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Mercoledì 6 ottobre si abbatté su Kymlinge un temporale proveniente da sud-ovest. Non smise di piovere per tutta la mattina. Verso le nove Gunnar Barbarotti si trovava nel reparto 30 dell’ospedale di Kymlinge. Osservava il cielo plumbeo e minaccioso da una grande finestra panoramica. Aveva in mano una tazza di caffè e pensava che niente poteva preoccuparlo.
Marianne era in un letto a un paio di metri da lui e dormiva. Le sue condizioni non lo preoccupavano. Perlomeno non rispetto al giorno prima. Aveva dormito lì con lei anche quella notte e aveva parlato con una mezza dozzina di medici e infermieri. Tutti avevano detto la stessa cosa: Marianne non avrebbe riportato danni permanenti in seguito all’emorragia cerebrale che l’aveva colpita due giorni prima ad appena centocinquanta metri dalla stanza in cui si trovava in quel momento. In ogni caso nessun danno serio. Naturalmente era presto per esprimersi con assoluta certezza ma, all’idea di quello che avrebbe potuto accadere, c’era spazio per un prudente ottimismo.
I loro cinque figli avevano appena lasciato l’ospedale per dedicarsi ai consueti impegni quotidiani – la scuola nelle sue svariate forme –, ma lui non aveva intenzione di andare in commissariato fin dopo pranzo. Prima che i ragazzi se ne andassero erano stati tutti insieme intorno al letto di Marianne e si erano tenuti per mano, la famiglia intera. Lei aveva appena abbozzato un sorriso stanco, ma era stato sufficiente.
Ed era rimasto.
Marianne non aveva ancora capito cosa le fosse successo, ma non c’era da preoccuparsi per quello. Se ne sarebbe ricordata gradualmente, come avevano affermato il dottor Berngren e molti altri, e poi non c’era nessuna fretta.
No, quello che probabilmente preoccupava l’ispettore Barbarotti in quella piovosa mattina d’autunno era la conversazione che avrebbe avuto con Eva Backman quando si sarebbero incontrati in commissariato all’una e mezzo.
Si erano accordati sull’orario e il posto, e lui le aveva detto che aveva qualcosa di importante da riferirle.
Qualcosa di importante da riferirmi? aveva chiesto lei. Mi hai appena detto che Marianne sta bene. Cosa può esserci di più importante?
Riguarda il caso, aveva aggiunto lui. Il caso di Gåsaklyftan. E... sì, anche Marianne.
In un certo senso.
Ma te ne parlo quando ci vediamo.
Dio Onnipotente, aveva brontolato Eva Backman. Hanno dato anche a te l’ossigeno?
«Va bene se vado subito al sodo?»
«Non è una cattiva idea.»
Lui deglutì e si schiarì la voce. Si alzò e poi si rimise seduto alla scrivania.
«Cos’hai?» chiese Eva Backman. «Non ti senti bene?»
«Sembra una cosa così stupida» riprese Barbarotti.
«Ci credo» disse la Backman.
«Il fatto è che... che Marianne... mia moglie...»
«Lo so che è tua moglie.»
«Lei ha avuto una... come si può dire? Una relazione con Germund Grooth.»
Eva Backman fece cadere la sua tazza di caffè sul pavimento.
«Te l’ho detto che era una cosa maledettamente stupida» dichiarò Barbarotti.
«E così hai deciso di prendermi in giro?» fu la prima cosa che volle sapere la Backman dopo aver ripulito il pavimento.
«No» ribatté Barbarotti. «Sei pazza? Perché dovrei prenderti in giro?»
«Hai ragione» ammise lei. «Be’, allora vai avanti, accidenti! Racconta! Quando?»
«Molto prima che ci incontrassimo, naturalmente» iniziò Barbarotti. «Sì, molto tempo fa. Sono stati insieme qualche volta, grossomodo per un anno.»
«Ah, sì?»
«Ovviamente avrei dovuto raccontartelo, ma mi sembrava così maledettamente... be’, lo so di essere stato un idiota, ma era imbarazzante, ecco.»
«Tu sei un idiota» concluse Eva Backman.
«È quello che ti sto dicendo» ammise Barbarotti. «Be’, per una volta sei d’accordo con me.»
«Te lo concedo» disse lei. «Questo significa che sappiamo qualcosa di più su Grooth? Tu, almeno.»
«Nì» rispose Barbarotti. «Non abbiamo parlato molto di lui.»
«Cosa?» esclamò la Backman. «Non avete parlato di lui? Cosa intendi dire?»
«Intendo dire quello che ho detto. Non abbiamo parlato molto di lui.»
Eva Backman inarcò le sopracciglia e alzò la voce. «Quindi, mi stai dicendo che ce ne stiamo qua a cercare con il lanternino qualcuno che possa dire qualcosa di sensato su quel maledetto Grooth, mentre Marianne...»
«C’è stata una certa tensione» la interruppe Barbarotti.
