Cose dell’altro mondo
Ben curioso è il nostro percorso, parlo di quello del genere umano al quale ognuno di noi si trova a partecipare. Da poco più di dieci anni, da quando cioè è iniziato lo studio delle implicazioni evolutive del DNA mitocondriale umano, i calcoli statistici e i rilevamenti sui campioni di popolazione hanno dato la certezza di un’Eva primordiale e unica dalla quale tutti discendiamo. E l’evento è avvenuto ieri mattina solamente, circa sessanta, ottanta, massimo centocinquantamila anni fa, dalle parti più o meno del Ciad. La vecchia Lucy, invece, di anni ne ha tre milioni e mezzo ed è quindi solo una nostra parente lontana e soltanto perché già sapeva camminare eretta. L’Eva primigenia che ebbe la fortuna di far razza dopo avere subito una fortunata o provvidenziale alterazione genetica è la nostra vera nonna. I suoi parenti per un poco si moltiplicarono e poi furono presi dal raptus dello spostamento. Se ne andarono dalle parti della Cina e poi giù in America attraverso Bering. Più di recente una costola staccata decise di andare a vedere come si stava fra i fiumi della Mesopotamia per inventare un nuovo modo di vivere neolitico. Furono fortunati, perché dopo l’ultima glaciazione che fece morire di raffreddore molti altri cro-magnoniani circa diecimila anni fa, loro, sopravvissuti, vennero dalle parti nostre con asini e sementi. Ecco perché siamo tutti parenti e si ritrovano curiose similitudini tra le facce delle tribù Moche in Perù, alcuni oggetti della Cina neolitica e i segni dei camuni. Ecco il motivo che spinge il nostro interesse oltre le ricerche scientifiche alla ricerca talvolta morbosa dei cugini dimenticati. Ecco la radice teorica che potrebbe legittimare una globalità sotterranea ben più trascinante di quella della rete mediatica. Anche se nel frattempo ogni nucleo ha tracciato il solco delle proprie abitudini e le ha poste come sedimento dell’altra parte di noi, sicché si parla ancora nahuatl in Messico e svizzero-tedesco a Berna. E allora come facevano a essere così svegli prima di noi, ammettendo il doppio registro del nostro comportamento, Shakespeare («Custom is almost a second nature», The Two Gentlemen of Verona), Blaise Pascal («La costume est une seconde nature qui détruit la première», Pensées) e Schiller («Gewohnheit is eine zweite Natur, denn aus Gemeinen ist der Mensch gemacht», Wallenstein) quando non c’era ancora l’antropologia culturale?
(da “Art e Dossier” n. 261, dicembre 2009)