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Eva Backman aveva pensato di iniziare con i coniugi Berglund, visto che abitavano a Kymlinge, ma non sembrava il momento più opportuno.
Per usare un eufemismo. Eva sapeva che Anna Berglund era in malattia, ma quello che non sapeva era che stava morendo di cancro.
Lo sapevano bene invece all’impresa di pompe funebri Linderholm, dove Rickard lavorava dal 2005 dopo aver lasciato la vita ecclesiastica. Eva Backman aveva già riflettuto su un cambiamento così insolito. O forse non era così strano? A cosa avrebbero dovuto dedicarsi i preti, quando per una ragione o per l’altra decidevano di smettere di predicare? Mercato immobiliare? Sanità? Non era forse naturale passare alle pompe funebri, senza perdere i contatti con il vecchio lavoro? Funerale per funerale, pensò Eva Backman. Perché no?
Holger Linderholm, proprietario e direttore dell’impresa dall’autunno del 1978, quando suo padre era deceduto, raccontò che la signora Berglund si era ammalata di cancro qualche anno prima, e che non le rimaneva molto da vivere. Senza troppi giri di parole, era nella sua stanzetta d’ospedale in attesa di morire. Suo marito trascorreva più tempo possibile al suo capezzale, si era messo in ferie dalla settimana precedente. E ci sarebbe rimasto per tutto il tempo che serviva.
In ogni caso era una questione di settimane, chiarì Linderholm. Forse giorni; la tenevano in vita, ma era inutile. Le davano la morfina contro il dolore, era un modo terribile di morire, ma per alcuni quello era il destino. Non si poteva fare niente, ed era ingiusto.
Eva Backman gli chiese se era in contatto con Rickard Berglund, e Linderholm affermò di sì. Oltre a essere colleghi, nel corso degli anni erano diventati buoni amici, anche se Linderholm era più vecchio di dieci anni. Avevano iniziato a frequentarsi quando Berglund era ancora prete. Fin da allora avevano molto in comune. Anche Anna Berglund e sua moglie erano amiche. Ellen Linderholm era morta tre anni prima. Si frequentavano, mangiavano spesso insieme a casa degli uni o degli altri, giocavano a whist e Trivial Pursuit.
L’ispettore spiegò in poche parole cos’era accaduto e perché voleva contattare Berglund – naturalmente non c’era fretta, viste le circostanze –, e Linderholm promise di riferire tutto non appena ne avesse avuto l’occasione.
Eva Backman ringraziò, uscì e salì in macchina. Studiò la sua lista e compose il numero della famiglia Winckler-Rysth a Lindås. Al telefono rispose la signora; il marito era a Londra per affari, ma la moglie era disponibile per una chiacchierata. Di cosa si trattava?
Quando l’ispettore Backman spiegò la ragione della telefonata, per parecchi secondi calò il silenzio.
«Pronto? È ancora in linea?»
«Sì, ci sono» confermò Gunilla Winckler-Rysth. «Sono senza parole. Anche lui? Cosa... cosa significa?»
«Vorrei parlarne con lei» disse Eva Backman. «Ha tempo oggi pomeriggio?»
«Sì... sì, sono abbastanza libera» esitò Gunilla Winckler-Rysth. «Ma abitiamo a Lindås, e lei mi sta chiamando da...?»
«Da Kymlinge, sì» rispose Eva Backman. «Ma con la macchina riesco a essere lì in un paio d’ore. Non c’è problema. Possiamo fare per l’una?»
Gunilla Winckler-Rysth disse che all’una andava bene e fornì all’ispettore le indicazioni stradali per raggiungerla. Assolutamente superflue, fra l’altro, visto che la Backman aveva già inserito l’indirizzo nel navigatore.
Tuttavia la lasciò finire, per qualche ragione sembrava averne bisogno.
Secondo il suo elenco, Gunilla Winckler-Rysth aveva passato la sessantina, ma sembrava molto più giovane. Andava in palestra sicuramente tre o quattro volte alla settimana, pensò Eva Backman. Esile, agile e senza rughe. Capelli biondo platino, la tinta più adatta per coprire il grigio quando il colore naturale è ormai svanito.
Forse non aveva neppure bisogno di uscire di casa per mantenersi in forma; abitava in una villa di due piani, in vetro, legno invecchiato e cemento, grande abbastanza per contenere piscina e palestra. Almeno per i patiti del fitness.
