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Erano ormai le nove e mezzo quando Barbarotti riuscì a prendere in mano le cartellette di Sandlin.

Mentre tornava a casa, Marianne gli aveva telefonato per dire che doveva rimanere in ospedale per il turno serale. Una collega era malata, e c’erano sei donne pronte per partorire.

Poteva solo rassegnarsi, chi era lui per interferire con sei partorienti? I giovani svedesi, il nostro futuro. Jenny e Martin lo avevano aiutato a preparare la cena, con Johan era riuscito a riparare la lavastoviglie difettosa, poi aveva interrogato Lars sulla Rivoluzione francese. Era confortante sapere che a scuola si insegnavano ancora certe cose e, se non si era sbagliato, proprio come le aveva studiate lui da ragazzo.

Solo dopo aver sbrigato tutte queste faccende aveva dato la buonanotte ai ragazzi. Li aveva pregati di non disturbarlo, perché doveva occuparsi di un delicato lavoro investigativo. Dopodiché si era chiuso nello studio che condivideva con Marianne al piano di sopra e si era messo a spulciare il materiale del 1975.

Domenica sera era riuscito a dare solo una rapida occhiata ai documenti. Certo non li aveva esaminati con grande attenzione, come forse Eva Backman aveva immaginato. Li aveva sfogliati a casaccio avanti e indietro, mentre gli altri guardavano in tv un vecchio film inglese di spionaggio con Michael Caine. Ripensando a quanto emerso durante la giornata, era giunto il momento di dedicarsi al lavoro con un po’ più di serietà.

Sì, era proprio giunto il momento. Erano passati almeno due giorni, forse di più, da quando Germund Grooth era morto a Gåsaklinten e, come aveva spiegato all’ispettore Backman, Barbarotti faceva fatica a credere che si trattasse di un incidente. Non propendeva neppure per il suicidio, anche se non sapeva spiegare perché.

Forse avrebbe potuto trovare qualche indizio negli avvenimenti di trentacinque anni prima: Maria Winckler, giovane e, a quanto pare, bella, morta nel burrone dei suicidi. Be’, sempre che quella leggenda fosse vera.

All’epoca Maria Winckler viveva con Grooth. Che fra i due episodi ci fosse un nesso sembrava incontestabile. La questione, semmai, era quale. Tutto qui.

Tutto qui? pensò Barbarotti. Cazzo, come tutto qui?

In ogni caso, Asunander si aspettava un rapporto per lunedì mattina, e un rapporto avrebbe avuto.



Sandlin era stato davvero scrupoloso. Era il minimo che si potesse dire di lui, e Barbarotti lo sapeva già. Le cartellette verdi contenevano l’indice degli interrogatori, complessivamente sedici trascrizioni (quelli dei sei partecipanti sopravvissuti alla fatale raccolta di funghi, e di altri dieci testimoni, per Barbarotti altrettanti sconosciuti), il rapporto dell’autopsia, quello della Scientifica sul luogo del delitto e altro ancora, fra cui i continui commenti di Sandlin sul caso. Otto in totale, il primo datato 29 settembre 1975 (il giorno dopo la morte), l’ultimo il 22 dicembre dello stesso anno.

Due giorni prima della vigilia di Natale, pensò Barbarotti. Ci aveva lavorato tre mesi.

Prima di rinunciare e constatare che, molto probabilmente, si era trattato di un incidente. Oppure che non era riuscito a portare altre prove.

Ma avrà pur avuto dei sospetti, immaginò Barbarotti. Nemmeno un pignolo come lui si sarebbe dedicato per tre mesi al caso di qualcuno scivolato in un burrone. Non sembrava logico. Inoltre alcuni interrogatori erano stati effettuati molto tardi, in novembre e dicembre, perciò il caso non era stato insabbiato, come a volte capitava. Sandlin vi aveva lavorato attivamente fino a Natale. La decisione di chiudere le indagini, riportata sull’ultimo documento, era datata 9 gennaio 1976.

Per giunta, notò Barbarotti, Sandlin aveva condotto di persona tutti gli interrogatori; in presenza di un collega, come previsto, ma evidentemente preferiva avere il controllo totale. A giudicare dai documenti non lasciava nulla al caso e non delegava quasi niente ad altri. Di sicuro non doveva essere stato divertente lavorare con lui, concluse Barbarotti. Uno di quei brontoloni di una volta, che non si fidavano di nessuno.

