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«DELLA mostra di Picasso mi ricordo molto bene. Mi sarebbe piaciuto visitarla, ma all’epoca non avevo abbastanza soldi per il treno. Quando poi la spostarono a Milano, il discorso nemmeno si pose, il viaggio da Napoli sarebbe stato pura fantascienza…»
«E di Zorana hai mai sentito parlare?»
«In effetti mi dice qualcosa… Negli ambienti di partito si favoleggiava di una splendida donna che affiancava il Maestro, e che ebbe un ruolo importante nella mostra. Mi pare che avesse un nome del genere, un nome che cominciava per zeta.»
Il dottor Villa annuiva alle parole del suo amico Liborio Cannavacciuolo. Il professore, per parte sua, non poté fare a meno di riempirsi i polmoni del meraviglioso aroma delle brioches, che scaturiva dalla carta oleata.
«Comunque sei stato gentile a portarmi i cornetti, Villa, ma come sai io non posso mangiarli», fece lamentoso Cannavacciuolo, un’espressione che ricordava le madonne addolorate, mentre con la coda dell’occhio sogguardava Vesna annuire orgogliosa alla sua ferrea volontà di osservare la dieta.
«Li lasceremo a Vesna, allora.»
«E lasciamoli a Vesna…» mormorò Cannavacciuolo, ma con minore convinzione.
«Torniamo alla mostra, Liborio.»
«Ah, sì! E che ti devo dire? Fu un’iniziativa culturale di grande importanza, soprattutto per noi comunisti. Non mi stupisce che Reale ne fosse stato l’organizzatore: era la persona giusta.»
«E la mostra ebbe anche un valore politico.»
«Ma ovviamente. La inaugurarono a un mese dalle elezioni politiche del ’53, fu un gran colpo propagandistico per il PCI. I democristiani cercarono di mettere la sordina all’avvenimento, ma non ci riuscirono. D’altra parte Picasso era l’artista più famoso del mondo. E non aveva mai nascosto di essere comunista. Chissà che quella mostra non abbia contribuito a far fallire la Legge Truffa.»
«C’era anche il problema della guerra di Corea.»
«È vero. Quel volpone di Andreotti vietò l’esposizione di Massacro in Corea. Non voleva dispiacere agli americani.»
«Poi però, passate le elezioni, il quadro fu esposto a Milano insieme ad alcune nuove opere che giunsero appositamente da Mosca.»
«E una, la più importante, da New York. Guernica. Picasso volle che fosse esposta nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, tra gli intonaci distrutti dalla guerra e non ancora restaurati, in modo da amplificarne l’effetto emotivo.»
«Siniòr Liborio, lascia stare Picasso e bevi tisana!» ordinò Vesna versando un intruglio bollente nella tazza di Cannavacciuolo.
Un’espressione rassegnata si impadronì del grugno del professore, che bevve. «Ottima!» mentì voltando il capo dall’altra parte.
«Liborio, questa notte non riuscivo a dormire e ho fatto qualche ricerca su internet e nella mia personale biblioteca d’arte. Le mostre furono un successo di pubblico. Quella di Milano incassò 28 milioni dell’epoca, pur essendone costata 29.»
«Una cifra mica da ridere.»
«Sai chi pagò per l’organizzazione della mostra?»
«Immagino il ministero dei Beni culturali.»
«Questo è il fatto strano: no.»
«E allora chi?»
«Verso la metà degli anni Settanta la direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna ammise che il museo nel ’53 aveva appena riaperto i battenti e il ministero non aveva soldi. Lasciò intuire che Reale non solo aveva proposto la mostra, ma aveva anche trovato i finanziamenti.»
«I soldi del PCI, immagino», mormorò meditabondo Cannavacciuolo.
