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Il prence #2

Luogo indefinito, in una villa. Aprile 1953

«IN America lo sanno tutti che vita ha fatto la signora Boothe Luce. Ai party di Hollywood se ne parla spesso.» Errol Flynn guardava la donna attraverso la finestra. «Ambasciatrice…» soggiunse con disprezzo.

I suoi occhi erano lucidati dall’alcol e la spina dorsale curvava all’indietro. Camminava per la terrazza malsicuro sui piedi e continuava a spazzolare i baffetti da seduttore latino. Sembrava molto lontano dal Captain Blood che avevo visto sullo schermo ormai quasi vent’anni prima. «It’s the world against us and us against the world», diceva allora Errol tendendo il braccio al cielo davanti alla sua ciurma.

In quel momento non avrebbe potuto. La destra era occupata da un bicchiere di cognac.

«Errol, amico mio, cosa vuoi dire?» gli chiesi.

Accompagnò la coppa alla bocca. «Quella è una grandissima paracula… una paracula, ti dico… Come te!» sbraitò sorridendomi.

«Sarebbe a dire?»

«La storia è lunga, my friend. Sua madre si fa fottere da un ubriacone sposato e nove mesi dopo nasce Clare…» Una figlia illegittima, come me. «…La madre non ha voglia di lavorare per vivere e allora prende a farsi mantenere da tutti i rottinculo con un po’ di grana che le passano a tiro. E educa così anche la figlia. ‘Fotti gli uomini’… Quante ne abbiamo incontrate, noi, di troie del genere, eh Raimondo?»

«E dopo?»

«La madre tira su la figlia come se la stesse preparando scientificamente per accalappiare un uomo ricco. La manda alla Castle School di Tarrytown sull’Hudson, mica cazzi, e la cresce come fosse una divinità. Siccome la ragazza sa scrivere, comincia a lavorare per qualche giornaletto. Poi, come programmato, trova anche lei il suo pollo, un certo George Brokaw, se lo sposa e hanno una figlia. Ma questo, anche se i soldi ce l’ha, è un povero coglione e allora Clare lo sfancula, ottiene il divorzio con annesso assegno mensile, e si mette a fare la vita della giornalista in carriera.»

«Mi pare che scrivesse per Vogue

«Vogue e Vanity Fair. Nel frattempo pensa bene di non mandare a male il suo bel ciuffetto e diventa l’amante di Bernard Baruch, un vecchio, uno speculatore di Wall Street, un fottuto ebreo amico di Roosevelt.»

«Henry Luce quando arriva?»

Errol ruttò. La sua pelle era unta e lucente, la camicia macchiata qua e là da un qualche liquido. «Luce entra in scena a metà degli anni Trenta. Shit, se li sapeva scegliere bene gli uomini! Lui perde la testa per lei, molla la moglie, e la sposa. Giornali, rotocalchi, gossip. Ti lascio immaginare.»

«E il matrimonio va bene?»

«Henry la ama molto, ma pare che spesso non gli tira il cazzo, non so se mi spiego.»

«Ti sei spiegato bene.»

«Allora Clare c’ha le sue esigenze, e ogni tanto si mette a scopazzare in giro. Agli Studios una volta ho sentito dire che in tempi di magra si fa anche le donne…»

«Il marito però ha i soldi.»

«E quella si monta la testa, si crede di poter fare la commediografa. E alla fine lo diventa. Si fa finanziare da Henry e da Baruch e scrive The Women, non so se ce l’hai presente… la MGM ci ha anche fatto un film con Joan Crawford.»

«Gran femmina», dissi con enfasi.

I rumori della festa, le luci, la musica arrivavano appena sulla terrazza. Mi sembrava quasi di essere in un altro mondo. Io, il mio amico Errol Flynn sbronzo marcio, e l’oscurità di una notte che sarebbe stata campale. Mi ero ripromesso di non bere e di non tirare niente. Solo il fumo. Quello me lo concessi. Come al solito, mezza sigaretta alla volta, una dietro l’altra.

