L’asimmetria e la vita
Quando ero studente, intorno al 1940, sulla natura delle molecole i chimici avevano idee chiare: forse perfino troppo. La molecola, «la piú piccola parte di materia che conserva la proprietà della sostanza di cui fa parte», era tangibile e concreta, un modellino. I fisici sapevano già molte cose sulle funzioni d’onda, sulle vibrazioni degli atomi, sulle rotazioni e sui gradi di libertà della molecola globale e delle sue parti, sulla natura della valenza, ma su questo terreno i chimici organici li seguivano malvolentieri. Erano ancora affascinati dalla stereochimica, conquista relativamente recente. La stereochimica è quel ramo della chimica che studia appunto le proprietà della molecola in quanto oggetto, dotato di spessore, sporgenze e rientranze, ingombro: insomma, di una forma.
Il cammino non era stato breve. Fin dalla metà del secolo scorso il concetto di peso molecolare era stato definito con precisione: la molecola aveva un peso che era la somma dei pesi dei suoi atomi, e che poteva essere determinato con metodi semplici, alla portata di tutti i laboratori; e solidamente fondata era anche l’analisi elementare, che permetteva di sapere quali e quanti atomi costituivano la molecola, ma non si osava rappresentarne la struttura: la si immaginava come un pacchetto, un grappolo informe. Eppure già si conoscevano coppie di composti, come l’acetone e l’aldeide propionica, o l’etere etilico e il butanolo, che avevano la stessa composizione ma proprietà chimiche e fisiche totalmente diverse. Il fenomeno aveva ricevuto un bel nome greco («isomeria») assai prima che i metodi analitici dell’epoca permettessero di spiegarlo; si intuiva che doveva trattarsi di una permutazione, ma le idee sull’ordinamento spaziale degli atomi nelle molecole erano ancora troppo vaghe.
Erano poi state osservate coppie (o terne) ancora piú singolari; i loro membri erano identici non solo come composizione, ma anche per tutte le proprietà, salvo due: uno ruotava il piano della luce polarizzata verso destra, l’altro verso sinistra, e il terzo (talvolta) non lo ruotava affatto. Ad esempio, si erano osservati in natura, o in prodotti della fermentazione, un acido lattico destro ed uno sinistro, mentre l’acido prodotto in laboratorio era sempre inattivo. Inoltre, spesso i cristalli delle coppie destro-sinistro presentavano una curiosa asimmetria: gli uni non erano sovrapponibili agli altri, ma ne erano l’immagine speculare, cosí come la mano destra è l’immagine speculare della sinistra.
Il fenomeno attirò il vigoroso appetito scientifico del giovane Pasteur: infatti quest’uomo geniale, che avrebbe dovuto rivoluzionare la patologia, non era un medico ma un chimico. Che i prodotti di sintesi fossero inattivi sulla luce polarizzata era comprensibile, dato che l’attività ottica era legata ad un’asimmetria, e che in laboratorio, da reagenti simmetrici, non potevano formarsi che prodotti simmetrici; ma come spiegare l’asimmetria dei prodotti naturali? Doveva provenire da una precedente asimmetria, sta bene: ma dov’era l’asimmetria primigenia?
Pasteur, e tutti i suoi interlocutori, comprendevano che questo stimolante problema era ben lontano dall’essere puramente accademico. Non tutte le sostanze asimmetriche nel senso ora detto appartengono al mondo vivente (sono asimmetrici, ad esempio, i cristalli di quarzo); ma i protagonisti del mondo vivente (le proteine, la cellulosa, gli zuccheri, il Dna) sono tutti asimmetrici. L’asimmetria destra-sinistra è intrinseca alla vita; coincide con la vita; è presente, immancabile, in tutti gli organismi, dai virus ai licheni alla quercia al pesce all’uomo. Il fatto non è né ovvio né marginale; ha sfidato la curiosità di tre generazioni di chimici e di biologi, ed ha fatto nascere due grandi perché.
