A muso duro
Quello che passa per “stile fascista”, in particolare per quanto riguarda pittura e scultura, è in realtà parte di un gusto e una tendenza condivisi e trasversali, non necessariamente ed esclusivamente tipici dei totalitarismi o dell’Italia del Ventennio. La mascella volitiva parte dalla Grecia classica e attraversa i secoli, gli stili e anche l’oceano.
Fino a trent’anni fa apprezzare le virtù estetiche dell’Eur a Roma, delle Poste di Brescia e di Palermo o del Tribunale di Milano appariva poco corretto sia dal punto di vista del gusto che da quello della gentilezza del sentire democratico. Si poteva solo in rari casi, grazie alle Piazze d’Italia di Giorgio de Chirico, sostenere che v’era una sottile vena metafisica in quelle architetture, pur dovendo ammettere che s’erano caricate d’una enfasi retorica che solo il Ventennio fascista aveva potuto determinare. Ma se gli edifici potevano essere almeno analizzati, la scultura e gran parte delle pitture che li decoravano erano soggette a una condanna senza appello. Era quello, per chi sposava le tesi della modernità postbellica e dell’astrazione pittorica, un mondo privo d’interesse e condannato all’oblio quanto la mascella volitiva del Duce che lo aveva ispirato (figure 41 e 42). Sono passati ormai sessantatre anni dal 1945 e le stesse parti politiche d’anteguerra, trasformate dalla storia, in parte governano il paese. L’argomento va riesaminato.
La prima folgorante constatazione viene dall’osservare che quello stile non era affatto solo peninsulare ma vigeva trasversalmente attraverso l’Occidente. L’analogia fra le muscolature esaltate d’Italia e quella dei lavoratori del socialismo sovietico nei manifesti di propaganda portò alcuni a pensare che si trattasse d’una naturale inclinazione formale alla quale spingeva lo spirito del totalitarismo. Ma Léon Blum, finissimo critico letterario e teatrale della “Revue Blanche”, a capo del Fronte popolare della sinistra francese e del governo nel 1936 e nel 1938, sosteneva la medesima architettura per la costruzione del Trocadéro durante l’Expo del 1937, in un paese che viveva tutte le fluttuazioni della Terza repubblica (figura 46). E il lungo governo americano del democratico Roosevelt, eletto per ben quattro volte a partire dal 1932, decorò le piazze della politica a Washington con sculture sostanzialmente analoghe dinanzi a edifici similari (figura 45). Il gusto geometrico e iperelegante dell’Art Déco nelle sue varie declinazioni, stabilito come nuovo paradigma nella mostra parigina del 1925, periclitò rapidamente a partire dalla crisi economica del 1929 dovuta al crollo di Wall Street. Venne sostituito da una nuova visione a partire dai primi anni Trenta, gli anni nei quali il New Deal tentava di ridare speranza alle genti impoverite dalla più potente tormenta finanziaria che il mondo moderno avesse affrontato. Assieme al Social Security Act nasce l’impegno pubblico per l’arte, mentre in Italia sorgono la Triennale di Milano e la Quadriennale romana. Ci vollero muscoli potenti per uscire dalla Grande depressione. Occorrevano mascelle forti come quella di Dick Tracy, come quella di Superman o come quella, appunto, di Benito Mussolini, il quale visto sotto quest’ottica diventa, più che protagonista d’un gusto nuovo, autentico mito pop.
Non vi fu dunque uno “stile fascista” ma una cifra estetica trasversale che toccava l’Occidente di qua e di là dall’Atlantico, nell’architettura, come nella scultura pubblica e come altrettanto nel design che si stava diffondendo dall’ambiente domestico alle carrozzerie dei locomotori. Questa cifra voleva essere globalmente restauratrice d’un ordine perduto suscettibile di sorpassare le contingenze nefaste e trovò, come ogni percorso neoclassico, una fonte d’ispirazione negli ultimi ritrovamenti archeologici, quelli più olimpici mai avvenuti. L’archeologo Ernst Curtius aveva, a partire dal 1875, intrapreso gli scavi a Olimpia (figura 44), compiendo alcuni ritrovamenti che gli diedero immediata fama, fra i quali quello dell’Hermes di Prassitele. Olimpia divenne il “caso mondiale” d’una grecità originaria riapparsa e i cinque volumi del Curtius, dopo essere stati acquistati da ogni accademia di rispetto, conclusero il secolo con l’indicazione d’uno stile nuovo che avrebbe, nel giro d’una generazione, mutato il gusto (figura 43). La spedizione comprendeva anche due architetti, Friedrich Adler, che muore nel 1908 dodici anni dopo l’archeologo, e il giovane Wilhelm Dörpfeld che avrà la fortuna di partecipare ai lavori di Schliemann a Troia e alla scoperta infine dei reperti di Pergamo. L’edificio che si costruisce a Berlino per il Pergamonaltar può facilmente essere considerato il prototipo linguistico della Federal Reserve di Washington, costruita nel 1936, l’anno d’ultimazione dello stadio di Norimberga per i giochi olimpici. Il frontone del tempio del Pergamon Museum contiene già le mascelle convinte. Il non dolce “Stil novo” conquista il mondo in un’onda di sincretismo che ridisegna anche la latinità del legionario, arco romano compreso, che si sottomette alla trabeazione; si fa d’ogni erba un fascio: Tout se tient.
(da “Art e Dossier” n. 245, giugno 2008)