Dobbiamo proprio vederceli tutti, prima di prendere posizione? Intendo dire, tutti i film sui cui cartelloni compare una donna nuda sullo sfondo della svastica? Penso di no; e del resto il fenomeno non accenna ad esaurirsi. È un itinerario classico: si parte da un’abile contraffazione culturale, da un manufatto di discreto livello qual era Il portiere di notte, si scende di qualche scalino con l’artigianato equivoco di Salon Kitty, e poi si spalancano le porte alle sottomarche, alle falangi dei film porno-nazisti.

Dai produttori del cinema, si sa, non ci si può aspettare molto. In massima parte non sono che affaristi miopi: sono contenti se gli riesce un colpo ogni tre o quattro anni, pagano i debiti (quando va bene) e non si curano d’altro. Molti di loro vivono proprio solo di film porno; è triste, ma ci si può fare poco. Sono un affare sicuro: non sono difficili da fare, costano poco, e rendono molto, perché hanno un loro pubblico fedele, costituito da timidi, da inibiti e da frustrati giovani e vecchi.

A breve termine non ci si può fare nulla: invocare la censura vuol dire rimettersi a giudici inetti e corrotti, e ridare vita ad un meccanismo pericoloso. C’è già adesso, la censura, ma sequestra solo i film intelligenti, anche se talvolta discutibili: i film osceni, purché siano idioti, le vanno benissimo.

Che fare? La cosa migliore sarebbe un boicottaggio da parte del pubblico: una savia educazione sessuale scolastica dovrebbe condurre a qualche risultato, ma ci vorrà una generazione. Per il momento non c’è che rassegnarsi.

Ma per favore, signori produttori, i Lager femminili lasciateli stare. Non sono un argomento per voi, e neppure per i vostri clienti piú affezionati: questi si accontentano di poco, vogliono donne-oggetto in immagine non potendole avere in carne ed ossa, ma del contesto non gli importa. I piú esigenti fra loro desiderano forse assistere, gratis o quasi, allo spettacolo della vergine torturata, ma che il malvagio sia un nazi, o non invece un saraceno, o un filisteo, o un cartaginese, per loro è un dettaglio minore: uno vale l’altro, purché ci sia la sostanza.

No, i Lager femminili non vi sono indispensabili: potete lasciarli stare senza vostro danno. Del resto, non sono un tema congeniale ai vostri registi bisonti. Lo ha detto bene Giuliana Tedeschi, che ci è stata: non erano teatrini sexy; ci si soffriva sí, ma in silenzio, e le donne non erano belle e non suscitavano desideri; suscitavano invece una compassione infinita, come fanno gli animali indifesi.

Quanto alle SS, per lo piú non erano dei mostri, né dei mandrilli idioti, né dei bellimbusti pervertiti: erano dei funzionari dello Stato, prima pedanti che brutali, sostanzialmente insensibili all’orrore quotidiano in mezzo a cui vivevano, ed a cui sembravano abituarsi presto anche perché, accettando di sorvegliare i Lager, evitavano di farsi spedire «a coprirsi di gloria» sul fronte russo. Insomma, non erano belve eleganti e stilizzate, ma omuncoli volgari e vigliacchi. Se avevano accettato il loro triste mestiere dovevano pure essere dei mutilati mentali, inibiti e rozzi come i vostri clienti. Ho spesso pensato che a loro le vostre pornosvastiche sarebbero piaciute.

In «La Stampa», 12 febbraio 1977.