Il primo perché, è, per dirla con Aristotele, quello della causa finale, ossia, in termini moderni, quello dell’utilità adattativa dell’asimmetria. Limitiamoci alle proteine, che sono le strutture vitali in cui il fenomeno si manifesta nella sua forma piú estensiva e piú netta. Come è noto, la lunga molecola proteica è lineare: è un filamento, un rosario di centinaia o migliaia di grani, e i grani non sono uguali tra loro; sono costituiti da una ventina di composti relativamente semplici, sostanzialmente gli stessi per tutti gli esseri viventi, detti amminoacidi. Essi sono paragonabili a lettere di un alfabeto, con cui si compongono parole lunghissime, di cento o mille lettere. Ogni proteina è una di queste parole: la sequenza degli amminoacidi è rigorosamente specifica per ogni proteina, ne determina le proprietà, e determina anche la forma in cui il filamento può aggomitolarsi. Ora, tutti gli amminoacidi (salvo uno) hanno molecola asimmetrica, ma tutti
sono rappresentabili con uno solo dei due schemi qui riportati, e differiscono tra loro unicamente per la natura del gruppo R. Sono tutti «sinistri», come se fossero usciti tutti da uno stesso stampo, o come se qualcosa avesse scartato o distrutto i loro antipodi, cioè i loro gemelli destri. Ma ogni proteina deve possedere una rigida identità in ogni suo grano: se uno solo di questi cambiasse configurazione, il gomitolo proteico cambierebbe forma. Perciò si intravede un vantaggio nel fatto che, nella biosfera, sia disponibile solo una delle due forme antipode di ogni amminoacido: se in una catena proteica si sostituisse anche uno solo dei mille grani con il suo antipodo, molte delle proprietà piú sottili della proteina cambierebbero radicalmente; in specie, il suo comportamento immunitario.
Ma questa asimmetria, cosí gelosamente tramandata dalla cellula vivente, è difficile da ottenersi e facile a perdersi. Ogni volta che il chimico tenta la sintesi di un composto asimmetrico, ottiene una miscela dei due antipodi in quantità esattamente uguali, e quindi inattiva sulla luce polarizzata. La separazione degli antipodi è possibile, ma solo e sempre con strumenti o artifici che sono a loro volta asimmetrici. Il metodo concettualmente piú semplice risale a Pasteur: i cristalli di certi composti destri si distinguono ad occhio dai loro analoghi sinistri allo stesso modo in cui un occhio moderatamente esercitato distingue una vite destra da una sinistra, e possono venire separati manualmente: ma appunto, l’occhio umano (e tutto quanto gli sta dietro) è asimmetrico. Un secondo metodo, di pertinenza dei chimici, consiste nel far combinare la miscela di antipodi con un altro composto asimmetrico: ad esempio, la miscela dei due acidi lattici D ed S con un alcaloide naturale D (anche gli alcaloidi a molecola asimmetrica si trovano generalmente in natura in una sola delle due forme). È chiaro che il D-lattato di D-cinconina è l’antipodo del S-lattato di S-cinconina, e non del S-lattato di D-cinconina: in breve, un composto DD è antipodo del composto SS, e quindi i due avranno caratteristiche fisiche identiche, ma il composto SD avrà proprietà diverse, e sarà facile separarlo dal DD, ad esempio per cristallizzazione frazionata. Del resto, accade spesso che un acido D accetti di combinarsi con una base D ma non con la S, allo stesso modo che una vite destra non entra in un dado sinistro.
