Cosa è bruciato nello spazio
Che dire? Non è il momento di una retorica esaltazione dell’eroismo. La notizia del fallimento della missione Shuttle, diffusa in tempo reale o quasi in tutto il mondo, non è equiparabile ad un luttuoso incidente sul lavoro. Non sono andate perdute solo sette giovani vite, ma, insieme con loro, un enorme capitale di ingegno investito in esperienza. Ognuno degli astronauti, salvo la sventurata maestrina, aveva accumulato un prezioso capitale di conoscenza, svanito in un attimo, in un fuoco da apocalisse.
Sacrificio utile o inutile? Sarebbe cinico fare calcoli, ma un’affermazione si può fare con certezza. La navetta era meno sicura di quanto sia stato proclamato; il progetto dell’astronave recuperabile non sarà certo abbandonato, ma dovrà essere coronato da un numero imprecisato di perfezionamenti miranti alla sicurezza, come è avvenuto decenni addietro per il volo atmosferico.
Oltre alla «ricaduta» tecnologica, che a partire dai primi voli spaziali ha già dato frutto nei campi piú impensati, ci aspettiamo adesso una ricaduta specificamente orientata verso la protezione della vita. Forse è stato un errore passare cosí presto al viaggio umano: probabilmente i tempi non erano maturi ed i rischi erano maggiori del previsto.
Non sappiamo con precisione quali fossero i fini a cui mirava il progetto Shuttle. Forse erano fini essenzialmente di prestigio: se noi sappiamo fare questo, sappiamo fare altre cose che non vogliamo né possiamo dirvi. È probabile, e sperabile, che questo fallimento serva da ammonimento: non è ancora il momento di pensare, in tempi brevi, alla navetta come all’aereo di domani.
Insieme col dolore per una morte collettiva e fulminea, insieme con la frustrazione che accompagna ogni impresa fallita, ci sia lecito formulare un augurio, che questa tragedia aiuti a prevenire altre maggiori tragedie che il futuro avrebbe potuto tenere in serbo. La quasi simultanea, e portentosa, circumnavigazione del Voyager intorno a Urano ci ha dimostrato in modo tangibile che l’esplorazione dell’universo in cui siamo immersi può essere fatta oggi senza mettere a repentaglio la vita di esseri umani.
In «La Stampa», 30 gennaio 1986.