«Noi sappiamo che Reale gestiva una serie di affari più o meno nell’ombra. È inutile ricordarlo… società intestate a prestanome, scatole cinesi… Tu non pensi che…»
Il professore anticipò Villa: «Può essere. Reale ha da parte una somma non proprio linda e immacolata. Pensa di investirla in un’iniziativa culturale e di trasformare quei soldi in incasso di biglietteria». Poi sorrise: «Il compagno Picasso sa bene che per la rivoluzione servono anche un po’ di denari, quindi non si oppone all’idea. Mette in mano i quadri a Reale e dice: ‘Compañeros italianos, fate vobis!’ E magari avrà anche lasciato al partito in tutto o parte i suoi diritti».
«Ne vengono fuori uno straordinario evento culturale, un’operazione di propaganda, e un modo tranquillo di investire i soldi. Non possiamo esserne sicuri, ma è un’ipotesi plausibile.»
«Il PCI non guadagna niente, anzi ci perde, ma si ritrova 28 milioni di lire pronti per essere regolarmente utilizzati. Ingegnoso, non ti pare?»
«Davvero. Anche perché, per quanto quella mostra debba essere costata un occhio della testa, 29 milioni del tempo mi pare che siano una cifra spropositata: stiamo parlando di oltre un miliardo del 1999.»
Cannavacciuolo accompagnò il dottore verso l’uscita. «Villa, un cornetto è di Vesna – quello che è giusto, è giusto – ma l’altro è bene che lo mangi tu, tanto io non potrei», disse quasi gridando perché Vesna lo sentisse dalla cucina.
«Capisco, Liborio, grazie.»
Quando furono sulla porta, il professore abbassò la voce: «Jamm Villa, caccia ’stu cornett’!»
«Ma Liborio…»
«E caccialo, prima che Vesna ci scopra!»
Il dottore gli mise in mano il cartoccio con uno sguardo di rimprovero. «Liborio…»
Non fecero caso a Vesna, la cui testa faceva capolino nel corridoio. «Siniòr Liborio, per dopo minestra vuoi con panna acida o senza?»
Cannavacciuolo trasalì. Riuscì a infilare la brioche in tasca prima che la ragazza se ne accorgesse. «Ve’, e che c’azzecca la panna acida con la minestra?!»
Congedato il dottore, non ebbe nemmeno il tempo di gustare mentalmente la brioche, che sentì il telefono squillare.
«Vado io!» urlò a Vesna.
Raggiunse l’apparecchio con la gamba rigida, attento a non far scricchiolare la carta nella tasca. Sedette per non affaticarsi.
Era Panzaleone.
«Come procedono le vostre indagini?»
Lo ragguagliò sulle scoperte che lui e i suoi amici avevano fatto nelle ultime ore. Ebbe l’impressione che Panzaleone stesse per dire qualcosa, dopo aver sentito i nomi di Lanza di Trabia e Clare Boothe Luce, ma invece l’amico, passato qualche secondo d’attesa, si limitò a mugugnare. Allora Liborio continuò e gli chiese: «Panzaleo’, ma tu ti ricordi di una che accompagnò Picasso alla mostra di Milano? Una certa Zorana».
«Sì, Zorana-Romana Budai de Kide, era una giornalista, una collega di origine slovena. Mi pare che da giovanissima, negli anni Quaranta, avesse tradotto dal francese una biografia di Hitler non proprio graditissima al Führer, Hitler m’a dit di Hermann Rauschning… ma ti sto parlando di molti anni fa, poi si diede al collezionismo d’arte. Oltre che di Picasso, è stata una fiamma di… be’, per la verità è stata la fiamma di molti… però, ti dicevo, è stata una fiamma di un tuo conterraneo, nonché compagno di partito per un certo periodo.»
«E chi?»
«Eugenio Reale.»
«Maronn’! E tu come lo sai?»
«Tutto bisogna sapere. Il letto conta più del negozio. Un uomo di potere e di cultura ha sempre un grande fascino… lo sai meglio di me come funzionano certe cose…»
Cannavacciuolo soffiò la risata tra i denti. «Sulla cultura me la gioco, sul potere mi sa che sto proprio a zero.»
Agganciò il ricevitore. Solo in quel momento realizzò di essersi seduto sopra al croissant.
«Mannaggia a mort’!»