Il cammino inverso, quello di cancellare l’asimmetria voluta dalla natura invece di imitarla, è infinitamente piú facile: energeticamente, «va all’in giú». Fuori dall’organismo vivo, l’asimmetria è fragile: basta un riscaldamento prolungato, o il contatto con determinate sostanze ad azione catalitica, per distruggerla; piú o meno rapidamente, una metà del composto asimmetrico si trasforma nel suo antipodo: l’ordine dell’asimmetria si è mutato nel disordine della simmetria (o dell’asimmetria compensata), come quando si mescola un mazzo di carte ordinato per semi o per colore. Con estrema lentezza (sulla scala dei millenni) questo processo avviene anche spontaneamente ed a temperatura ordinaria, tanto che viene usato per datare reperti che un tempo abbiano fatto parte di organismi viventi, come ossa, corna, legno, fibre e simili: piú è avanzata la distruzione dell’asimmetria, piú è vecchio l’oggetto.
Davanti a questa maniaca preferenza della vita per le molecole asimmetriche, mi pare che perda un poco della sua forza d’urto la famosa esperienza di Miller. Nel 1953 Miller sottopose per piú giorni a scariche elettriche una miscela d’acqua, metano, ammoniaca e idrogeno, cercando cosí di simulare le condizioni dell’atmosfera primigenia squassata dai fulmini, ed ottenne diversi amminoacidi ben noti, confermando cosí che per la loro sintesi non sono indispensabili le tecniche elaborate e selettive seguite fino allora dai chimici: i mattoni fondamentali delle proteine «hanno voglia» di formarsi, si formano quasi spontaneamente dal caos purché gli venga somministrata energia, anche in forma brutale: accanto a loro, cosa stupefacente, si formano anche alcuni componenti non semplici del Dna. Ma Miller, e i suoi numerosi seguaci, ottennero sempre prodotti simmetrici, ossia miscele equilibrate dei rispettivi antipodi. I mattoni fondamentali della vita hanno voglia di formarsi, ma l’asimmetria no.
Resta da accennare ad un fatto curioso e disturbatore. Non so chi sia stato lo sciocco che per primo ha affermato che «l’eccezione conferma la regola». Non la conferma affatto: la indebolisce e la rende dubbia. Ora, la regola per cui tutti gli amminoacidi dei viventi sono in forma otticamente attiva (cioè non miscele di antipodi) non conosce per ora eccezioni. Ne ha invece una la regola secondo cui tutti questi amminoacidi sono della serie sinistra: in alcune nicchie inconsuete, estremamente marginali, amminoacidi della serie destra sono pure stati trovati: nella pelle di alcuni batraci esotici, nella cuticola di qualche microrganismo, forse (se ci fosse conferma, sarebbe un fatto da meditare) in alcune cellule cancerose. Ma gli amminoacidi destri dei batraci non stanno lí per caso: fanno parte di sostanze ad alta attività fisiologica, e se vengono sostituiti con i loro antipodi regolari, cioè sinistri, l’attività sparisce. Hanno dunque una funzione specifica, ma ce ne sfugge il perché; e perché ci sono solo in quei tessuti, e non altrove? Forse «una volta» la loro presenza era piú cospicua, forse sono vestigia di un’epoca biochimica diversa? L’eccezione non conferma la regola, ma confonde le idee.
L’asimmetria di cui stiamo discutendo è dunque fragile, ma costantemente presente nella materia viva, a cui è forse necessaria evolutivamente affinché non subentrino «errori» spaziali nella costruzione delle proteine. Resta da discutere il secondo, ben piú misterioso perché: ancora con Aristotele, quello della causa efficiente. Ammessa, o almeno sospettata l’utilità dell’asimmetria (ci sono altre asimmetrie: quella in questione è stata chiamata chiralità; com’è facile dare nomi greci alle cose che non si capiscono! dopo, sembra di capirle meglio), ci si domanda di dove essa abbia potuto trarre origine. Evidentemente, da un’altra asimmetria, ma quale? Esaminiamo le varie ipotesi che sono state proposte, o che potrebbero esserlo.
