Mediterraneo
Fernand Braudel in La Méditerranée et le monde méditerranéen à l’époque de Philippe II (1949) inverte il concetto di storia così come si era plasmato a partire da Francesco Guicciardini fino a tutto il XIX secolo: già nel titolo tutto si spiega, perché non si parla di Filippo II se non per delimitare l’epoca dell’indagine, in quanto la questione centrale è il Mediterraneo. Con Braudel inizia un nuovo modo di concepire la storia e la sua analisi, dove il contesto, il modello e la struttura sono più importanti dei singoli eventi e delle avventure personali. Anzi, ne proviene una conseguenza per un certo senso rivoluzionaria del modo di pensare; la longue durée diventa quasi un dato stabile del comportamento storico, un sedime sul quale le cose di tutti giorni avvengono senza mutare alla radice le caratteristiche dei mondi specifici. Così la storia entra naturalmente in dialogo con l’antropologia culturale e in particolare la storia dell’arte si fa strumento acuto per indagare e capire le aree diverse dell’umanità.
L’architettura, la scultura e la pittura sono da quattro millenni dati stabili di questa cultura mediterranea che trae le sue origini ataviche nella città di Ur e nella civiltà sviluppatasi fra i due grandi fiumi che alimentano le terre mesopotamiche. La stabilità e la durata sono dati necessari e fondativi di queste lingue espressive, quanto lo è la scrittura che con loro evolve e dalla loro passione figurativa scaturisce. I grandi popoli nomadi che negli ultimi duemila anni hanno rimescolato le popolazioni del Nord Europa e dell’America così come quelle del Mediterraneo meridionale, cioè i barbari delle invasioni e gli arabi dell’Egira, hanno pratiche diverse, sono costruttori e non architetti, narratori e non pittori, intagliatori di raffinati oggetti mobili e non scultori.
Le arti occidentali si sono sviluppate nell’ultimo millennio e mezzo grazie al confronto dialettico fra questi due potentissimi poli stabili fino a raggiungere la sintesi della modernità nel XIX secolo. Nell’ultimo secolo il coagulo si è dimostrato instabile e il movimento delle identificazioni è sembrato rimettersi in moto. Henri Matisse, borghese ottocentesco nato nell’estremo Nord della Francia, è morto a Nizza in pieno XX secolo. Aveva trasferito il concetto di Luxe, calme et volupté, inventato da Baudelaire come invito al viaggio verso la Normandia, in un dipinto del 1904 realizzato nella luce e nei colori della Costa Azzurra. E le sue odalische sognano il tepore d’un Nord Africa dove Paul Klee scopre la sua vocazione moderna, così come per Fernand Braudel, appunto, la prima sede d’insegnamento nel 1924 è l’Algeria nella quale André Gide, coetaneo di Matisse, aveva scoperto la sua libertà letteraria prima che vi nascesse quella di Albert Camus. Pablo Picasso porta prorompente la forza del Mediterraneo a Parigi, come de Chirico vi porta la visione greca. Il Sud è culla del colore franco, della forma dichiarata, della materia plasmata. Tema oggi utile da ricordare a New York e a Londra, dove ci si è dimenticati del flash visivo che colpì Turner nella laguna di Venezia.
(da “Art e Dossier” n. 274, febbraio 2011)