«E la politica da dove viene fuori?»

«Quella viene fuori perché Clare va a fare la corrispondente di guerra in Europa. Partecipa a qualche cena con gli ufficiali, si scopa un paio di soldati, e quando torna pensa di saperne di politica internazionale. Cazzo, Raimondo, non c’è niente di peggio di una donna che crede di essere intelligente!»

Errol ciondolò fino alla balaustra e iniziò a orinare. Sentii lo scroscio sul tetto di una Rolls-Royce e mi venne da ridere.

«È da lì che le prende lo sghiribizzo della politica. Il maritino ci mette un po’ di soldi, e quei soldi nel ’42 la eleggono al Congresso per i repubblicani. Dopo comincia l’ascesa, sempre coi calci in culo del marito. Pensa che qualche anno fa si era parlato di farla vicepresidente, col generale MacArthur alla Casa Bianca, ma poi non si concretizzò nulla. E così, spingi spingi, l’hanno mandata fino a qua. Goddamn’, io scappo dall’America ma l’America mi insegue… Fuck the whole world!» disse abbottonandosi la patta.

Poi ficcò un occhio nel bicchiere e rimase deluso di trovarlo solo bordato di cognac. Sparì verso il salone senza guardarmi o rivolgermi la parola. Lo sentii dire: «Is it possible to get a fuckin’ glass of gin in here?!»

Rientrai nella villa con una sigaretta all’angolo della bocca. Due sciacquette stavano avvinghiate a un attempato laido, su un divanetto, simili a scimmie su un ramo. Una signora di mezza età si era appartata in un angolo per sniffare sopra una cassettiera di mogano. Gli invitati levitavano per il salone come fantasmi, con i calici in mano e i sorrisi sgranati.

Osservai i questuanti davanti all’ambasciatrice Luce. Una colonna di uomini e donne di tutte le taglie che non aspettavano altro che stringerle la mano.

«Donna Clara… donna Clara… donna Clara… donna Clara…» continuavano a piagnucolare.

Sedetti vicino a Clare non appena la fila si fu esaurita. Quasi incollato a lei c’era un omino sui cinquant’anni, piegato e remissivo. Clare profumava di essenza Fleur de Rocaille. Non appena le fui a fianco cominciò a parlare. Che era logorroica me l’avevano detto.

«Principe, lei conosce Elbridge Durbrow?» mi chiese indicandomi l’omino. «È il mio consigliere personale.»

Durbrow chinò leggermente il capo. I suoi occhi erano piccoli e taglienti. «Buonasera, principe.»

«Durby è il mio aiutante più prezioso. Oltreché l’uomo che mi controlla…» fece maliziosa Clare.

«Clare, non hai certo bisogno di essere controllata. Sei perfettamente in grado di badare agli interessi del nostro Paese da sola.»

«Non gliel’ho detto, principe? Durby è un adulatore», squittì l’ambasciatrice prendendomi per un braccio. «Principe, deve sapere che ho accettato il suo invito in via del tutto eccezionale. Mi hanno parlato bene di lei. Generalmente evito di andare alle feste private. Per quelle ufficiali, in tanti anni di frequentazione dell’alta società, ormai ho sviluppato un callo. Ma quelle private generalmente mi intristiscono.»

«Perché?»

«Perché non ne colgo l’utilità. E il criterio dell’utilità governa qualsiasi mia scelta. Divertirsi, chiacchierare. Perché? Quale scopo?» Il suo viso si fece tetro come una cattedrale. «Vede, principe, mia figlia Ann morì nel ’44 in un incidente stradale sulla Everett Avenue, a Palo Alto. Da quel momento ho considerato il divertimento come un affronto alla sua memoria. Perlomeno il mio divertimento.»

«Condoglianze, signora.»