1) La terra gira, ed apparentemente il sole gira intorno alla terra. Nell’emisfero nord, e a nord del tropico (ed analogamente a sud del tropico del Capricorno) l’asimmetria c’è ed è vistosa: per chi guardi a sud, il sole sorge a sinistra e tramonta a destra, il che ha certamente un effetto ad esempio sul senso di avvolgimento dei viticci, e forse anche (e qui prego gli esperti di darmi conferma o smentita) sulla torsione che presentano i fusti di molti alberi; sarebbe interessante osservare se il senso è, almeno tendenzialmente, lo stesso in tutti gli alberi di una certa specie nell’emisfero nord, ed inverso negli alberi della stessa specie nell’emisfero sud. Infatti, la «mano» (la chiralità, appunto) di tutti i fenomeni legati alla rotazione terrestre si inverte cambiando emisfero: l’erosione delle sponde dei fiumi, il senso preferenziale dei vortici, la direzione degli alisei. Questo è di grave ostacolo alla nostra prima ipotesi: porterebbe ad ammettere che la vita, o almeno l’asimmetria vitale, comunque sia nata, sia nata in uno solo dei due emisferi, per diffondersi poi nell’altro quando era già consolidata: cosa non impossibile, ma neppure gradevole. Fa pensare ad un fenomeno una tantum, possibilità che discuterò dopo, e che piace poco a molti e molto a pochi.
2) È facile produrre in laboratorio luce polarizzata circolarmente. È meno facile spiegare in termini discorsivi che cosa sia questa luce: basti dire che ha la simmetria (o l’asimmetria) del filetto della vite, che cioè è «chirale», e che quindi può essere destra o sinistra. Tale luce, in opportune lunghezze d’onda, può essere assorbita in misura differenziale da uno dei due antipodi di una coppia, e decomporlo piú velocemente dell’altro; o può agire sulla miscela di reazione con cui il chimico sta tentando di sintetizzare un composto asimmetrico. In entrambi i casi, gli esperimenti hanno effettivamente condotto a miscele squilibrate, e quindi otticamente attive, seppure in misura assai piccola. Ora, in certe condizioni, in natura è polarizzata circolarmente la luce riflessa dell’acqua: ma appunto, a seconda degli angoli e dell’ora, può essere destra o sinistra con uguale probabilità. Si ricade in una difficoltà simile a quella della prima ipotesi: è ammissibile che la vita esista grazie ad un singolo evento puntuale? Che cioè sia stata colta a volo la luce riflessa in un certo istante da una certa pozzanghera?
3) Come ho accennato prima, l’asimmetria che ci interessa esiste in natura in alcune strutture cristalline inorganiche: tra l’altro, nel comunissimo quarzo. Ci sono cristalli di quarzo destri e sinistri; in laboratorio sono state condotte sintesi di composti asimmetrici in presenza di polvere di quarzo di «mano» omogenea, ed il prodotto ottenuto era otticamente attivo. Ma, di nuovo: i quarzi destro e sinistro esistono in natura con la stessa abbondanza. In verità, alcuni ricercatori hanno sostenuto che è piú abbondante il quarzo destro, ed altri lo hanno negato. Anche nella ricerca scientifica è facile incontrare chi scambia ciò che è con ciò che desidera sia.
4) Il campo magnetico terrestre, attualmente molto debole, possiede l’asimmetria richiesta, e la possiede in ogni suo punto, senza le inversioni e la saltuarietà che indeboliscono le ipotesi precedenti. Quindi avrebbe potuto pilotare una stessa sintesi asimmetrica in tutti i punti della superficie terrestre, a favore di uno solo dei due antipodi. Ma qui insorgono altre due difficoltà: in primo luogo, a quanto mi risulta (ma non ho mai avuto, né tanto meno ho adesso, dopo tanti anni di obsolescenza chimica, la minima competenza in questo campo: se qualcuno sa qualcosa di piú, sarò lieto di disdirmi) non esistono reazioni organiche sensibili ad un campo magnetico di intensità ragionevole, salvo forse quelle che coinvolgono atomi di ferro, nichel o cobalto; in secondo, i geologi sono ormai certi che l’orientamento del campo magnetico terrestre si inverte al ritmo di qualche decina di migliaia di anni. È pensabile che questo campo, in epoche remote, sia stato enormemente piú intenso, e costante per un tempo abbastanza lungo per incubare la vita?
