Introduzione
La curiosità sarà anche un difetto e l’ozio un
vizio, ma i due elementi, combinati insieme, sono un utile
strumento di sopravvivenza. Per guardare le opere d’arte. La
curiosità che accomuna gli uomini ai gatti e alle scimmie. L’ozio
che li imparenta ai ghiri e alle lucertole al sole. Ma pure la
curiosità primo motore della ricerca scientifica e l’ozio
condizione necessaria alla prima elaborazione del pensiero
filosofico. Stare fermi e scrutare implica i due comportamenti,
richiede al contempo sangue caldo e freddo, capacità di veglia
isolata notturna e piacere cenobitico da esseni abbronzati. La
grande filosofia germanica indaga costantemente il pensiero che
gira all’interno della propria testa e raggiunge così gradi
elevatissimi di arrovellamento nella Critica
della ragion pura (1781). L’antica filosofia greca scruta il
mondo esterno e così facendo elabora la sua kritike, elaborata sul kriterion. Perché la critica nasce dal
, dal distinguere, dal giudicare dopo
avere distinto. E dal verbo krino nasce
anche il crinale, la linea alta del monte che ha due lati
discendenti diversi, inesorabilmente condannati ad allontanarsi
l’uno dall’altro. I criteri sono gli strumenti del sapere che
consentono la distinzione, quindi il giudizio e infine il pensiero
critico. Facilissimo. La metodologia della critica è quindi la
medesima di quella del pettegolezzo. Stesso percorso:
criterio-giudizio-pensiero. Stessa necessità di non lasciare
correre la questione solo nella propria testa, ma di guardare fuori
dalla finestra, con curiosità e ozio ovviamente.
Questa è una piccola raccolta di pettegolezzi suscitati dallo scrutare la storia delle arti. E pettegolezzi lo sono per un motivo sostanzialmente etico. Che c’è di più bello che l’interessarsi agli esseri umani? Il mondo delle arti è intimamente ambiguo. Anzi solo ciò che è ambiguo può essere considerato arte. I tre fanciulli appesi a un albero in una piazza milanese da un pubblicitario veneto non sono arte per mancanza di ambiguità. La loro lettura univoca è ragione della loro banalità. Mentre il mondo delle arti consente letture in direzioni diverse: è quindi etimologicamente ambiguo (va per ambo i lati del crinale) e triviale (porta a tre vie almeno). L’opera d’arte può generare stimoli stilistici, può suscitare voglie interpretative, può segnare la strada evolutiva delle tecniche della percezione e della restituzione di questa percezione, può limitarsi all’evoluzione delle pratiche materiali della sua realizzazione, oppure può riassumere tutte le contraddizioni o tutte le combinazioni di questi vari percorsi per diventare il più attraente campo d’indagine per chi abbia interesse nei suoi simili, gli altri uomini, o addirittura la specie che governa il nostro permanere sulla terra.
Perché sono tantissimi gli altri esseri
umani. Vivi taluni, semivivi talaltri, morti tantissimi, ma non per
questo meno interessanti. La più bella festa della liturgia
annuale, per chi è mosso da pulsioni pettegole e quindi da voglie
antropologiche, è senz’altro la festa di Ognissanti. L’umanità non
è solo costituita dai vivi. Anzi. Son talvolta ben più vivi i morti
di quanto non siano vivi i vegeti. Noi dialoghiamo costantemente
con la specie, che è fatta da ben più personaggi dei soli sette
miliardi di esseri oggi censiti sul pianeta. Platone è ben più vivo
d’una capogruppo parlamentare che ci tocca vedere ogni sera nel
telegiornale. Il capogruppo non lo incontreremo forse mai e le
leggi che potrà proporre faranno fatica a essere votate; qualora lo
fossero, ben marginali saranno comunque rispetto ai codici già
scritti, quelli che discendono dall’imperatore Giustiniano. Per la
nostra vita personale, quanto per gli equilibri della specie, vale
più Giustiniano dell’ingiustificato capogruppo. E Platone comunque
è il più presente di tutti poiché ha influenzato alla radice il
pensiero di Michelangelo. Anche Michelangelo non lo incontreremo
mai, è egli ridotto a un mucchietto d’ossa che possiamo andare a
visitare in Santa Croce a Firenze, bel sarcofago in impianto
manierista. E già che ci siamo, nella stessa chiesa possiamo
salutare le ossa di Galileo Galilei, bel sarcofago in impianto
barocco. Due passi in più per rendere omaggio alle ossa
dell’umanista Leonardo Bruni, in un bell’impianto del primo
Rinascimento inventato da Bernardo Rossellino. Ma oltre alle loro
tombe così artistiche possiamo incontrare e magari toccare la
Pietà Rondanini, possiamo leggere il
dialogo inventato dal Bruni fra l’eroico Coluccio Salutati e il
bibliofilo Niccolò Niccoli nell’Ad Petrum
Paulum Histrum, possiamo studiare Il
Saggiatore e meditare sulla , la Repubblica di Platone. Questi “santi” sono per noi
ben più concreti del povero capogruppo parlamentare. Ecco perché
Ognissanti è una festa così commovente ed ecco pure il motivo per
il quale precede consolatoria la festa dei Morti.
Contemplare le arti, tentare, più che di conoscerle, di capirle, vuol dire entrare in contatto con tutti loro. È questo il percorso esoterico d’una iniziazione che consente di porli in relazione con i nostri compagni di viaggio vivi, i quali meritano la medesima interessata curiosità. Viene naturale allora applicare i medesimi criteri d’attenzione a una statua cicladica e a un ferro di Kounellis. I tipi e gli archetipi, gli stili e gli stilemi: tutto proviene dall’infinita generosità della passione creativa, sciamanica nelle grotte di Altamira, metafisica nelle piazze di de Chirico, mistica in Piero e coquette in Renoir, politica in Eugène Delacroix come in Joseph Beuys, umana e affettiva in Caravaggio come in Grosz. Esistono specialisti che studiano con attenzione i singoli artisti e gli specifici momenti storici. A loro, agli scholars di tutte le epoche, dobbiamo gli strumenti che ci permettono di giocare l’infinito gioco delle relazioni e dei rapporti. A noi il compito della curiosità. A noi la gioia del dialogo con la specie. E a chi cerca solo la soddisfazione bassa dell’arricchimento, dell’investimento, del reddito, a chi propone l’avvilimento nella crapula della contingenza, a chi esalta lo sterco del diavolo venga lanciato l’anatema dell’inferno dantesco.