Ma non ebbe modo di fare un’ispezione. Gunilla Winckler-Rysth le venne incontro non appena l’ispettore scese dalla macchina. Era impaziente di parlarle e sembrava circondata da un’aura di vaga inquietudine. La Backman non capiva se quell’inquietudine fosse momentanea o cronica. Si accomodarono in cucina intorno a un tavolo di pietra. La stanza sembrava finita da pochissimo, una settimana al massimo. Gunilla Winckler-Rysth aveva già preparato pane integrale, formaggio e insalata. Una caraffa d’acqua e fettine di limone. Chiese all’ispettore se preferiva tè o caffè; la Backman scelse il caffè, e la sua ospite mise in funzione una grande macchina per l’espresso in acciaio inossidabile: anche questa sembrava nuova di zecca.
«Avete una bella casa. Da quanto tempo vivete qui?» chiese la Backman.
«Da quasi un anno» rispose Gunilla Winckler-Rysth. «Ci siamo trasferiti qui da Långedrag. Sì, ci piace la natura di questa zona.»
Anche la voce della donna tradiva una certa ansia. Senso di colpa, o qualcosa del genere. La Backman guardò fuori dalla finestra e pensò che da qualche parte doveva esserci una pista da jogging. Vorrei avere la sua linea fra quindici anni, pensò, mentre la signora Winckler-Rysth spumava il latte. Quando la macchina per il caffè smise di ronzare, Eva Backman decise di non pensare più alla forma fisica e di concentrarsi sul motivo della sua visita. Accese il registratore e lo posizionò accanto al portacandele di granito al centro del tavolo.
«Lei quindi non sapeva che Germund Grooth è stato trovato morto domenica scorsa?»
«No, non ne avevo idea. Sono rimasta senza parole quando me l’ha detto. Nello stesso posto di Maria... è così, vero?»
«Sì.»
«Santo cielo. Ma perché? Che senso ha...?»
«Che senso ha cosa?»
«Che... non so... morire nello stesso posto di Maria. È passato così tanto tempo. Trentacinque anni.»
«Lei e suo marito eravate ancora in contatto con Germund Grooth?»
Gunilla Winckler-Rysth appoggiò i due cappuccini sul tavolo, e la Backman notò che le mani della donna tremavano leggermente. Come la vibrazione nervosa delle ali di un uccellino. Si sedette di fronte all’ispettore e si tolse un capello inesistente dai pantaloni neri. «No» rispose. «Direi proprio di no.»
«Si spieghi meglio» disse la Backman.
La sua ospite rifletté un istante, poi aggiunse: «È sparito quando è morta Maria. Ma non del tutto. Da allora lo abbiamo incontrato tre o quattro volte in tutto. Sì, non di più. Vive... viveva... a Lund».
«Lo so. Quando l’ha visto l’ultima volta?»
«Solo un paio di mesi fa, in effetti» disse Gunilla Winckler-Rysth.
«In quale circostanza?»
«È stato qui. Mio marito lo ha incontrato per caso a Göteborg. Erano a pranzo nello stesso ristorante. La scorsa primavera... così Tomas lo ha invitato qui.»
«Quando è stato qui?» chiese la Backman.
«All’inizio di giugno. Era a Göteborg per una conferenza. Era con una donna.»
«Una donna? Aveva una relazione o...?»
«Dipende da cosa intende per relazione. Germund ha avuto... parecchie donne negli anni.»
«Ma non si è mai sposato?»
«No. Credo che non abbia mai vissuto con nessuna di loro... a parte Maria. Però non voglio dire nulla. Quella donna era solo una delle sue tante relazioni occasionali... mi scusi, non sto accusando nessuno, ma le cose stavano così. Non intendo dire che l’abbia rimorchiata a Göteborg, sapevamo che sarebbero stati in due. Ci aveva avvisato prima.»
Eva Backman annuì. «Capisco. Come si chiamava? Potremmo aver bisogno di parlare con lei.»
«Kristin qualcosa» rispose Gunilla Winckler-Rysth. «Era danese.»
La donna cambiò espressione, come se improvvisamente si fosse resa conto di qualcosa. «Perché... voglio dire, perché dovreste aver bisogno...? E perché vuole parlare con me?»
L’ispettore Backman attese. Osservò la sua ospite deglutire a fatica prima di formulare la domanda successiva.
«Come è morto di preciso Germund? Lei è della polizia giudiziaria, vero?»
Eva Backman annuì. «Esatto. Stiamo investigando sulla sua morte.»
«Ma perché? Perché avete bisogno di indagare?»
