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La telefonata arrivò esattamente alle tredici e trenta. Si rese conto di essersi annotato l’ora mentre ascoltava. Poi si chiese il perché. Perché, accidenti?

Gli ci volle un attimo prima di capire.

«Parlo con Gunnar Barbarotti?» chiese una voce femminile.

«Sì, sono io.»

«Mi scusi, ma telefono dall’ospedale.»

«Sì?»

«Marianne Grimberg è sua moglie, vero?»

«Sì... certo.»

«Lavora in ginecologia?»

«Sì. Che cosa c’è?»

«È successo un incidente.»

«Un incidente?»

«Sì. La situazione è stazionaria. La stanno portando all’ospedale Sahlgrenska di Göteborg.»

«Cosa?»

«Le è capitato un piccolo incidente. Sarà operata al Sahlgrenska.»

«Al Sahlgrenska?»

«Sì.»

«Sarà oper... che accidenti sta dicendo? Cosa le è successo?»

«Ha perso conoscenza. Ma non deve preoccuparsi, la situazione è sotto controllo. Se ne sta occupando il neurochirurgo del Sahlgrenska. Non abbiamo la neurochirurgia qui a Kymlinge. Probabilmente si tratta di una lieve emorragia cerebrale.»

«Un’emorragia al... un’emorragia cerebrale?»

All’improvviso si accorse che non riusciva più a respirare. La T-shirt che portava sotto la camicia gli stava stretta. Con la mano libera afferrò il collo della maglietta e lo tirò fino a quando non sentì che stava per cedere.

«Sì. Le hanno fatto una TAC qui in ospedale e il dottor Berngren ha deciso che era necessario operarla. Ma lei non si deve preoccupare, potrebbe essere una sciocchezza. Ora la stanno portando là.»

«Aspetti un attimo... quando è successo?»

«Due ore fa circa. Nel suo reparto. Ha perso conoscenza e...»

«Due ore fa? Perché non mi avete chiamato prima?»

La limpida voce femminile assunse un tono un po’ più autoritario.

«Prima ci siamo presi cura di lei. Come nostra abitudine. Abbiamo provato a chiamarla un attimo fa, ma non ha risposto.»

Gunnar Barbarotti si rese conto di aver lasciato il cellulare nel suo ufficio quando era andato a parlare con la Backman. Rimase in silenzio per qualche secondo. La sua testa sembrava un flipper. Marianne... emorragia cerebrale... neurochirurgo... situazione stazionaria... Sahlgrenska. Cercò di mettere insieme un messaggio comprensibile, ma non ci riusciva. Era un puzzle i cui tasselli non andavano a posto.

«Cosa... cosa devo fare?» riuscì a dire. «Cosa... abbiamo quattro figli... no, cinque...»

«Il dottor Berngren ha suggerito che venga prima qui per avere qualche informazione. E che avverta anche i figli, ovviamente.»

«Ah, sì?»

«Sua moglie sarà operata a Göteborg e non sarà cosciente per parecchie ore. Possiamo farvi portare là. Basta che veniate qui fra un’ora.»

«Io... capisco. Telefono ai ragazzi e arriviamo. Dove dobbiamo venire?»

«Reparto 35. Edificio 30. Io sono Jeanette Möller, sarò qui fino alle sei di questa sera. Chieda di me all’accettazione. È tutto okay?»

«È... è... okay» balbettò Gunnar Barbarotti e chiuse la comunicazione.



Prima riuscì a rintracciare Sara, e andò abbastanza bene. Era la più grande, ventidue anni, e la più giudiziosa. Quando comprese il messaggio scioccante – rendendosi conto che suo padre probabilmente non era in grado di gestire la situazione – prese lei in mano la cosa.

«Non penso che dovremmo andarci tutti» decise. «Non subito. Riunisco gli altri a casa così ne discutiamo. Forse Jenny e Johan vorranno andare subito, ma non è certo. È meglio che lo decidano da soli. Tu inizia ad andare, nel frattempo io mi occupo degli altri.»

«Ma...» disse Gunnar Barbarotti.

«Niente ma» disse Sara. «Fidati di me, non preoccuparti. Vai da Marianne, piuttosto.»

«Grazie» disse Gunnar Barbarotti. «Non so cosa... grazie, Sara.»

«Ancora una cosa» aggiunse Sara. «Non guidare tu. L’ospedale può farti portare là?»

«Sì, hanno detto che lo faranno.»

«Bene. Restiamo in contatto con il cellulare.»

«Ti voglio bene, Sara» disse.

«Ti voglio bene, papà» disse Sara e riagganciò.



Jeanette Möller era una venticinquenne di colore. È curioso come dalla voce non si riesca a capire il colore della pelle di una persona, rifletté. Perché poi pensava a una cosa simile in una situazione come quella?

«Salve. Sono Jeanette. Ha parlato con me al telefono.»

«Certo» disse Gunnar Barbarotti.

Gli posò una mano sul braccio. «So che è sotto shock» disse. «È naturale. Mi segua, così potrà parlare con il dottor Berngren.»