Si appoggiò un momento allo schienale della sedia. Quanti anni gli mancavano per diventare un brontolone come Sandlin? E chi erano i colleghi di cui si fidava?

Mise da parte la prima domanda e passò direttamente alla seconda: Eva Backman e Asunander. Asunander era burbero e testardo – la caricatura di come dovrebbe comportarsi un capo –, ma aveva un sesto senso quasi infallibile. Bisognava riconoscerglielo, pensò Barbarotti. Tre anni prima aveva trovato l’uomo di Mousterlin. Non era cosa da poco.

Quanto alla Backman, era la spontaneità fatta persona. Ogni commento era superfluo.

L’ispettore Borgsen, soprannominato Sorgsen per il suo cupo carisma,1 era sempre coscienzioso e corretto. Era in grado di lavorare ventiquattr’ore di seguito – almeno prima che diventasse padre –, ma non aveva il talento di Asunander. L’intuito. Il sesto senso.

Tuttavia poteva seguire le tracce di un ladruncolo in fuga nel deserto, se fosse stato necessario.

Perché poi si dovrebbe inseguire un ladruncolo nel deserto? Gunnar Barbarotti sospirò, si chinò sulla scrivania e riprese in mano le cartellette di Sandlin. Iniziamo dagli interrogatori, pensò. Girò la pagina e si mise al lavoro.



Interrogatorio di Germund Grooth. Commissariato di polizia di Kymlinge, 29.09.1975. Ore 13.30. Presenti: ispettore della polizia giudiziaria Evert Sandlin, assistente Sigvard Malmberg.



ES: Potrebbe dire il suo nome e il suo indirizzo?

GG: Germund Grooth. Söderbyvägen, 32C.

ES: Grazie. Vive qui a Kymlinge, dunque?

GG: Sì.

ES: Le porgo le mie condoglianze. Ma come certamente capirà dobbiamo fare luce sulle circostanze di una morte così tragica. È d’accordo?

GG: Sì, certo.

ES: Allora. Lei era il convivente di Maria Winckler. È esatto?

GG: Esatto.

ES: Per quanto tempo siete stati insieme?

GG: Quattro o cinque anni.

ES: Per quanto tempo avete vissuto insieme?

GG: Circa tre anni.

ES: Dove lavora?

GG: Alla Kymlingeviksskolan.

ES: E Maria, dove lavorava?

GG: Nella stessa scuola.

ES: Entrambi insegnanti, dunque?

GG: Temporaneamente, sì.

ES: Cosa intende con temporaneamente?

GG: Che non pensavamo di insegnare per sempre.

ES: Questo lo capisco anch’io. Continui.

GG: Abbiamo trovato lavoro nella stessa scuola. Lei insegnava inglese e francese. Io matematica e fisica. Ma nessuno di noi... aveva... una formazione magistrale.

ES: Così vivevate qui a Kymlinge da poco?

GG: Ci siamo trasferiti a Söderbyvägen il 1º agosto.

ES: Capisco. Mi dispiace moltissimo per quanto è accaduto, ma ora vorrei che parlassimo di cos’è successo domenica.

GG: D’accordo.

ES: Bene. Avete fatto una scampagnata con alcuni amici. Potrebbe farmi un breve resoconto?

GG: Cosa vuole sapere?

ES: Chi eravate. Come vi eravate conosciuti. A chi è venuta l’idea.

GG: Eravamo in sette. Eravamo tre coppie, ci frequentavamo di tanto in tanto. E una donna che lavorava con noi a scuola.

ES: Continui. Chi eravate, dunque?

GG: Io e Maria. Il fratello di Maria, Tomas, e sua moglie Gunilla, che vivono a Göteborg. Rickard e Anna Berglund. Lui è un sacerdote, a Rödåkra, eravamo stati insieme sabato sera nella sua parrocchia.

ES: E fanno sei. Chi è la settima?

GG: Elisabeth Martinsson. Quella della scuola.

ES: Anche lei era presente sabato sera?

