Il primato del disegno

Marcel Duchamp, quando diventa il guru dell’avanguardia americana alla Société Anonyme e a Yale, smette apparentemente di provocare e fra una partita a scacchi e l’altra si rimette a disegnare piccoli croquis dal sapore neoclassico. O è forse quella la più intima delle sue provocazioni sottili? In realtà egli ha sempre disegnato perché ha sempre progettato, e in francese la parola disegno (dessin) è diversa dalla parola disegno (dessein) perché quella “e” suppletiva non cambia la pronuncia ma il significato: nel 1603 Maximilien de Béthune pubblica Le Grand Dessein, trattato politico che avrà influenza fondamentale sul ministro Sully e sul conflitto con gli Asburgo; e forse sta lì l’origine della Grandeur che tuttora affligge come una sorta di perenne patologia i nostri parenti d’Oltralpe. Dal Grand Dessein al Grand Verre la strada è breve, solo che il Grand Verre è un grand dessin. Tutta una questione di “e”: il diavolo fa le pentole ma non le vocali. Il disegno è il massimo dei progetti quando lo si intende per il verso del disegno politico, è la base della lingua visiva quando è compiuto con la matita o la penna. Ciò che forse più colpisce nel guardare la formidabile sinopia di Pisanello a Mantova, è l’attualità del segno grafico, che potrebbe essere quello d’un fumetto di Hugo Pratt. Sorprende sempre, nelle sinopie, la vicinanza psicologica dei segni, a tal punto che si potrebbe avanzare l’ipotesi – confermata dal bel disegno puerile nel ritratto di Caroto del museo di Castelvecchio a Verona – che il nostro segno di base è quasi sempre il medesimo e che solo l’articolazione ulteriore del linguaggio rappresentativo, la coloritura, serva a dare la forma e lo stile che identificano l’epoca. Avviene così anche nella calligrafia: ci sono esempi di note corsive del Quattrocento conservate alla Vaticana che sembrano scritte oggi con un pennarello. È la scrittura ufficiale dei testi definitivi che assume uno stile databile con facilità. E la logica rimane uguale anche quando si tenta di definire la differenza fra un disegno originario che vada dai graffiti rupestri ai giochi di Paul Klee in paragone con gli svolazzi dei disegni barocchi che ritrovano un parente diretto negli affreschi ellenistici di Castelseprio, nel Varesotto, i quali sono contemporanei del rigore bizantino già trionfante. La calligrafia della scrittura rapida sta oggi scomparendo perché noi tutti stiamo digitando sulla tastiera, la velocità dello scrivere futuro non è da calligrafo ma da dattilografo. Molti architetti giovani hanno perso la pratica dello schizzo per sostituirla con quella del rendering. E nelle arti visive d’oggi, nella questione della matita appunto, cosa avverrà? Duchamp disegnava benissimo.

(da “Art e Dossier” n. 276, aprile 2011)

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