Ad maiorem Dei gloriam

Nel XVI secolo la fioritura dei nuovi ordini regolari, in risposta alla Riforma protestante, fu motore di una trasformazione sostanziale di stile e di gusto nello sviluppo dell’arte del secolo successivo.

Si dice che la penisola italica sia incapace di rivoluzioni. Eppure alcune sono avvenute nella sua lunghissima storia. I caratteri forse rimangono inalterati, ma talvolta avvengono sovvertimenti che stabiliscono un ordine diverso e più adeguato alle trasformazioni in corso. Parlo ovviamente della storia dell’arte.

La rivoluzione capitalistica del sistema comunale fra XII e XIII secolo non poteva lasciare intatti gli equilibri della struttura religiosa; il grande mutamento dovuto alla nascita degli ordini mendicanti ne fu conseguenza e a sua volta motore. Ai monasteri benedettini, trasformati in una miriade di ordini religiosi diversi, si affiancarono i conventi di francescani e domenicani dai quali sorse pure la nuova lingua italiana delle arti, da Giotto ai rinnovamenti architettonici. Un analogo sconvolgimento ebbe luogo tre secoli dopo con la fioritura dei nuovi ordini regolari, quelli che raccoglievano attorno alla medesima militanza nuclei sacerdotali. E anche loro divennero rapidamente motori di un mutamento, non solo nella risposta data alla Riforma protestante, ma in una trasformazione sostanziale dei linguaggi artistici che trovarono nuovi parametri ideologici nell’applicazione dei dettami del concilio di Trento, conclusosi, dopo un trentennale dibattito, nel 1563.

Il nucleo di ciò che sarebbero diventati i gesuiti fu fondato nel ferragosto del 1534 in una chiesa di Montmartre a Parigi, sei studenti animati di buona volontà e capeggiati da Ignazio di Loyola (1491-1556), spagnolo di quarantatre anni che era passato dalla divisa militare e aristocratica alla tonaca sacerdotale. Successivamente si ritrovano a Venezia per andare in Oriente e giungono invece a Roma dove fanno strada grazie a Paolo III Farnese.

La Compagnia di Gesù è ufficialmente sancita nel 1540 e la chiesa che ne sarà centro, la chiesa del Gesù di Roma, viene edificata a partire dal 1550 con rimaneggiamento del progetto per mano di Michelangelo nel 1554. Protettore del progetto è il cardinal nipote Alessandro Farnese, quello del palazzo omonimo, per il quale lavora il Vignola (1507-1573). A questo si devono i primi mutamenti stilistici che porteranno alle convulsioni estetiche del futuro Barocco e quindi dalla stesura definitiva della facciata. Nei medesimi anni Carlo Borromeo incarica Pellegrino Tibaldi (1527-1596), anche lui, come il menzionato collega, cresciuto in area emiliana, di progettare San Fedele, futura sede dei gesuiti milanesi. Tibaldi è inventore d’un contorsionismo pittorico che negli anni avrà conseguenze di alta contaminazione.

A Milano, negli stessi anni, il cardinale Borromeo favorisce lo sviluppo d’un altro ordine regolare, quello dei barnabiti. Nati dall’iniziativa di Antonio Maria Zaccaria nel 1532 a Milano come Compagnia dei Figlioli e delle Figliole di San Paolo Santo vengono sanciti prima da Clemente VII nel 1533 e sono costituiti da uomini e donne, sacerdoti e laici. Paolo III autorizza il nucleo femminile a fondare presso la chiesa milanese di Sant’Eufemia il monastero di San Paolo, a poche centinaia di metri da dove vengono fondate invece le scuole barnabite, in quella piazza Sant’Alessandro dove nel 1601 sempre un barnabita, Lorenzo Birago, progetta il prototipo di ciò che diventerà in tutto l’impero ispanico la nuova forma della chiesa barocca, quella che quarant’anni dopo Borromini porterà a Roma nella facciata di Sant’Agnese in piazza Navona. Lorenzo Birago è affiancato per i calcoli statici dal giovane Francesco Maria Richini, figlio d’un ingegnere militare che vent’anni dopo trasformerà l’impostazione architettonica del complesso di Brera, passato dall’ordine soppresso degli umiliati ai gesuiti dopo il famoso attentato contro san Carlo per mano di un umiliato nel 1569 (figura 10).

Il terzo fra gli ordini regolari, quello dei teatini, fu in realtà il primo fondato, a Chieti (in latino “Teate”) dal sacerdote Gaetano di Thiene e dal vescovo della città Giampietro Carafa, futuro papa Paolo IV. Carafa prima di diventare papa viene chiamato a fare ordine in curia da Paolo III. Suo è il Consilium de emendanda Ecclesia, prima riforma di risposta alla Riforma protestante proprio mentre a Trento si discutono le tesi della Controriforma, suo il riordino dei tribunali dell’Inquisizione, suo l’Indice dei libri proibiti nel 1558. Sta svoltando l’etica, in quegli anni, fondamentali saranno quindi gli ordini regolari che per il momento sono autentiche milizie della Santa sede. La conseguenza è nota a tutti: nel 1565, appena morto il Buonarroti, l’allievo Daniele da Volterra (1509-1566), allora esperto d’avanguardia delle contorsioni pittoriche e poi chiamato il Braghettone, andrà a coprire le nudità della Cappella sistina. Santa Caterina verrà integralmente rivestita e san Biagio, che sembrava prima guardare la sua schiena nuda, viene scalpellato via e integralmente ridipinto. Un cambio d’indirizzo erotico dove il voto di castità assoluta degli ordini regolari gioca un ruolo di traino parallelo solo alla sessuofobia di san Carlo Borromeo appena tornato da Trento. In cambio trionfa la nuova architettura per la nuova liturgia del nuovo catechismo appena sancito nel 1564. La basilica dei teatini, Sant’Andrea della Valle a Roma, fu progettata e costruita da Giacomo della Porta, Francesco Grimaldi e Carlo Maderno tra il 1590 e il 1650. Divenne esempio per la chiesa che impiantarono ai Quattro Canti di Palermo, nei medesimi anni, in quella che fu la più significativa riforma urbanistica di Sicilia.

Sicilia nella quale, più tardi, s’andrà a formare un teatino, per giunta emiliano, Guarino Guarini (1624-1683) (figura 11), al quale si dovrà l’esaltazione virtuosistica del Barocco trionfante. Riassume lui l’esperienza d’una Roma dove viene ordinato sacerdote e dove Borromini ha lasciato il suo segno mescolandolo agli esperimenti grandiosi di Bernini, la genesi d’un mondo emiliano che dopo avere generato le fantasie del Vignola ha avuto la fortuna di contaminare ulteriormente la capitale della cristianità con le altre fantasie postmanieriste dei Carracci e di Guido Reni, e l’inclinazione degli ordini recenti alle edificazioni alte e mistiche. Ad maiorem Dei gloriam.

(da “Art e Dossier” n. 258, settembre 2009)