5) Il dramma potrebbe essersi svolto in vari tempi. Un «brodo primordiale» come quello ottenuto in vitro da Miller, composto in ugual misura da amminoacidi destri e sinistri; poi un loro aggregarsi in filamenti, probabilmente omogenei, DDD… ed SSS…; l’instaurarsi, secondo una delle molte ipotesi proposte, della vita in forma «binazionale», in cui i due ceppi erano incapaci di metabolizzarsi a vicenda ed erano fra loro in competizione; una lunghissima iliade, una silenziosa contesa di milioni di anni tra la vita destra e la vita sinistra, tra loro nemiche ed incompatibili; ed infine, in mancanza di una retroazione, il progressivo prevalere della vita sinistra fino alla situazione attuale: nella quale, l’enigmatica presenza degli amminoacidi destri nella pelle delle raganelle potrebbe avere il senso di una minuscola sopravvivenza. È veramente un peccato che nei fossili (salvo quelli recentissimi, come accennato prima) non si conservi traccia dei tessuti organici: altrimenti, sussisterebbe la speranza di rinvenirvi i segni di quell’antica contesa, che sa vagamente di Zarathustra. O che forse esistano in forme chirali gli scheletri di radiolari o di diatomee? Sarebbe un bel tema per una tesi di laurea.
6) L’ipotesi dell’evento singolo, dell’una tantum, non è simpatica e non porta lontano, ma non può essere esclusa: abbiamo visto che fa capolino come presupposto di alcune delle ipotesi delineate. Potrebbe essere piovuto dallo spazio un germe (una molecola di Dna, una spora, un frammento proteico) che conteneva in sé il principio dell’asimmetria e della vita: proposta onorata dal tempo, che di recente è stata rispolverata nientemeno che da Francis Crick, lo scopritore del codice genetico, ma che sposta solo il problema in uno spazio e in un tempo che non ci sono accessibili. Resta lo scenario dell’evento singolo terrestre, unico, spontaneo e casuale, non impossibile, ma estremamente improbabile. Sui fatti unici non si costruisce scienza, e quindi il discorso finisce presto, con un atto di fede (o di diffidenza); ma questo scenario è reso meno ostico da un fenomeno studiato da Giulio Natta (il premio Nobel 1963) e da lui esposto nel bel libro Stereochimica, molecole in 3D (EST Mondadori, 1978). Se si costruiscono lunghe catene di molecole, cioè polimeri, senza particolari accorgimenti, si ottengono ovviamente prodotti simmetrici ed inattivi; se invece la polimerizzazione viene condotta in presenza di piccole quantità di una sostanza inerte, ma fortemente asimmetrica, allora anche il polimero ottenuto è asimmetrico in tutta la sua lunghezza. La sostanza inerte si comporta insomma come uno stampo; da uno stampo asimmetrico si possono ottenere pezzi asimmetrici in quantità virtualmente illimitata. Ricorriamo a un’altra similitudine: comprimendo la pasta di farina su una piastra forata, si ottiene uno spaghetto rettilineo anche molto lungo; ma se il foro della piastra è sghembo, si ottiene uno spaghetto altrettanto lungo, ma arricciolato, cioè asimmetrico: destro o sinistro a seconda della forma del foro. Esiste cioè, o si può immaginare, un meccanismo moltiplicatore, che può avere ingigantito e portato alla conquista del mondo un’asimmetria locale, dovuta ad una delle cause descritte sopra, o ad una infinitesima fluttuazione. Del resto, la recente scoperta della radiazione isotropa e fossile non ha costretto la maggior parte degli scienziati a trangugiare con il Big Bang l’amara filosofia dell’evento unico?