«Tensione?»
«Sì. Tra Marianne e me.»
«E perché?»
«Perché... perché mi sono un po’ ingelosito.»
Eva Backman rimase a bocca aperta. Poi scosse la testa.
«Ti ho detto che sono stato un idiota» la prevenne Barbarotti. «Ma la amo, e questo mi dà il diritto di comportarmi da idiota.»
«Ti sei ingelosito di un uomo con cui lei è stata prima che vi incontraste?»
«Sì.»
«E che per di più è morto?»
«Sì.»
«Uomini!» esclamò Eva Backman.
«Lo so» disse Gunnar Barbarotti. «Siamo fatti così, ne abbiamo già parlato.»
«Sì, è vero» ammise la Backman. «Ma questo significa che Marianne probabilmente sa qualcosa su Germund Grooth. Quanto tempo hai detto che sono stati insieme?»
«Circa un anno» rispose Barbarotti. «Ma si vedevano pochissimo, in realtà. Si incontravano al massimo qualche volta al mese. Marianne abitava a Helsingborg prima che ci conoscessimo.»
«Me lo ricordo» disse Eva Backman e sospirò. «È a dir poco strano, comunque. Ma non avete proprio parlato di lui?»
«No» ammise Barbarotti.
«Incredibile. E ora ovviamente non è possibile. Devo dire che a volte... a volte penso che ci sia un regista.»
«Io so che c’è un regista» aggiunse Barbarotti. «Be’, non è esattamente un regista. È più un... supervisore.»
«Un supervisore?»
«Più o meno.»
Lei scosse di nuovo la testa. «A volte sei un mistero. Ma non importa, non ho intenzione di risolverlo. Sarà compito di Marianne. Adesso che facciamo? Riuscirai a farti coraggio e a parlarle quando si rimetterà in forze? Cosa dicono i dottori?»
«Ha bisogno di riposare» spiegò Barbarotti. «Rimarrà in riabilitazione per almeno un paio di settimane. Ma potrò sicuramente parlare con lei... fra un paio di giorni. Magari domani?»
«Devi farlo» insistette Eva Backman. «Ma fai attenzione, non essere frettoloso. Dopotutto è solo... be’, un parere sul carattere di quell’uomo, no?»
«Presumo» disse Barbarotti. «Anche se...»
«Sì?»
«Penso sarebbe meglio se le parlassi tu.»
Eva Backman lo guardò intensamente per qualche secondo.
«Capisco» riprese. «Sì, hai assolutamente ragione.»
Guardò l’orologio.
«Devo incontrare Asunander tra mezz’ora. Vuole sapere a che punto siamo.»
«Ah, sì?» disse Barbarotti. «E a che punto siamo?»
«Non a buon punto» disse Eva Backman. «Vuoi sentire cosa ti sei perso?»
«Sì, grazie» disse Barbarotti.
«Abbiamo parlato di nuovo con le persone coinvolte. Concentrandoci sull’alibi, come stabilito. In realtà nessuno è al di sopra di ogni sospetto, se consideriamo il lasso di tempo di quel sabato pomeriggio. Non ho incontrato Rickard Berglund, avresti dovuto farlo tu ieri, ma... Sua moglie sarà sepolta sabato, perciò non so se è il caso.»
Barbarotti annuì. «Non abbiamo fatto molti progressi, vero?»
«Non proprio. Già, per il resto, hanno rintracciato Kristin Pedersen a Copenhagen. Dovrebbero spedirci il verbale dell’interrogatorio questo pomeriggio o in serata. Perciò forse sapremo un po’ di più sul carattere di Grooth, in ogni caso. Indipendentemente da Marianne, intendo.»
Barbarotti si alzò. «Telefono a Berglund e sento quando vuole fare una chiacchierata. È bene che lo faccia io, ho già parlato con lui. Magari vorrà aspettare dopo il funerale, dopo averci pensato un po’.»
«Forse» ipotizzò la Backman. «Quindi hai intenzione di tornare al lavoro?»
«È meglio che prenda le ferie quando Marianne tornerà a casa» disse Barbarotti.
Eva Backman annuì.
«Anche Sara ha deciso di stare da noi per un po’. Non penso che le cose vadano bene tra lei e Jorge. Quindi in un certo senso è meglio così.»
«Da quanto tempo vivono insieme?» chiese la Backman.
«Grossomodo due anni» rispose Barbarotti. «Anche se è un peccato. Jorge mi piace.»
«Non sei tu a doverci vivere insieme.»
«No, lo penso anch’io. C’era dell’altro? Pensavo di tornare in ospedale.»
«Sì» disse la Backman e si alzò. «Saluta Marianne da parte mia e dille che andrà tutto bene. Ma che non deve avere fretta. Verrò a trovarla tra un paio di giorni... e non solo perché devo parlarle.»
«Glielo dirò» promise Gunnar Barbarotti. «Salutami il capo.»
«Lo farò» garantì lei.