GG: No. E non capisco che importanza abbia. La mia convivente è scivolata nella scarpata ed è morta. Dove vuole arrivare?

ES: Voglio escludere certe eventualità.

GG: Che genere di eventualità?

ES: Che non si tratti di un incidente. Sa che qualcuno l’ha sentita gridare mentre cadeva?

GG: Sì, lo so. Anch’io l’ho sentita gridare. Ma non ho capito cosa gridava.

ES: Mi può descrivere il suo urlo?

GG: Era solo qualcosa di inarticolato.

ES: Nessuna parola?

GG: Non mi sembra. Ero abbastanza distante da lei.

ES: Quanto distante?

GG: Non saprei.

ES: Più o meno?

GG: Centocinquanta o duecento metri, penso. Piuttosto lontano dall’orlo del precipizio.

ES: Non l’ha vista?

GG: No.

ES: E non vedeva nemmeno qualcuno degli altri?

GG: No.

ES: Perché no?

GG: Perché il bosco era abbastanza fitto. Pini, soprattutto, non vedevo da nessuna parte. Stavo cercando i funghi... come gli altri. Credo fossimo abbastanza sparsi.

ES: Eravate abbastanza sparsi?

GG: Sì. Se si va per funghi non è una grande idea cercare nello stesso posto.

ES: Da quanto tempo eravate nel bosco, quando è accaduto?

GG: Poco più di un’ora. Ci eravamo messi d’accordo di bere un caffè all’una. Era passato da poco mezzogiorno quando è successo.

ES: Funghi ne ha trovati?

GG: No. Ma io cercavo solo finferli.

ES: Sa se qualcuno degli altri ne ha trovati?

GG: Credo che Anna ne abbia trovati. Forse anche Elisabeth, non so.

ES: Aveva avuto molti contatti con la sua convivente durante l’ora in cui siete stati nel bosco?

GG: No. All’inizio ci muovevamo nella stessa direzione, poi ognuno ha preso la sua strada.

ES: Ha parlato molto con lei?

GG: Quasi per niente, solo quando eravamo in macchina.

ES: Perciò lei e Maria siete arrivati insieme?

GG: Sì, abbiamo incontrato gli altri vicino alle rocce di Rute. C’è un parcheggio, e avevamo stabilito di iniziare a cercare da lì.

ES: Avevate deciso qualcosa in particolare prima di addentrarvi nel bosco?

GG: No, solo che avremmo mangiato all’una. Avevamo lasciato la colazione al sacco nel punto in cui pensavamo di tornare.

ES: Ma così non è stato, vero?

GG: No.

ES: Quanto vi siete allontanati dal parcheggio?

GG: Non molto, più o meno un chilometro.

ES: E non ha visto nessuno degli altri quando è accaduto il fatto?

GG: No. Gliel’ho già detto.

ES: Di che cosa avete parlato lei e la sua convivente in macchina?

GG: Niente di particolare.

ES: Può essere più preciso?

GG: No.

ES: Ne prendo nota. Con chi degli altri ha parlato mentre cercavate funghi?

GG: Con nessuno.

ES: Nessuno?

GG: Forse abbiamo scambiato qualche parola all’inizio.

ES: E...?

GG: Poi ci siamo sparpagliati. Mi sembra normale, non le pare?

ES: Forse. Quando è accaduto il fatto, da quanto non vedeva gli altri?

GG: Non mi ricordo.

ES: Ci rifletta un momento.

GG: Credo di aver visto Maria ed Elisabeth cinque o dieci minuti prima.

ES: Erano insieme?

GG: No.

ES: Ha parlato con loro?

GG: No.

ES: Ed era mezzogiorno quando ha sentito gridare la sua convivente?

GG: Qualche minuto dopo, sì.

ES: E cos’ha fatto?

GG: Mi sono spostato là, naturalmente.

ES: E...?

GG: Siamo arrivati lì insieme.

ES: Si ricorda chi era già lì?

GG: Solo Elisabeth. Io e Rickard siamo arrivati quasi contemporaneamente, anche se da direzioni diverse. Elisabeth era molto agitata, ho capito che era successo qualcosa.

ES: Cos’ha fatto?

GG: Mi sono precipitato lì, Elisabeth indicava giù nella scarpata.

ES: Continui.