Si avviarono all’ascensore nell’ingresso. Salirono al quinto piano. A Barbarotti sembrò di ricordare il posto. Quando si era rotto il piede due anni prima non era stato ricoverato lì, ma in un altro edificio, il numero 20. Però sembrava identico.

«Cos’è successo?» chiese di nuovo quando furono in ascensore. «Sono piuttosto agitato.»

«È assolutamente normale» ripeté Jeanette. «Ma non so molto, in realtà. Oltre al fatto che ha perso conoscenza. E che si tratta di un’emorragia cerebrale.»

Normale? pensò lui. Cosa intendeva dire? Non c’era proprio niente di normale.

«È svenuta?»

«Sì. E non si è risvegliata.»

«Emorragia?»

«Sì.»

«Dove?»

«Al cervello. Ma non so esattamente dove. Prego, siamo arrivati.»

Uscirono e lui la seguì nel reparto 35. Lo pregò di sedersi su una sedia verde. Lo lasciò e andò a chiamare il dottor Berngren. I pensieri gli urlavano nella testa.



Il dottor Berngren era un florido quarantenne. Strinse a Barbarotti la mano e lo pregò di seguirlo in un ambulatorio dove potevano stare tranquilli. Gli chiese se desiderava bere qualcosa. L’ispettore rifiutò, ma notò di avere la bocca così secca che probabilmente un bicchiere d’acqua non gli avrebbe fatto male.

«Mia moglie» esordì. «Come sta?»

Il dottore accavallò una gamba e si schiarì la voce.

«Considerate le circostanze, bene, direi. Ma è troppo presto per esprimersi. Cercherò di spiegarle quello che sappiamo il più esattamente possibile.»

«Grazie» disse Barbarotti. «Mi dica.»

«Probabilmente si tratta di una lieve emorragia cerebrale. Lieve, ma seria. Abbiamo eseguito la TAC cerebrale qui in ospedale e abbiamo deciso che andava operata. È necessario ridurre l’ematoma. L’abbiamo trasportata al Sahlgrenska perché ci sono i neurochirurghi in grado di eseguire l’intervento.»

«Lieve, ma seria?» ripeté Barbarotti meccanicamente e notò che sentiva il suo battito nelle tempie. Me ne sta venendo una anche a me, pensò.

«Sì. Riteniamo si tratti di un piccolo vaso sanguigno che si è rotto. Un aneurisma. Può capitare a chiunque e in qualsiasi momento. Naturalmente è più comune che capiti alle persone anziane, ma succede a ogni età.»

«Lei ha quarantacinque anni» disse Barbarotti.

«Lo so» disse il dottor Berngren.

«Voglio andare là» disse Barbarotti. «Devo starle accanto.»

«Mi occuperò subito di farla portare» gli spiegò il dottor Berngren. «Ma non serve a nulla avere fretta. Rimarrà collegata al respiratore artificiale fino all’intervento, per abbassare l’attività cerebrale e non peggiorarne le condizioni. Pensa di portare anche i figli? Mi pare ne abbiate più d’uno...»

«Rimarranno a casa, per il momento» chiarì Barbarotti. «Mia figlia maggiore si prende cura di loro. Ha ventidue anni, ne abbiamo già parlato. Oppure... cosa ne pensa?»

«Sensato» disse il dottor Berngren. «È molto meglio se verranno quando si sarà risvegliata. Può darsi che Göteborg ce la rimandi già domani mattina, dipende dalla situazione. Ma questo lo deciderete da soli.»

«Naturalmente» disse Barbarotti.

«Ecco la persona da contattare.» Berngren gli porse un foglio piegato in due. «Si rivolga a lei quando arriva al Sahlgrenska. Reparto di neurochirurgia. C’è anche il numero di telefono.»

Barbarotti prese il foglio e lo infilò in tasca. «Grazie» disse. «Non ha... non ha nient’altro da dirmi?»

«Nella maggior parte dei casi il paziente ha solo piccole conseguenze o nessuna» spiegò il dottor Berngren. «Soprattutto se è giovane e l’emorragia è limitata. Tuttavia la lesione è seria, e non posso esprimermi sulla prognosi. L’abbiamo trasferita, come sempre in questi casi. La signorina Möller si occuperà del viaggio a Göteborg.»

«Grazie...» disse Gunnar Barbarotti. «Grazie mille.»

Di cosa lo ringrazio? pensò. Magari non riescono nemmeno a salvarla.



Il trasferimento in taxi dall’ospedale di Kymlinge al Sahlgrenska di Göteborg durò solo un’ora e mezzo. Fu il viaggio più lungo della sua vita.

Si sedette dietro l’autista per evitare qualsiasi sguardo. Prima di Rockstarondellen si era ricordato di un passo della Bibbia. Ebbe l’effetto di un balsamo su quello sciame di pensieri spaventosi, e cercò di trattenerlo.

Nel pieno della vita esiste anche la morte. Nei giorni del tuo vigore cammini mano nella mano con l’angelo della morte. Ma non avere paura.