7) La chiralità potrebbe avere radici universali. Non cercherò finzioni, non pretenderò di far capire quello che io non ho capito, e che non si può capire nel senso ordinario della parola, che è quello di rifugiarsi nei modelli visivi. La chiralità potrebbe risiedere nel dominio subatomico, quello dove nessun linguaggio è piú valido salvo quello matematico, dove l’intuizione non arriva e le metafore falliscono. Una delle forze che legano tra loro le particelle, l’interazione debole, non è simmetrica; gli elettroni emessi in certe disintegrazioni radioattive sono irrimediabilmente sinistri, senza compensazione; dunque, tutta la materia, anche se al di sotto della sensibilità dei nostri strumenti di misura, è otticamente attiva. Gli antipodi non sono mai veri antipodi: uno dei due, sempre lo stesso, il sinistro, è un po’ piú stabile del suo fratello. Le miscele inattive che il chimico ottiene non sono mai esattamente fifty fifty: c’è sempre uno squilibrio, dell’ordine di uno su un miliardo di miliardi, ma immancabile. È piccolo, ma è piccola anche la chiave di una cassaforte con dentro una tonnellata di diamanti. Se cosí stanno le cose (si tratta di questioni recentissime, ancora calde), l’universo intero sarebbe pervaso da una tenue chiralità, e le compensazioni sarebbero solo apparenti: l’antipodo «vero» dell’acido lattico destro, o della mia mano destra, non sarebbero l’acido e la mano sinistra terrestri, ma quelli sinistri nel reame lontano dell’antimateria. Su questo infinitesimo penchant, su questo capriccio tendenzioso avrebbero poi agito, negli eoni, i meccanismi magnificatori di cui abbiamo parlato. Va bene? Per il momento, è questa la risposta di cui ci dobbiamo accontentare.
Forse devo scusarmi: è difficile essere chiari sulle cose che non ci sono chiare, riuscire comprensibili ai non addetti senza annoiare o scandalizzare gli addetti. Inoltre, so di aver commesso un’invasione di campo, di un campo che non è (piú) il mio, ma a cui avevo dedicato la tesi di laurea. L’ho rivisitato con reverenza, con un po’ di rimpianto, e con il timore di essere incorso in errori: gli anni di quiescenza si pagano.
Ho cercato di aggiornare un problema che rimane aperto, nonostante l’ipotesi eversiva che ho cercato di descrivere per ultima, col rispetto del profano, cioè di colui che si ferma davanti alla soglia del tempio. È un problema forse «inutile», anche se non sempre inutile (se, per esempio, i farmacologi fossero stati piú attenti alla questione dell’isomeria ottica, la tragedia del talidomide si sarebbe evitata. Questo prodotto ha molecola asimmetrica; era stato messo in commercio a suo tempo come «racemo», cioè come miscela bilanciata dei due antipodi, cosí come era stata ottenuta dalla sintesi. Ricerche successive – come quella di Blaschke e altri, Arzneimittel-Forschung, 1979 – sui ratti hanno mostrato che solo l’antipodo sinistro era teratogeno: il destro aveva una normale azione tranquillante. Se i due antipodi fossero stati separati ed esaminati separatamente, nulla sarebbe avvenuto).
In ogni caso è un problema bello e fertile. A differenza dei problemi filosofici, non penso che debba restare aperto per sempre: alcuni dati, anche modesti, potrebbero aiutare. Sono otticamente attivi gli amminoacidi che pare siano stati trovati nei meteoriti? Qualcuno ha provato a condurre sotto un campo magnetico la sintesi di una molecola asimmetrica che contenga ferro? A me, la notizia della chiralità dell’universo, o solo della nostra galassia, è apparsa sconvolgente, insieme drammatica ed enigmatica: ha un senso? E se sí, quale? Quanto lontano porta? Non è un «gioco di dadi», quello stesso che Einstein rifiutava di attribuire a Dio?
In «Prometeo», II, n. 7, settembre 1984.