«È successo nove anni fa. Dio, come passa il tempo; oggi Ann avrebbe ventinove anni. Riuscii a superare il dolore solo grazie a monsignor Fulton Sheen, un uomo davvero straordinario, uno dei migliori predicatori radiofonici d’America. Un giorno ascoltai una puntata di The Catholic Hour e decisi di conoscerlo. Fu lui che mi fece convertire al credo della Chiesa di Roma. Una delle migliori scelte della mia vita. Da quel momento cerco sempre di cogliere la forza che santifica le piccole cose della vita, come santa Teresa di Lisieux. Lei è cattolico, immagino.»

«Sì.»

«Sono sicura che dunque non le sfuggirà il concetto di missione. Vede, principe, è mia opinione che ci troviamo a un bivio della Storia, una battaglia tra due civiltà. E la composizione dei contrari non è contemplata. O l’ateismo materialista, o la libera cristianità. In un contesto del genere lei capisce bene che non è possibile fare soltanto ‘il proprio lavoro’. Occorre qualcosa in più.»

«Ed è il motivo per cui il presidente Eisenhower ti ha scelta per questo incarico, Clare. Ricordi cosa si diceva a Washington? Miss Boothe Luce is the gal for the job», disse Durbrow, tanto servile da darmi il voltastomaco.

«Il comunismo è la più mortale infezione che abbia mai colpito il genere umano, principe. Io devo difendere gli Stati Uniti d’America. Sono convinta che il fine patriottico giustifichi ogni mezzo che possa aiutare il mio Paese a sopravvivere. Se si dovesse rivelare necessario, durante la nostra vita o quella dei nostri figli, sacrificare il nostro stile di vita, il nostro sistema di libera impresa, il nostro modello di governo, e la nostra costituzione, io sono disposta a farlo, anche solo per la semplice e logica ragione che, se non lo facessimo noi, lo farebbero i nostri nemici, e quindi tutto ciò che ho menzionato cesserebbe di esistere in ogni caso.» Clare chiuse le labbra rosse sul flusso di parole, poi riprese con una voce più dolce: «Ciò significa che sono una fascista? Suppongo di sì».

Durbrow l’aveva ascoltata con un’attenzione così esagerata da sembrare fasulla. Attraverso le stoffe dei nostri vestiti sentii fremere la carne di Clare. Un’eccitazione che mi sembrò più sessuale che politica.

L’ambasciatrice si fece portare un bicchiere d’acqua. Durbrow capì, infilò le mani nelle tasche e rovesciò sul tavolino innumerevoli flaconi e buste di plastica. Un piccolo campionario semilegale di sostanze psicotrope e gastroconservative. Dexedrina, benzedrina, Carbatral, Syntrogel, trasentina, Spasmalgin, fenacetina.

Tre pasticche di benzedrina atterrarono sul palmo di Clare, che le inghiottì in un sorso. La donna abbassò le palpebre. Quando le riaprì i bulbi sembravano saltare fuori dalle orbite.

Riprese con una voce più stridula: «In questa battaglia, principe, l’Italia ha un ruolo fondamentale, e sono certa che lei non fatica a capirlo. Mi hanno detto che in passato ha combattuto sul fronte dei giusti».

«Sono stato in Spagna per conto del Servizio Militare. Ero infiltrato nelle Brigate Internazionali», confermai.

Clare continuava a parlare come fosse da sola. I suoi occhi sembravano non vedere quel magma di signorotti benestanti che ribolliva nella sala.

«L’Italia ha un grande passato. La Storia va studiata, certo, ma una comunità di donne e di uomini capace di corrispondere alla propria vocazione più grande non si accontenta di studiare la Storia, ha voglia di scrivere la Storia. Io considero l’Italia un organismo moralmente invalido, affetto da tre secoli di errori umani. Noi dobbiamo porvi rimedio.»

«Come, Clare?» chiesi chiamandola per nome.

