, si avviticchiano intorno al collo e strangolano a poco a poco, lui ne straccia tanti ma quelli sono innumerevoli, e-mail di banche imprese e fondi monetari di tutto il mondo. Lo soffocano, alla fine lui è là, strangolato, rovesciato sulla sua poltrona. I fogli frusciano ancora e sempre più sopra di lui, lo coprono, lo avvolgono come una mummia, strisciano sibilando verso altri uomini nella sua stanza o davanti alla sua porta, tanti fogli leggeri e alla fine una massa enorme di carta. Presto la stanza, le stanze sono una necropoli di carta.