Non ricordava da dove era tratto quel versetto e non era certo che le parole fossero esatte. Non sembrava nemmeno così confortante, forse era nel Qoelet. Per qualche ragione Marianne aveva una predilezione per quelle cupe sentenze. Mentre cercava di calmarsi, pensò che era proprio quello che Marianne diceva di solito.

La vita è qui e ora. Dobbiamo difenderla. La morte è il nostro vicino più prossimo, un secondo siamo vivi, quello dopo può essere tutto finito. Senza preavviso.

Ma lei non era morta.

Marianne era viva. Era nel reparto di neurochirurgia del Sahlgrenska a Göteborg. Gli specialisti si stavano prendendo cura di lei. Una lieve emorragia cerebrale. Chirurghi che aprivano il cranio, aspiravano il sangue e facevano di tutto perché il paziente guarisse senza riportare danni permanenti...

Si chiese quali danni permanenti. La sua esperienza sugli... come si chiamavano?... aneurismi... era praticamente nulla. Si poteva rimanere paralizzati? Costretti a letto per il resto della vita? Perdere la parola?

Ne sarebbe uscita irriconoscibile? Oppure Marianne non avrebbe riconosciuto loro? Lui e i figli, la gioventù svedese, il nostro futuro. Una donna disgraziata costretta sulla sedia a rotelle senza poter parlare? Per venti o trent’anni?

Quelle immagini lo bombardavano. Si chiese quanti in Svezia erano in una situazione simile. Il marito o la moglie colpiti all’improvviso da una disgrazia. La vita che cambiava direzione da un secondo all’altro, cogliendo tutti impreparati.

O non era ancora il momento di pensare a certe cose?

La rottura di un minuscolo vaso sanguigno. In qualsiasi momento. La sottile parete di una vena che improvvisamente cedeva, sconvolgendo la vita del soggetto in questione e di chi gli stava intorno. Sei persone, in quel caso.

Senza contare amici e colleghi.

Non è giusto, pensò Gunnar Barbarotti.

Ma la giustizia non aveva molto a che fare con la vita e la morte. Il suo lavoro avrebbe dovuto insegnarglielo.

La morte esiste nel pieno della vita. Nei giorni del tuo vigore cammini mano nella mano con l’angelo della morte.

E pregò.

Una preghiera decisamente diversa, questa volta. Nostro Signore venne a sedersi accanto all’ispettore Barbarotti sul sedile posteriore del taxi, tra Kymlinge e Göteborg, e i due si parlarono in modo nuovo.

Non è forse ora di sciogliere quel vecchio accordo, disse Nostro Signore, secondo il quale dovrei dimostrarti la mia esistenza?

Senza la minima esitazione, Gunnar Barbarotti rispose che era proprio così. Era ora di scioglierlo.

Perché adesso la situazione è diversa, disse Nostro Signore, non è vero?

Esatto, rispose Gunnar Barbarotti. La situazione è cambiata. Se farai in modo che...

No, lo interruppe Nostro Signore. Credere in me non è una questione di contrattazione. Non puoi porre simili condizioni: se faccio questo e quello, allora accetterai che esisto. Adesso basta, sono stufo.

Sei stufo? disse Barbarotti.

Sì, davvero stufo. Ti do tutto il mio amore, ecco il messaggio. Se lo accetti e stai al mio fianco, io starò al tuo fianco. Però non sono onnipotente. Non ho potere su tutto, è un vecchio malinteso. Non ho potere sul libero arbitrio degli esseri umani, e non ho potere sulle menzogne del Diavolo. Io sono la forza del bene, ma esiste anche la forza del male. E non sono stato io a inventare la religione, le chiese e il papa. Sono stati gli uomini. Capisci?

Gunnar Barbarotti rispose di aver capito. Almeno in parte.

Per quanto riguarda Marianne, possiamo solo avere fiducia, continuò Nostro Signore. Sia tu che io. La morte e la vita sono vicine, proprio come tu hai preso atto del tuo terrore. Ma gli uomini sono gli unici esseri in grado di osservare la bellezza della vita e rallegrarsene. Non è facile comprenderlo.

Io lo capisco, protestò Barbarotti. È solo che...

Non ricominciare a lamentarti, lo interruppe Nostro Signore. Piantala. Abbi fiducia e pensa a Marianne, non devi pensare ad altro.

Poi sparì. Il tassista accese la radio e Barbarotti decise di fare quello che gli era stato consigliato. Avere fiducia e pensare a lei.

La speranza. Cos’era, del resto?

Probabilmente l’unica medicina davvero efficace contro quel terrore violento che lo martellava dentro. Ma accettarlo era un’altra cosa. Smettere di agitarsi e avere fiducia... be’, in cosa? Bella domanda. Davvero bella. La speranza è come una saponetta, pensò l’ispettore Barbarotti, confuso. Ti sfugge sempre dalle mani.

E quel vecchio accordo con Nostro Signore all’improvviso non valeva più. Annullato per sempre. La cosa strana era che non sembrava affatto strano.

Da questo momento cambierà tutto, pensò Gunnar Barbarotti. Buon Dio, fa’ che viva.

L'uomo che odiava i martedì
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