Colsi un lampo nei suoi occhi verdi. I denti disvelarono per un attimo la lingua umida di saliva. Clare attorcigliò l’indice attorno alla collana di perle e reclinò il capo di lato scoprendo il collo, bianco e forte come il pendio di una montagna.

«Come? Combattendo i rossi dovunque. Promuovendo la CED. Strappando Trieste a Tito. Cancellando le commesse a quelle aziende in cui i sindacati comunisti hanno la maggioranza. Io stessa ho stralciato il contratto per la costruzione di una portaerei.»

«E abbiamo anche revocato quell’ordinativo di munizioni da 18 milioni di dollari a quella azienda di Milano», puntualizzò Durbrow.

«Certo, Durby, l’avevo dimenticato.»

Quante parole. Mi stavo annoiando a morte, ma senza darlo a vedere. Era solo il profumo di Clare a tenermi inchiodato a quel divano.

In fondo alla sala il vecchio laido con le due scimmiette rise forte. Una delle ragazze era catatonica, abbandonata contro lo schienale, gli occhi spenti. Gli invitati si dividevano in due categorie: gli afflosciati, ovvero quelli che avevano bevuto, e le molle, cioè quelli che avevano tirato, i quali saltavano da un lato all’altro della stanza schiamazzando.

Errol Flynn stringeva per la vita una donna sulla cinquantina. Le tuffò la testa in una collinetta di cocaina imbiancandole la faccia. Si guardò attorno sorridente, circondato dalle risate.

«Ha incontrato la collaborazione degli imprenditori italiani in questi mesi?» chiesi a Clare.

Alzò le spalle. «Non quanta avrei voluto. Evidentemente non tutti sono audaci e coraggiosi come lei, principe», rispose frustandomi con le ciglia. «Ma sono fiduciosa per il futuro. Il professor Valletta mi ha assicurato che assumerà tremila nuovi operai senza precedenti politici, e licenzierà tutti gli elementi più pericolosi, a cominciare dai sindacalisti rossi.»

«Oppure li farà spostare nei reparti-confino, così non potranno contagiare i colleghi», intervenne quel viscido di Durbrow.

Clare si riscosse all’improvviso e mi ghermì la mano. «Principe, sarà così gentile da mostrarmi la casa? Da quando sono arrivata non ho fatto altro che sedere su questo sofà.» Poi al suo consigliere: «Non occorre che tu mi segua, Durby. Me la caverò».

Si volse ancora verso di me e mi bruciò con lo sguardo.

Salite le scale, prendemmo il primo corridoio. Dopo appena due passi mi si era già avvinghiata. Mi guidò contro il muro e fece in modo che le fossi addosso con tutto il peso del corpo.

«Raimondo… Raimondo…» mugolò, gli occhi rovesciati.

Scollai le labbra dal suo collo.

«Aspetta, Clare. Andiamocene via di qua. Aspettami giù.»

«Non hai paura a lasciarmi sola con Durby?» fece ironica, parlandomi con una complicità che non avevamo.

Prima di scendere le scale mi lanciò un’occhiata di spalle, mostrandomi la schiena che il vestito lasciava scoperta. L’esplosione d’oro dei capelli si accese sotto una lampada. Era più bella di quello che i suoi anni avrebbero concesso a qualsiasi altra donna.

Di lì a pochi minuti udii le sirene, poi lo schianto della porta, e poi lo scalpiccio dei poliziotti.

«Fermi… Fermi, polizia!… Anche tu, stronzo… a terra… a terra, ho detto!…»

Errol biascicò qualcosa con la voce rotta dall’ebbrezza.

Immaginai Durbrow dirigersi verso gli agenti con la sua faccia da prete mancato, le mani in avanti, come ad arginarli.

Entrai nella prima stanza disponibile, aprii la finestra, e mi calai dalla grondaia.

L'insolita morte di Erio Codecà
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