Manierismi e virtuosismi

L’ideologia del traditore di Achille Bonito Oliva è del 1976 e fu un libro allora assai dirompente perché ebbe tre effetti: rese noto per la prima volta un giovane critico d’arte contemporanea che dimostrava una qualità oggi scomparsa, quella cioè d’avere dimestichezza anche con la storia dell’arte; sdoganò un modo di scrivere innovativo; tentò di dare al manierismo un collocamento ideologico nel quale apparivano il suo senso della morte, lo spostamento della figura dell’intellettuale e la necessità per questo di reinventare un mondo che non gli garbava. Lo stile di scrittura era oggettivamente arrovellato quanto la vita creativa dei protagonisti analizzati. «Il Rinascimento accetta di star tutto dentro la realtà con una sorta di coscienza felice, perché l’intelletto si volge sul versante della conoscenza e della prassi risolta […]. Il secondo Cinquecento rappresenta, rispetto ai modelli rinascimentali, all’esser dentro della ragione rispetto alla realtà, l’esser fuori di un linguaggio che sa, con coscienza infelice, di non poter parlare altro che di se stesso. Un linguaggio che si pone come doppio e specchio della realtà, già di per sé dissestata, ambigua. Un linguaggio i cui codici sono quelli dello stile o della follia, costituiti e tutti rivolti al significante più che al significato. Di fronte al ricatto dei contenuti non può che rispondere col sogno, l’autoinganno, l’ironia».

Vi è senz’altro, in questa esposizione, l’intuito d’una crisi di coscienza che non trova soluzione fuori dalla lingua già sancita ma la va a cercare nel replicarla con brio. Allora diventa il manierismo una pratica naturale e costante delle espressioni artistiche, pratica che si manifesta ogniqualvolta ci si trovi ad affrontare una crisi profonda del pensiero e l’urgenza espressiva diventi prioritaria rispetto alle lingue già note. Dinnanzi alla Riforma protestante nordica che nel XVI secolo fa crollare le basi dell’Europa preesistente, le arti italiane reagiscono con una replica esasperata degli stilemi esistenti portandoli al parossismo prima che la Controriforma del Concilio di Trento non le spinga verso la rivoluzione caravaggesca. Dinnanzi alla crisi dell’Europa delle corti del Settecento, quella che porterà da una guerra all’altra per sessant’anni, la pittura francese perde il gusto del proprio classicismo da Grand Siècle per evaporare nelle eleganze di Fragonard e Watteau prima di trovare nuovo vigore in David. La seconda guerra mondiale sembra voler chiudere definitivamente il ciclo delle avanguardie ma Duchamp figlierà nel neodada di Daniel Spoerri e l’astrattismo nell’informale etilico di Turcato. Il manierismo è a ciclo continuo. L’anno di pubblicazione del testo di ABO è emblematico perché proprio allora si fermavano le ultime iscrizioni all’avanguardia. Da allora c’è chi si trova in attesa messianica del prossimo Caravaggio. Oppure…

(da “Art e Dossier” n. 269, settembre 2010)