«Non le sembra ovvio?»
«Lei intende dire... per il legame con Maria?»
«Sì.»
Gunilla Winckler-Rysth scosse la testa e incrociò le mani. Forse per nascondere il tremore, pensò la Backman. Poteva essere un’alcolista? Una casalinga dell’alta borghesia con la sindrome da prosecco? Nonostante la forma fisica invidiabile la signora cominciava a perdere colpi, e in effetti «libero professionista nel campo dei servizi di consulenza» poteva significare qualsiasi cosa.
Sono piena di pregiudizi, pensò l’ispettore Backman.
«Ma è successo così tanto tempo fa» continuò la signora Winckler-Rysth dopo qualche secondo di titubanza. «Santo cielo, sono passati trentacinque anni. Mi sta dicendo che... che avete trovato Germund nello stesso luogo?»
«Proprio così. Gåsaklinten, a Rönninge, fuori Kymlinge» spiegò Eva Backman.
«Gåsaklinten...» Disgiunse le mani e si inumidì le labbra. «... E Gåsastupan, sì, si chiamava così. Dicevano che in quel burrone un tempo andavano a suicidarsi, me lo ricordo. Ma cos’è successo? Germund si è tolto la vita?»
«Non lo sappiamo» rispose Eva Backman.
«Non può semplicemente...»
«Sì?»
«Non può essere scivolato proprio nello stesso posto. È... assurdo.»
«Lo pensiamo anche noi» disse Eva Backman. «Lei che opinione ha?»
«Io?» Gunilla Winckler-Rysth inarcò le sopracciglia per lo stupore. «Perché dovrei avere un’opinione? Non ci capisco niente.»
Eva Backman cercò di valutare l’autenticità del suo stupore, senza arrivare a nessuna conclusione, e decise di passare all’offensiva. «Sono state fatte molte ipotesi sulla morte di Maria Winckler nel 1975, non è vero?» chiese.
«Ipotesi?» ripeté Gunilla Winckler-Rysth.
«Proprio così» disse Eva Backman. «Ipotesi.»
Gunilla Winckler-Rysth rimase un istante in silenzio. Pareva stesse riflettendo su quale direzione prendere. La Backman pensò che la donna non gradisse ripercorrere trentacinque anni a ritroso nel tempo.
«È vero, c’erano diverse ipotesi» disse infine. «E non abbiamo mai smesso di pensarci, né Tomas né io.»
«Come mai?»
«Cosa?»
«Perché non avete mai smesso di pensarci?»
«Mi sembra normale. Maria era sua sorella, e il modo in cui è morta era così... insomma, non saprei.»
Eva Backman aspettò ancora. Gunilla Winckler-Rysth scosse la testa, per qualche motivo imprecisato.
«Era strana, Maria» riprese, «imprevedibile... era molto dotata, ci sorprendeva sempre, ma che dovesse morire in quel modo... No, fu tutto così incomprensibile.»
«Lei cosa pensa sia successo?» chiese l’ispettore.
«Penso si sia tolta la vita» rispose Gunilla Winkler-Rysth dopo una pausa. «Credo sia andata così.»
La Backman immaginò che all’interno della famiglia ci fossero opinioni diverse, ma per il momento decise di non approfondire la questione.
«Può spiegarsi meglio?» chiese invece. «Perché crede che Maria si fosse tolta la vita?»
«Perché avrebbe dovuto inciampare e cadere da un precipizio? Sembra così... goffo. E lei non era affatto goffa.»
«Si ricorda bene quel giorno?» chiese la Backman.
«Fin nei minimi dettagli. È difficile dimenticare certe cose.»
«E si ricorda anche le indagini della polizia?»
«In parte. Il commissario era un certo Sandin, se non ricordo male. Un tipo piuttosto scortese.»
«Sandlin» corresse la Backman. «Sì, voleva sempre andare a fondo di ogni caso, per questo era così duro. Pare che Maria abbia gridato qualcosa mentre cadeva: ricorda questo dettaglio?»
«Sì, me lo ricordo» rispose Gunilla Winckler-Rysth.
«E...?»
«E sono ancora convinta che abbia gridato.»
«Nessuno lo aveva messo in dubbio, a quanto mi risulta» commentò la Backman. «Ma c’erano diverse interpretazioni su cosa avesse gridato, non è vero?»
«Esatto» confermò Gunilla Winckler-Rysth.
«E lei cosa aveva sentito?»
«Non ha letto i verbali? Sarà scritto lì.»