GG: Ho guardato e l’ho vista stesa in basso. Dobbiamo proprio ripercorrere tutto quanto? Non ne abbiamo già parlato ieri?

ES: Capisco che per lei sia doloroso. Se vuole possiamo fare una pausa.

GG: Non ho bisogno di una pausa. Voglio finire il più in fretta possibile.

ES: Allright. Tornando un po’ indietro, lei ha detto che vi siete incontrati sabato sera dai coniugi Berglund. È lì che avete avuto l’idea della gita?

GG: Lo avevamo già deciso prima.

ES: Mi spieghi.

GG: Non capisco cosa vuole che le spieghi.

ES: Sì che lo capisce.

GG: Sciocchezze. Avevamo deciso di trascorrere la domenica insieme. Rickard e Anna si erano trasferiti qui a Kymlinge, e anche noi. Siamo vecchi amici da quando studiavamo insieme a Uppsala. E i Winckler, Tomas e Gunilla, sono venuti su da Göteborg. Come ho già detto.

ES: E avevate programmato di incontrarvi sabato sera per poi fare una gita di domenica.

GG: Certo. Cosa c’è di strano?

ES: Niente. Voglio solo chiarire ogni dettaglio.

GG: Per escludere tutte le eventualità?

ES: Esatto. Mi parli della settima partecipante, Elisabeth Martinsson.

GG: È solo una collega. Maria le aveva detto che saremmo andati nei boschi, e credo che lei abbia chiesto se poteva aggregarsi. Si è appena trasferita qui anche lei e non ha la macchina.

ES: Com’è arrivata fino al bosco?

GG: È andata con gli altri. Penso abiti lungo la strada, sono passati a prenderla.

ES: Capisco. Parliamo di sabato sera. Com’è stata la serata?

GG: Tranquilla.

ES: Può essere più preciso?

GG: Non c’è molto da dire. Abbiamo cenato, parlato, Tomas e Gunilla sono rimasti a dormire in parrocchia. Io e Maria siamo tornati a casa verso mezzanotte.

ES: Chi ha guidato?

GG: Perché me lo chiede?

ES: La prego di rispondere anziché fare domande. Finiremo prima.

GG: Abbiamo preso un taxi. Avevamo bevuto entrambi.

ES: Capisco. E com’era l’atmosfera durante la serata?

GG: Buona.

ES: Niente di strano?

GG: Niente di strano.

ES: Lei cosa crede sia accaduto a Gåsaklinten?

GG: Cosa credo? Che Maria sia scivolata e sia caduta. Non riuscirà a convincermi di qualcos’altro.

ES: Bene. Quando ha capito che era morta?

GG: Appena l’ho vista.

ES: Come faceva a esserne così sicuro?

GG: Era caduta da venticinque metri su un cumulo di pietre. Era morta, ovviamente.

ES: Ma non l’ha vista cadere?

GG: No.

ES: Sa se qualcun altro ci è riuscito?

GG: A vederla cadere?

ES: Esatto.

GG: No, nessuno.

ES: E come fa a saperlo?

GG: Ne abbiamo parlato. Abbiamo avuto il tempo di parlarne prima che arrivasse la polizia.

ES: Quanto tempo circa?

GG: Un’ora, direi. Tomas è andato in una fattoria nelle vicinanze. Ha telefonato da là. Noialtri siamo rimasti ad aspettare sul posto.

ES: E nel frattempo avete discusso di cos’era successo?

GG: Cosa avremmo dovuto fare altrimenti? Parlare di politica?

ES: E a che conclusione siete giunti?

GG: Che era scivolata, ovvio.

ES: Nessuno aveva un’opinione diversa?

GG: No.

ES: Dove vi trovavate mentre aspettavate e discutevate?

GG: In basso, accanto al cadavere.

ES: È stato difficile scendere?

GG: Per niente. Siamo scesi lungo un sentiero, in meno di un minuto.

ES: Capisco. Quindi qualcuno l’ha sentita gridare?

GG: Sì.

ES: E ha anche sentito cosa gridava?

GG: Non credo. Tutti avevano sentito, secondo Anna ed Elisabeth era un suono simile a una lunga «o».

ES: Una lunga «o».

GG: Sì.

ES: Come «muoiooo»?

