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IL viceispettore Cammareri chiese di potersi sedere. Il sonno gli aveva cerchiato gli occhi di viola. Tutta colpa dell’esimio dottor Fìlice, che la sera prima, una volta conclusa la cena coi suoi amici, l’aveva buttato giù dal letto per commissionargli alcune ricerche su quella maledetta indagine degli anni Cinquanta, che stava diventando per il viceispettore una vera e propria tortura.
Aveva passato la nottata in compagnia di faldoni e carte ammuffite, come se già il suo mestiere non bastasse ad avvelenargli l’esistenza.
«Esigo di avere i risultati entro domani mattina!» aveva strillato Fìlice. «DO-MAT-TI-NA!»
E ora se ne stava lì, pensoso, ad accarezzare i suoi stupidi baffetti. A giudicare dal profumo, il viceispettore pensò che per la sua toeletta avesse usato l’innaffiatoio.
«Cammareri carissimo, mi pare che lei abbia fatto un ottimo lavoro. Me ne rallegro! Doveva verificare se nei primi anni Cinquanta ci fossero stati degli strani movimenti di merci strategiche tra Italia e Svizzera, e ha risposto appieno ai miei desideratas.»
«Ho fatto del mio meglio, dottore.»
«Riassumendo, in quel giugno del ’53 gli arrestati furono tutti italiani residenti a Torino e Milano. Questi furfanti riuscivano a inviare materiale strategico di provenienza prevalentemente statunitense ai Paesi dell’Est Europa. Spesso il primo centro di smistamento era la Stazione Centrale di Milano, poi ce n’era un secondo in Svizzera.» Fìlice grattò il capo fiorito di ricci ispidi. «Ma mi chiarisca un dubbio. Esattamente, come lucravano su tali malefatte?»
«Acquistare tramite la mediazione obbligatoria del ministero del Commercio estero garantiva prezzi di favore. Gli intermediari rivendevano a prezzi di mercato: guadagnavano sulla differenza.»
«Mmm… capisco. E le merci venivano pagate per conto dei rossi da quel romeno che mi diceva, Jacopo Verdura.»
«Magura, Jacob Magura.»
«Ehm… certo, Magura. Ma io mi domando e dico: come mai questo Magura non fu arrestato?»
«Riuscì a fuggire.»
«Be’, immagino che non ebbe più il coraggio di dedicarsi a tali infami traffici.»
La voce di Cammareri si fece stridula: «Be’, a onor del vero, dottor Fìlice, non solo i traffici non si interruppero, ma il nome di Magura tornò sui giornali nel febbraio del ’54, quando fu scoperta una partita di rame e ferro-molibdeno che stava per essere dirottata nell’Est».
«Ed era sempre lui l’organizzatore degli scambi.»
«Esatto.»
«Questo Magura, che il diavolo se lo porti!» esclamò Fìlice con piglio da cowboy dei fumetti.
Il viceispettore, col naso costipato e colante, scovò un fazzoletto di carta nella tasca del cappotto. Una volta liberatosi, continuò: «L’affare stava diventando sempre più ingombrante, tanto da coinvolgere la Casa Bianca».
«Addirittura!»
«In quel periodo Eisenhower spingeva per la creazione della Comunità Europea di Difesa, il progetto di esercito europeo che prevedeva il riarmo della Germania occidentale.»
«Ma certo, ricordo bene. La CED doveva servire per difendersi da una futura invasione di quei sanguinari dei comunisti!»
«E gli Stati Uniti avevano investito molto sulla CED, anche in termini di forniture militari. Ora, lei capisce bene che se quelle forniture finivano all’URSS e ai suoi amici…»
«Ma certo, è sin troppo evidente il grave nocumento che ne avrebbe tratto un grande e nobile Paese come gli Stati Uniti!» recitò Fìlice quasi impugnando una spada immaginaria. «Ma è possibile che il governo italiano non facesse nulla?!»
«Scelba si affrettò a rassicurare gli alleati e disse che la rete italiana del contrabbando era stata sgominata.»
«Era così?»
«Non esattamente. Il grande capo Magura non fu mai trovato, e al momento della sentenza per il sequestro del ’53, nell’aprile del 1958, i giudici ritennero di non dover procedere contro di lui. Non erano nemmeno riusciti ad accertarne l’identità. Anche una bellissima spia comunista, una sorta di Mata Hari cecoslovacca che era coinvolta nel traffico, non fu mai arrestata. Il governo lasciò uscire ufficiosamente qualche nota stampa in cui si accusavano i vertici del PCI di dare supporto all’organizzazione, o addirittura di controllarla, ma anche in questo caso le illazioni rimasero sulla carta e non seguirono mai i fatti.»
«E ti pareva che i comunisti non c’entrassero!»
Fìlice si alzò dalla sedia, camminò verso la finestra fendendo l’aria viziata. A strapiombo oltre il davanzale poteva ammirare le ciclopiche scale d’ingresso del Palazzo di Giustizia. Il viavai brulicante sui gradoni gli ricordò la sua infanzia, quando vagava per i boschi della Sila in cerca di formicai da incendiare.
Fu ancora Cammareri a strapparlo a quelle bucoliche rimembranze. «Dottor Fìlice, il motivo per cui ritengo il Magura un personaggio interessante è che credo potesse conoscere l’ingegner Codecà.»
«E perché mai mi dice ciò, Cammareri?» si stupì il magistrato.
«Noi sappiamo che Magura faceva base in Svizzera e che Codecà in Svizzera si recava spesso per oscuri motivi. Allo stesso modo sappiamo che Magura era, almeno formalmente, un diplomatico romeno e che Codecà era entrato in contatto proprio con dei diplomatici romeni per l’espatrio della cognata dalla Romania all’Italia.»
«E lei crede che tra quei diplomatici potesse esserci proprio… Perbacco, Cammareri, ma lei ha ragione! Ottimo lavoro!»
«Grazie, dottore.»
Un accento di compassione incrinò la voce del magistrato: «Ah, Cammareri, la vedo un po’ stanco. Ricordi che il nostro mestiere esige la più solerte prontezza di spirito e di riflessi. Si riguardi!»
Appena fuori dall’ufficio, Cammareri si soffiò il naso. Poi mormorò tra sé e sé: «La solerte prontezza di spirito mittila ’nt’u culu della tua mugghiera».