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Si trovava bene a Göteborg.

Ho trascorso vent’anni della mia vita a Karlstad, cinque a Uppsala, pensò a volte nel corso del primo inverno, ventoso e piovoso. In questa città potrei rimanerci per sempre.

Il brutto tempo non la infastidiva. Tomas era riuscito a trovare un appartamento in Aschebergsgatan – un trilocale al quarto piano con vista sui cieli azzurri e verso Vasastaden. Da quello che aveva capito ci era arrivato tramite la banca, e lei aveva trascorso molto tempo ad arredarlo. Tappezzare, rifare la cucina e imbiancare; non aveva trovato lavoro prima di aprile, perciò aveva avuto tutto il tempo.

Economicamente non avrebbe fatto differenza se lei avesse lavorato. Tomas riceveva un ottimo stipendio dalla Handelsbanken, e almeno all’inizio le piaceva poter rimanere a casa. Non era solo l’impegno con la casa ad appagarla. Erano anche gli abitanti di Göteborg. Il loro umore, il loro buonumore, aveva pensato che fosse una leggenda, ma presto aveva scoperto che le persone in quella città avevano un modo di fare diverso. Nei negozi, per strada, ovunque. Una battuta, un sorriso; non aveva mai pensato che le persone a Uppsala fossero particolarmente fredde o antipatiche, ma quando faceva il confronto non poteva non notare la differenza. Solo uscire a fare la spesa era un piacere.

Quel primo inverno a Göteborg le sembrò l’inizio di qualcosa di nuovo e bello. L’episodio di Timişoara risaliva a più di due anni prima. Il ricovero a Ulleråker e i bambini persi erano ancora più lontani nel tempo. Festeggiarono Capodanno in un ristorante insieme a Sirkka e Martin, una coppia che avevano conosciuto da poco; anche Martin lavorava in banca, e quando Gunilla e Tomas tornarono a casa alle due di notte, fecero l’amore sul tappeto nuovo dell’anticamera; non erano riusciti ad andare oltre, i preliminari erano iniziati appena fuori dal ristorante.

È così che bisogna cominciare un felice anno nuovo, constatò Tomas. Fare l’amore in anticamera appena due ore dopo la mezzanotte.

Gunilla rise. Come un tempo, pensò. Come quando si erano appena conosciuti. Sono pronta a rimanere incinta di nuovo.



Non fu così, ma sarebbe stato strano, visto che continuava a prendere la pillola. Smise a gennaio, però, senza dirlo a Tomas. Il tempo cura ogni ferita, pensò. È proprio così, non è solo un luogo comune.

Tomas lavorava molto; spesso doveva uscire la sera con i clienti, ma la cosa non la preoccupava. La loro vita amorosa andava sempre meglio e sapeva che dipendeva da lei. Si lasciava andare come faceva nel primo anno della loro relazione. Ne aveva più voglia, semplicemente, poteva desiderarlo sin dalla mattina anche se sapeva che sarebbe tornato a tarda sera, e si chiedeva se fosse perché voleva rimanere incinta di nuovo. Poteva essere una questione biologica. Improvvisamente l’orologio biologico era tornato a funzionare.

Ma non rimaneva incinta. Il ciclo arrivava mese dopo mese al ventottesimo giorno, e Gunilla decise di provare a non pensarci. Senza forzare. Magari era proprio il suo desiderio a essere un ostacolo.



Il 1º aprile iniziò a lavorare. Uno studio di traduzioni cercava personale, e anche se non aveva completato del tutto gli studi a Uppsala, aveva comunque studiato lingue per molti anni. Aveva il diploma in inglese, tedesco e spagnolo; si occupava soprattutto di lettere commerciali e contratti, che non erano precisamente la sua specializzazione. Ma c’erano i dizionari e i colleghi a cui chiedere consiglio, e presto imparò. Lo studio si trovava nel quartiere di Guldheden, venti minuti a piedi da Aschebergsgatan. Lavorava non più di tre giorni alla settimana, ma c’erano buone possibilità che potesse aumentare il suo impegno in autunno.

Un giovedì sera di fine aprile, mentre rientrava a casa dal lavoro, suonò il telefono. Sentì lo squillo già sulle scale e pensò che non sarebbe riuscita a rispondere.

Ma gli squilli continuarono. Chi telefonava evidentemente era impaziente di rintracciarla. Gettò la borsa sulla sedia di vimini, alzò il ricevitore e rispose.

«Sono Maria. Voglio parlarti di Timişoara.»

Fu come se qualcosa l’avesse afferrata.

L'uomo che odiava i martedì
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