«Non ho ancora avuto occasione di farlo» spiegò l’ispettore. «Li sta analizzando un collega.»
Gunilla Winckler-Rysth bevve un sorso del suo cappuccino e si asciugò la schiuma dalle labbra prima di rispondere.
«Anna Berglund, Elisabeth e io credemmo di aver sentito: ’Omicidio!’»
«Omicidio?»
«Sì. Lo saprà certamente, anche se non ha letto i verbali della polizia.»
«Naturale» ammise Eva Backman. «So che alcuni di voi sentirono Maria gridare ’Omicidio’. Ma non mi spiego perché siano state le donne a sentirlo. Come le ho detto, il mio collega sta analizzando gli interrogatori di allora.»
«Capisco» disse Gunilla Winckler-Rysth. «Altri hanno pensato che avesse gridato ’Morte!’, ma secondo Anna ed Elisabeth la parola era più lunga... forse ’Omicidio!’ Anch’io allora la pensavo così.»
«Pensava? E adesso?» chiese la Backman.
«Non si può... non si può essere sicuri di qualcosa che si è sentito trentacinque anni prima.»
«Ha cambiato opinione, quindi?»
Gunilla Winckler-Rysth sospirò. «A dire la verità, no.»
Eva Backman si fermò a pensare qualche secondo. «Non riesco a seguirla» riprese. «Prima crede che Maria Winckler si sia tolta la vita, poi dice di averla sentita gridare ’Omicidio!’ Non è contraddittorio?»
«Forse» ammise Gunilla Winckler-Rysth con una smorfia. «Ma Maria era una persona davvero strana.»
«Cosa intende dire con strana?» chiese la Backman.
«Imprevedibile» rispose Gunilla Winckler-Rysth dopo averci pensato per qualche istante. «Difficile, a volte. Ma molto intelligente.»
«Difficile?»
«Sì.»
«Continui, la prego.»
Gunilla Winckler-Rysth alzò le mani senza convinzione. «Ci ho pensato per trentacinque anni» disse e cominciò a raccogliere le briciole dal tavolo. «Non sempre, ovvio, ma di tanto in tanto. Non riesco... non riesco a immaginare che qualcuno di noi l’abbia spinta giù dal precipizio. Invece immagino che... forse non ha senso, ma uno vuol sempre far tornare le cose, alla fine... capisce cosa voglio dire?»
«Sia più chiara, la prego» insistette la Backman.
Gunilla Winckler-Rysth fece un profondo sospiro. «Le sarei grata se non riferisse niente di tutto questo a mio marito. Non la pensiamo allo stesso modo in proposito. Penso che Maria si sia buttata giù dal precipizio volontariamente e che abbia gridato ’Omicidio!’ per... be’, per incolpare qualcuno di noi.»
Eva Backman rimase in silenzio per un momento. «Ho capito» disse poi. «Aveva parlato di questa ipotesi all’ispettore Sandlin quando la interrogò a suo tempo?»
«Forse gli accennai qualcosa» disse Gunilla Winckler-Rysth. «Però non ricordo con precisione.»
«Posso controllare nei documenti» chiarì la Backman. «In ogni caso la sua teoria mi sembra davvero importante per l’indagine.»
«Lo so» disse Gunilla Winckler-Rysth. «Maria era proprio strana.»
«Può spiegarsi meglio?»
«Non so... non so esattamente.»
«Eravate amiche intime?»
«Era la sorella di Tomas. Ci siamo frequentati assiduamente per un paio d’anni.»
«Riesce a descrivermela meglio?»
Gunilla Winckler-Rysth gettò uno sguardo al registratore. «Sta registrando, vero?»
«Vuole che lo spenga?»
«Sì, grazie.»
Eva Backman premette il tasto STOP.
«Era molto giovane» riprese Gunilla Winckler-Rysth. «Eravamo tutti molto giovani.»
Eva Backman annuì.
«Certe volte è difficile immaginarsi che sia successo davvero. Sono passati così tanti anni. I nostri tre figli ormai sono adulti, hanno più anni di quanti ne avessimo noi allora, e... be’, non so.»
«Maria era sua cognata» le ricordò l’ispettore. «In che rapporti era con lei?»
Gunilla Winckler-Rysth sembrò imbarazzata. «Non l’ho mai capita» disse, come... come se non avesse voluto dire quello che aveva detto, pensò la Backman. «Pensava solo a se stessa. Non che fosse antipatica, semplicemente non si interessava agli altri. Tranne Germund, forse. Suppongo che in qualche modo si completassero a vicenda...»
