La battaglia dell’Ernani
Nei primi mesi del 1830, a Parigi, nel clima greve del regno di Carlo X, una generazione di artisti e uomini di cultura esprime il proprio dissenso: Victor Hugo mette in scena l’Ernani, un vero e proprio manifesto. Si prepara la Rivoluzione di luglio.
La figura dell’intellettuale corrisponde a una mutazione assai recente dell’uomo occidentale. Fino alla fine del XIX secolo chi si occupava di questioni letterarie o di pensiero era considerato scrittore, filosofo, pensatore, uomo di scienze ma non intellettuale. È solo dopo il J’accuse di Zola nel 1898, in quel dibattito che infiammò l’opinione pubblica di Francia sulla questione della condanna ingiusta inflitta al capitano Dreyfus, che il mondo della politica s’accorse del peso che stavano assumendo gli “intellectuels”. Da allora è ovviamente successo di tutto e l’intellettuale ha giocato un ruolo nuovo, talvolta pericoloso, d’impegnato. Non che l’impegno dell’uomo di cultura e dell’artista non avesse già giocato con particolare significato una funzione esterna a quella del potere da circa un secolo, da quando nella Convenzione della prima rivoluzione parigina s’erano ritrovati pittori come David e scrittori come André Chenier che militavano sui giornali contro gli eccessi di Marat e Robespierre, correndo tutti e due il rischio della ghigliottina – il primo fortunatamente condannato al taglio della testa due giorni dopo la cattura del supergiacobino, e quindi salvo, il secondo purtroppo due giorni prima, e quindi pronto, con la sua tragica storia, a diventare protagonista del melodramma di Umberto Giordano. Gli anni di Napoleone furono impietosi con il mondo del pensiero che l’imperatore battezzò, con la sua nota capacità di creare neologismi, les idéologues, anche se poi si trovava a dare retta, per la conservazione dei beni culturali di Roma e per l’esaltazione del neoclassicismo, a Quatremère de Quincy, lo storico dell’architettura, a Canova, il genio rispettato, e a David, il genio asservito. Ma trattatasi pur sempre di mondo militare. La questione cambia sicuramente negli anni della Restaurazione se Balzac, nel suo Traité de la vie élégante, si trova a dare consigli alla borghesia ormai stabilizzata accanto ai pari della nobiltà sul come ci si adegua nel gusto alla vita di lusso se porta una innovazione sottile alla lettura delle classi sociali, in quanto pone in cima alla piramide anche gli artisti, unici attori, nel ciclo della Comédie Humaine, autorizzati a comportarsi come vogliono. La data di questo “pamphlet” è particolarmente significativa, il 1830. Nello stesso anno, in una sua altra novella, appare per la prima volta, come fa argutamente notare Panofsky, la prima citazione mondiale della parola “Renaissance”, la quale viene immediatamente ripresa dalla più snob di tutte, George Sand, la futura amante di Chopin. Le cose stanno cambiando in quel 1830, e in tutti i sensi. Da tre anni i liberali tentano di salire nelle sfere del potere politico, mentre Carlo X, il terzo fratello di quella sfortunata famiglia che ebbe Luigi XVI come vittima della storia, tenta di fermarli fino ad arrivare a un governo di assoluta chiusura nell’estate del 1829. L’inverno sarà duro per la monarchia restaurata. Parigi è in subbuglio, politico e artistico. Berlioz ventisettenne esegue la sua Sinfonia fantastica nel tripudio del successo: il romanticismo sta per diventare movimento. Victor Hugo, ventottenne, ottiene per la prima volta il diritto di mettere in scena un suo dramma alla Comédie Française, l’Ernani, un polpettone storico piazzato negli anni di Carlo V, dove si mette in crisi tutto il sistema tradizionale della cultura ufficiale abolendo l’unità di tempo, luogo e azione che dominava dal Seicento e dove la lingua gioca fra esaltazioni poetiche e trivialità. La stampa ne parla, i benpensanti si riscaldano, la censura si preoccupa d’una trama che rischia di contestare la monarchia, la signorina Mars, che veste i panni della protagonista, si rifiuta di recitare le battute volute dalla nuova retorica. La prima è fissata per il 25 febbraio. Hugo decide di rinunciare alla claque abituale e invita invece i suoi amici e sostenitori. Questi arrivano ore prima e iniziano a mangiare e a bere. Fra di loro il più vecchio è Balzac che ha trentatre anni, mentre Alexandre Dumas ne ha ventotto come l’autore, Gérard de Nerval ventidue, Petrus Borel, il poeta che verrà riscoperto solo dai surrealisti di Breton, ventuno e Théophile Gautier diciannove. Non manca neppure Berlioz. Tutta una gioventù a confronto con i vecchi che entrano poi in sala in ordine, calvi a tal punto che uno scultore esordiente urla: «I ginocchi alla ghigliottina!». Fu baruffa durante tutto lo spettacolo e durante le trentacinque repliche successive, dove Hugo riuscì a far entrare solo cento amici nei millecinquecento posti che il nemico occupava (figure 26 e 27). Il successo fu totale, anche economico. Era nato il manifesto politico d’una generazione che si voleva romantica e rivoluzionaria (figure 24 e 25).
(da “Art e Dossier” n. 244, maggio 2008)