GG: Ad esempio. Dobbiamo proprio parlarne? Non mi sembra abbia molto senso. La mia ragazza è appena morta. Non penso sia necessario insistere su questi dettagli.

ES: Capisco benissimo che possa essere spiacevole. Purtroppo non ho scelta. Com’era il rapporto tra lei e la sua ragazza?

GG: Cosa intende dire?

ES: Era una relazione serena? Litigavate?

GG: Io e Maria non abbiamo litigato neppure una volta da quando ci siamo incontrati.

ES: Devo prendere questa affermazione alla lettera?

GG: La prenda come vuole.

ES: E le relazioni all’interno del gruppo, anche quelle erano perfette?

GG: Può chiedere anche agli altri. In ogni caso io e Maria non avevamo attriti con nessuno.

ES: E nessuno di loro aveva conti in sospeso con voi?

GG: Questo non deve chiederlo a me.

ES: Elisabeth Martinsson, come l’ha conosciuta?

GG: Non la conosco per niente. È stata Maria a invitarla a unirsi a noi.

ES: Era batofobica?

GG: Come?

ES: Maria, la sua convivente. Mi domandavo se fosse batofobica.

GG: No, non in modo particolare.

ES: Non soffriva di vertigini?

GG: No.

ES: Si è dato una spiegazione del perché sia scivolata?

GG: No. Me lo ha già chiesto.

ES: Era depressa?

GG: No, non era depressa. Mi scusi, ma da questo momento non intendo più rispondere. Se vuole proseguire a farmi domande di questo tipo, voglio che sia presente un avvocato.

ES: Un avvocato? Diamine, perché?

GG: [nessuna risposta]

ES: Allora, signor Grooth. Avrò modo di tornare sui fatti. Mi spiace che per lei sia così straziante, ma senza dubbio comprenderà che dobbiamo chiarire ogni dettaglio. In fin dei conti si tratta di un caso di morte senza spiegazione.

GG: Da parte mia non c’è bisogno di ulteriori spiegazioni. Posso andare ora?

ES: Ancora una cosa. Può indicarmi su questa cartina dove si trovava quando è avvenuto il fatto?

GG: [indica la posizione. Tempo impiegato: meno di dieci secondi]

ES: Prego, è libero di andare. L’interrogatorio si conclude alle 13.48.



Diciotto minuti, constatò Barbarotti dopo aver ricontrollato. L’interrogatorio non era durato un minuto di più.

Ci aveva messo ancora meno per rileggerlo. Dieci o undici minuti. Forse Sandlin non aveva riportato una parte delle domande e delle risposte. Era stato lui a trascrivere l’interrogatorio, e tutti e tre i presenti l’avevano firmato.

Ma Germund Grooth si era preoccupato di rileggerlo? Forse no. E l’assistente... Malmberg... quasi certamente no. Se lo avesse fatto avrebbe messo in dubbio l’affidabilità di un superiore, e con Sandlin non era il caso di discutere.

Perché mi vengono questi pensieri? si chiese Barbarotti. Perché cerco di mettere in cattiva luce un collega ormai morto?

Forse perché il tono dell’interrogatorio era stato freddo. Un tono che proprio non riusciva a capire. Grooth aveva appena perso la sua compagna, non c’erano ragioni per procedere così duramente. Come se Sandlin sospettasse di lui. La reazione di Grooth era giustificabile; Barbarotti provò a immaginarsi come avrebbe condotto quel colloquio, e anche se non aveva ancora approfondito la vicenda, certo si sarebbe mosso diversamente. In modo meno aggressivo, di sicuro più naturale. Un po’ più gentile.

Invece Sandlin aveva affrontato l’interrogatorio come se ci fosse del marcio. Come se nella morte di Maria Winckler ci fosse qualcosa che non quadrava.

E lo aveva sospettato sin dall’inizio. Sandlin era morto da dodici anni. Peccato, pensò Barbarotti. Avrebbe fatto volentieri quattro chiacchiere con lui. Forse questo Malmberg è ancora vivo. Valeva la pena di accertarsene.

Vide che erano passate le dieci e mezzo. Allright, pensò, una tazza di caffè e poi altri due interrogatori.

L'uomo che odiava i martedì
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