L’origine della goccia

La nascita dell’Action Painting si intreccia, negli Stati Uniti, con l’influsso dell’astrattismo europeo, con i fermenti artistici e politici dei decenni che precedono la seconda guerra mondiale, con l’America profonda e rurale della Grande depressione. Un percorso rintracciabile nella formazione stessa del protagonista principale del movimento, Jackson Pollock.

È molto probabile che la rivoluzione del gusto che avvenne a New York a cavallo fra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta del secolo scorso, a guerra appena finita, e che portò l’innovazione delle arti a una negazione definitiva del contenuto e della figura sostituendole con l’energia del segno, è molto probabile, appunto, che potesse piacere non solo a chi la stava teorizzando nel mondo dell’estetica – Clement Greenberg, il freddo esperto di un’arte fine a se stessa e confinata sulla superficie dipinta, e Harold Rosenberg, l’azionista per il quale la tela era «an arena in which to act» dove il risultato era «not a picture but an event» – ma che potesse pure essere estremamente gradita al sinistro senatore McCarthy, quello che voleva vedere scomparire da ogni opera il significato per evitare ogni ipotesi di pensiero sovversivo.

Altrettanto vero è che il cambio del gusto che si opponeva a un’iconografia troppo rappresentativa e trionfante aveva le sue radici negli anni Trenta, laddove originariamente le aveva piantate Hans Hofmann, il pittore bavarese che, dopo un assaggio di America californiana all’università di Berkeley, si stabilì a New York nel 1933 insegnando contemporaneamente le due ricette germaniche dell’espressionismo e dell’astrattismo e mescolandole con sapienza (figura 52). In rapida successione arrivarono, durante il conflitto, i surrealisti più lontani dalla figurazione, Gorky e Matta, a rafforzare ulteriormente una pianta che aveva già trovato il proprio terreno.

È questo il clima nel quale si sviluppò la forza esistenziale di Jackson Pollock. Solo parzialmente. Perché l’altro mondo, proprio quello della poi odiata figurazione americana degli anni Trenta, è forse per il futuro dripper altrettanto “genetico”, per via delle motivazioni profonde che si trovò a dargli. Si sa che fu allievo di Thomas Hart Benton, e si attribuisce solitamente a questo periodo della sua vita solo lo scontato percorso di un necessario inizio formativo. Ben più complesso il caso Benton. Niente affatto da considerarsi un pittore provinciale in quanto regionalista, o poverello in quanto raffigurante i poveri, bensì figlio di un senatore del Missouri e addirittura pronipote del primo senatore che il suo Stato mandò in Parlamento, quindi frutto di una famiglia dotta ed evoluta, partecipe dei movimenti della politica americana del Midwest (figura 51). Ed era lo stesso Midwest dal quale proveniva Pollock, nato nel Wyoming.

Benton sarebbe andato a insegnare, alla fine degli anni Venti, nella stessa Students Arts League di New York dove stava per arrivare Hofmann. E vi è presente negli anni della Grande depressione quando il nuovo governo democratico di Roosevelt lancia il progetto dell’arte sociale coordinato dallo WPA Federal Art Project, dove la sigla sta per Works Progress Administration, cuore pulsante del New Deal. Il progetto si proponeva di finanziare centinaia di artisti disoccupati portandoli a lavorare in opere pubbliche attraverso oltre cento sedi sparse in tutto il territorio degli States. Politicamente era talmente pluralista da accogliere lo stalinista dichiarato David Alfaro Siqueiros, il quale – dal suo Messico che si riteneva essere, ben più della Russia, patria di ogni rivoluzione poiché entrato nel turbine già nell’anteguerra – era venuto a propagandare la sua fede politica nel medesimo anno, il 1936, nel quale a Mosca si celebrava il primo processo-spettacolo della politica contro Trockij. Proprio allora gli viene offerto un workshop di arte politica per preparare lo sciopero generale del Primo maggio in difesa della pace, ovviamente con un occhio rivolto alla guerra civile spagnola. Siqueiros presenta i suoi murales un anno prima che Picasso presenti il suo, Guernica, all’Expo di Parigi. E al workshop partecipa Jackson Pollock che vi impara a usare la pittura liquida, quella che serve a ricoprire con rapidità i muri, quella che lui stesso, pochi anni dopo, farà sgocciolare sulla tela. Tela che terrà regolarmente sul pavimento e che gli permetterà di dichiarare: «I miei dipinti non vengono dal cavalletto. Preferisco attaccare la tela al muro, o metterla sul pavimento: ho bisogno della resistenza di una superficie dura; il pavimento è perfetto. Sento più vicina ogni parte della pittura, in questo modo posso camminargli attorno, lavorarci da ogni lato, letteralmente essere nella pittura».La sua indagine successiva sul popolo indiano non corrisponderà quindi a una sofisticata metodologia antropologica ma proverrà dalla prassi politica vissuta.

Quanto a Siqueiros, egli tornerà in mezzo alle turbolenze politiche del suo paese dove sarà coinvolto (sembra) nella preparazione dell’assassinio di Trockij. E dove si troverà a fianco di un’altra pasionaria, Tina Modotti, forse anche lei arruolata non del tutto volontariamente nei servizi stalinisti (figura 53).

Tutto più facilmente comprensibile se si tiene conto dell’atmosfera generale di esaltazione e delle notizie lontane che narravano lo scorrere dei cingoli di carro armato nelle città della vecchia Europa. Sta di fatto che anche la Modotti fugge verso gli Stati Uniti, dove va a farsi proteggere dal suo amante di tanti anni prima, il fotografo Edward Weston, il quale aveva costituito a San Francisco il nucleo di fotografi Group f/64 già nel 1932, anno in cui era iniziata tutta la movimentazione rooseveltiana. Tutto un meccanismo che si tiene, compreso Diego Rivera che dipinge nel 1932 i ventisette pannelli sull’industria a Detroit, ha una mostra l’anno successivo al MoMa di New York e si vede rifiutare il grande affresco al Rockefeller Center solo per una sollevazione della stampa conservatrice, mentre il committente non avrebbe trovato nulla di male al ritratto di Lenin che conteneva.

La fine della guerra, compresa l’esplosione della bomba atomica, cambia molto il clima.

Nel 1945 Pollock si sposa con la pittrice Lee Krasner e se ne vanno i due a vivere in una sorta di capanna-studio a Long Island. Lì, nel granaio, porta a compimento la sua tecnica. Peggy Guggenheim gli aveva prestato i soldi per il contratto d’affitto. Il settimanale “Life” gli dedica quattro pagine nel 1951, chiedendosi se è proprio lui il più grande artista d’America. E quasi subito smette il dripping. Muore cinque anni dopo, l’11 agosto 1956, alcolizzato, in un car crash dove lui guidava la sua decappottabile, un anno dopo James Dean, che s’era ucciso con la Porsche spider il 30 settembre 1955. La prima serie di dipinti noti di Andy Warhol negli anni Sessanta si intitolerà proprio Car Crash.

E così iniziò la storia, nell’esistenzialismo totale. Andò a evolvere successivamente nei salotti e nei ristoranti di lusso.

(da “Art e Dossier” n. 250, dicembre 2008)