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Cagnaccio, pensò Elis Bengtsson.

Poi si portò le mani a imbuto intorno alla bocca e gridò più forte che poteva: «Luther!»

Ripeté l’operazione rivolto ai quattro punti cardinali.

Dopodiché si sedette su un ceppo ad aspettare. Non ho nessuna intenzione di andare in giro a cercare quella bestiaccia, pensò. Meglio stare qui e lasciare che sia la bestia a cercare me.

Con gli anni aveva imparato. I cani hanno un fiuto migliore di quello degli uomini, e se vogliono trovano sempre la strada di casa.

Luther era il suo nono cane; a tutti aveva dato nomi di personaggi famosi: Galileo, Napoleone, Madame Curie, Stalin, Voltaire, Dottor Crippen, Nabucodonosor e Putte Kock.

E Luther. Quattro anni, metà bracco, metà segugio, era un animale molto intelligente. In quel caso, però, evidentemente aveva seguito una traccia, anche se Elis Bengtsson non lo aveva mai portato a caccia con lui. A volte nemmeno l’addestramento serviva, la natura aveva il sopravvento.

Era sparito vicino ad Alkärret e mezz’ora dopo, a Gåsaklinten, dove di solito facevano una pausa e mangiavano un boccone, non si era ancora fatto vedere.

Elis Bengtsson guardò l’ora. Le due meno cinque. Aveva promesso di essere a casa per le due e mezzo per portare Märta in clinica.

Vecchia strega, pensò. Non poteva andarci da sola in macchina?

A pensarci bene, però, era molto più sicuro se non si metteva al volante. Aveva la patente dal 1955, ma non guidava più dal 1969 quando, facendo retromarcia, aveva centrato un cestino in Norra torg a Kymlinge. Elis si era scansato all’ultimo momento. Se l’era vista brutta.

Lui, invece, aveva all’attivo cinquantasette anni di guida ineccepibile e, salute permettendo, pensava di continuare a guidare fino al giorno del suo funerale.

In effetti non c’era ragione di temere per la propria salute, era Märta quella delicata, non lui. Osteoporosi, angina pectoris, capogiri e Dio sa cos’altro. Si era già dimenticato che controllo doveva fare quel giorno in clinica. Sempre che lo sapesse.

Sospirò, si alzò dal ceppo a fatica e rimase un attimo a pensare. Percorse un altro tratto lungo il pendio prima di gridare di nuovo: «Luther!»

Rivolto ai quattro punti cardinali. Questa era la prima fase del piano; stava per passare alla successiva quando improvvisamente sentì un latrato provenire da Gåsaklyftan, il precipizio dell’oca.

Gridò ancora una volta da quella parte e per la seconda volta ricevette risposta.

Gåsaklyftan, pensò. Che cazzo...?



In seguito, quando parlò dell’accaduto – con Märta, con Olle Mårdbäck, il vicino curioso con una gamba sola, e con la polizia – ci tenne a sottolineare che aveva avuto un presentimento.

Che lui, già quando aveva sentito abbaiare Luther la prima volta, aveva capito cosa avrebbe trovato in fondo alla scarpata.

Il precipizio dell’oca. Non era sicuro che si chiamasse proprio così, ma l’altra volta avevano ribattezzato il posto in quel modo.

L’altra volta. Quanti anni erano passati? Era il 1975.

Trentacinque anni. Una vita, in altre parole.

Ma, a voler essere onesti, non aveva avuto il minimo presentimento. Solo quando era arrivato sul ciglio del burrone e aveva visto Luther e il corpo – entrambi erano almeno venticinque metri sotto di lui – il passato era tornato a galla.

Era sconvolto. Sto sognando, aveva pensato Elis Bengtsson. Non è possibile che stia succedendo di nuovo.

Aveva avuto un attimo di vertigine, ed era stata una fortuna che proprio sul bordo ci fosse una piccola betulla. Se Elis Bengtsson non l’avesse afferrata, molto probabilmente anche lui avrebbe finito i suoi giorni a Gåsaklyftan.



«Cosa stai dicendo?»

«Ti sto dicendo che devi chiamare la polizia. In fondo a Gåsaklyftan c’è un morto.»

«Un altro?» disse Märta.

«Un altro» le fece eco Elis. «Ma dalla volta scorsa sono passati trentacinque anni.»

«O misericordia» esclamò Märta.

«Telefona alla polizia e vedi di farla venire qui» disse Elis. «Sbrigati. Io e Luther rimaniamo a fare la guardia. E scordati di andare in clinica oggi.»

«Ma, Elis, è domani che devo andarci. Oggi è domenica.»

«È domenica?»

«Sì.»

«Non me ne frega un cazzo di che giorno è oggi. Fa’ come ti dico, una volta tanto, e telefona alla polizia!»

«Sì, sì» disse Märta. «Ma dimmi una cosa, se hai così tanta fretta, perché non hai chiamato direttamente tu?»

«Perché io ho solo il cellulare» rispose Elis furente. «Non si parla alla polizia da un cellulare.»

«Ah, ecco» disse Märta, dopodiché Elis chiuse la comunicazione.

Le donne, pensò.

«Stai zitto, Luther!» gridò poi. «Arrivo.»

E per qualche ragione il cane smise di abbaiare.

L'uomo che odiava i martedì
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