9.
Da bambino amavo sparare con il piccolo cannone di legno. Belle battaglie, nel laghetto del giardino. È bello colpire, far cadere, ancor più bello far cadere in acqua. Navi e uomini vanno a fondo, spariscono; non si vede più niente, solo le incantevoli acque, anch’esse una grande bara, ancora un colpo, poi andiamo a casa, sarà l’ultima battaglia, l’ultima guerra, poi basta, però questa qui finiamola. Certo, la guerra, la gioia di distruggere, va recisa alla radice; va tagliata quella mano che brandisce l’elsa o spara con il cannone, poi la raccoglieremo e la metteremo in una teca nel Museo. Ce n’è già una, lo scheletro della mano di un ulano che stringe la sciabola di ordinanza degli ufficiali del iii reggimento, una bella mano rinsecchita, una bella foglia d’autunno. Anche Leonardo – continuava l’appunto – il cui busto ornava il cortile del palazzotto a Gradisca, perché non si era limitato a dipingere i monti azzurri per la grossezza dell’aria, ma aveva progettato per Gradisca quei marchingegni per difenderla dai turchi? Complicate gabbie di legno e di ferro mimetizzate sott’acqua e sul fondo dell’Isonzo, in modo che quando i turchi, fanti e cavalieri, avessero attraversato il fiume, quelle gigantesche tagliole sarebbero scattate a imprigionarli, uomini e cavalli e zampe scalpitanti fra le lame e i lacci, lo scatolone emerge dalla corrente come una gogna, un grande giocattolo che contiene prede vive, animali che sbattono contro le sbarre. L’Isonzo ha il colore più bello del mondo, verde acqua, arrossato dal sangue che esce da quella gabbia e da tanto più sangue tanti anni dopo; intanto dalla città è facile saettare quei corpi avviluppati.
Bravo Leonardo, il sorriso della Gioconda al servizio della morte, ineffabile serenità dell’uccidere e del voler uccidere. Anch’io, pensava Luisa trascrivendo e sistemando quella pagina, quando vado a pescare faccio lo stesso, poco importa se nel fiume o sul mare vicino, il cielo illuminato dal sole e dal riverbero dell’acqua è una luce di felicità, un grande sorriso. Il pesce abbocca, l’amo gli squarcia la gola, il pescatore sorride tutto contento. In fondo lui aveva ragione, la vita è guerra, gli appunti parlano chiaro. «L’unica cosa è trasportare tutto in un Museo, dove non c’è più guerra perché non c’è più vita. Già scienziato a cinque anni e inventore a nove, a sedici ho ideato e progettato concretamente armi fantastiche e terribili, ma ho deciso che avrei reso noti quei modelli quando non ci sarebbero state più guerre nel mondo e quelle armi sarebbero divenute inoffensive e inutili. Bisogna rendere la vita – tutta la vita, ogni cosa – inutile, inusabile. Il valore d’uso è sempre, in qualche modo, il valore dell’assassinio. Spuntare le lance, arrugginire i fucili, ispessire il filo della lama, finché la vita sempre così affilata non tagli più.»