La storia della Deportazione e dei campi di sterminio, la storia di questo luogo non può essere separata dalla storia delle tirannidi fasciste in Europa: dai primi incendi delle Camere del Lavoro nell’Italia del 1921, ai roghi di libri sulle piazze della Germania del 1933, alla fiamma nefanda dei crematori di Birkenau, corre un nesso non interrotto. È vecchia sapienza, e già cosí aveva ammonito Heine, ebreo e tedesco: chi brucia libri finisce col bruciare uomini, la violenza è un seme che non si estingue.

È triste ma doveroso rammentarlo, agli altri ed a noi stessi: il primo esperimento europeo di soffocazione del movimento operaio e di sabotaggio della democrazia è nato in Italia. È il fascismo, scatenato dalla crisi del primo dopoguerra, dal mito della «vittoria mutilata», ed alimentato da antiche miserie e colpe; e dal fascismo nasce un delirio che si estenderà, il culto dell’uomo provvidenziale, l’entusiasmo organizzato ed imposto, ogni decisione affidata all’arbitrio di uno solo.

Ma non tutti gli italiani sono stati fascisti: lo testimoniamo noi, gli italiani che siamo morti qui. Accanto al fascismo, altro filo mai interrotto, è nato in Italia, prima che altrove, l’antifascismo. Insieme con noi testimoniano tutti coloro che contro il fascismo hanno combattuto e che a causa del fascismo hanno sofferto, i martiri operai di Torino del 1923, i carcerati, i confinati, gli esuli, ed i nostri fratelli di tutte le fedi politiche che sono morti per resistere al fascismo restaurato dall’invasore nazionalsocialista.

E testimoniano insieme con noi altri italiani ancora, quelli che sono caduti su tutti i fronti della Seconda guerra mondiale, combattendo malvolentieri e disperatamente contro un nemico che non era il loro nemico, ed accorgendosi troppo tardi dell’inganno. Sono anche loro vittime del fascismo: vittime inconsapevoli. Noi non siamo stati inconsapevoli. Alcuni fra noi erano partigiani e combattenti politici: sono stati catturati e deportati negli ultimi mesi di guerra, e sono morti qui, mentre il Terzo Reich vacillava, straziati dal pensiero della liberazione cosí vicina.

La maggior parte fra noi erano ebrei: ebrei provenienti da tutte le città italiane, ed anche ebrei stranieri, polacchi, ungheresi, jugoslavi, cechi, tedeschi, che nell’Italia fascista, costretta all’antisemitismo dalle leggi razziali di Mussolini, avevano incontrato la benevolenza e la civile ospitalità del popolo italiano. Erano ricchi e poveri, uomini e donne, sani e malati.

C’erano bambini fra noi, molti, e c’erano vecchi alle soglie della morte, ma tutti siamo stati caricati come merce sui vagoni, e la nostra sorte, la sorte di chi varcava i cancelli di Auschwitz, è stata la stessa per tutti. Non era mai successo, neppure nei secoli piú oscuri, che si sterminassero esseri umani a milioni, come insetti dannosi: che si mandassero a morte i bambini e i moribondi. Noi, figli di cristiani ed ebrei (ma non amiamo queste distinzioni) di un paese che è stato civile, e che civile è ritornato dopo la notte del fascismo, qui lo testimoniamo. In questo luogo, dove noi innocenti siamo stati uccisi, si è toccato il fondo della barbarie. Visitatore, osserva le vestigia di questo campo e medita: da qualunque paese tu venga, tu non sei un estraneo. Fa’ che il tuo viaggio non sia stato inutile, che non sia inutile la nostra morte. Per te e per i tuoi figli, le ceneri di Auschwitz valgano di ammonimento: fa’ che il frutto orrendo dell’odio, di cui hai visto qui le tracce, non dia nuovo seme, né domani né mai.

Testo pubblicato per l’inaugurazione del Memorial in onore degli italiani caduti nei campi di sterminio nazisti. Fascicolo edito a cura dell’Associazione Nazionale Ex Deportati politici nei campi di sterminio nazisti, aprile 1980.