«Li frequentavate spesso?»
«Oh, sì, durante gli anni in cui eravamo a Uppsala.»
«Continui.»
«Uff, cosa le posso dire...» Si schiarì la voce nervosamente. «Tomas adorava organizzare feste e cose simili. Viaggi e attività insieme. Lo fa ancora. Ha sempre lavorato nel settore dei viaggi... Coinvolgeva sempre anche Maria e Germund, e loro non rifiutavano quasi mai. È un po’ strano. Credo che Tomas si sentisse responsabile per sua sorella, sapeva che lupo solitario fosse lei e pensava che toccasse a lui tirarla fuori dalla sua tana... o qualcosa di simile. È stato davvero dura per lui quando è morta, terribilmente dura.»
«E l’altra coppia? Rickard e Anna Berglund, frequentavate spesso anche loro?» chiese la Backman.
«Assolutamente sì» annuì Gunilla Winckler-Rysth. «Eravamo sempre noi sei. A volte anche altri, ma sempre noi sei. A Uppsala, però. Poi... be’, l’incidente di Maria successe dopo che ci eravamo lasciati gli studi alle spalle, e poi è stato quel che è stato.»
«Non avete continuato a vedere Rickard e Anna Berglund?»
«No, in effetti. Noi abitavamo a Göteborg e avevamo parecchio da fare con i bambini e il lavoro, loro vivevano a Kymlinge... no, non ci siamo visti spesso dopo l’accaduto. Tomas e Rickard si sono sentiti qualche volta per telefono. Gåsastupan e la morte di Maria sono stati un punto di rottura, è innegabile.»
«Quando vi siete incontrati l’ultima volta?» chiese la Backman.
«Sarà stato dieci o dodici anni fa» rispose Gunilla Winckler-Rysth. «Da quando Anna si è ammalata non ci siamo più visti. Tomas ha parlato con Rickard un paio di volte, ma non ci siamo incontrati.»
«Quando si è ammalata Anna?»
«Le è stato diagnosticato il cancro tre o quattro anni fa, mi sembra. Forse di più. Si è sottoposta a chemioterapia e tutto il resto, ma credo che non sia servito. Non so come stia ora.»
Eva Backman decise di non aggiornarla sulle condizioni di Anna Berglund. «Parliamo un po’ di Germund Grooth» propose invece. «Cosa pensa ci possa essere dietro la sua morte?»
Gunilla Winckler-Rysth indugiò almeno cinque secondi prima di rispondere, e la Backman la lasciò indugiare.
«Non ho idea» disse alla fine. «Non ne ho la più pallida idea. Non l’ho mai capito, proprio come Maria. Erano entrambi così imprevedibili. Potrà sembrarle strano, visto quanto ci siamo frequentati, eppure è proprio così.»
«Sì, proprio così» aggiunse dopo una breve pausa. Annuì un paio di volte, come a sottolineare l’efficacia di quella sintesi.
Quando mezz’ora dopo Eva Backman salì in auto per tornare a Kymlinge, ripensò alle due espressioni conclusive di Gunilla Winckler-Rysth.
Non ne ho la più pallida idea. Erano entrambi così imprevedibili.
Forse non era tanto importante. La questione era su cosa indagare. Due suicidi, oppure un incidente e un suicidio: c’erano altre alternative? E in nessuno dei due casi sarebbe stata competenza della polizia criminale.
E anche se Maria avesse davvero gridato «Omicidio!» precipitando nel burrone trentacinque anni prima, non significava nulla. Cosa aveva intuito Sandlin? si chiese la Backman. Aveva messo agli atti l’indicazione di Gunilla Winckler-Rysth, secondo cui Maria aveva voluto incolpare qualcuno? Aveva davvero fatto una simile allusione a Sandlin?
Eva Backman era scettica su questo punto. Se Maria avesse davvero voluto indicare qualcuno mentre si toglieva la vita, non avrebbe gridato un nome?
E se invece avesse voluto accusarli tutti? Non sembrava molto sensato, come aveva commentato anche la signora Winckler-Rysth.
Sandlin aveva speso così tante energie in quell’indagine proprio per quell’«Omicidio!»? O c’era dell’altro?
Oppure era solo un segugio che non mollava finché non aveva chiarito ogni dettaglio? Forse era proprio così.
Eva Backman notò che i punti di domanda iniziavano a essere un po’ troppi. Smettila, ora, si disse. Aspetta di essere seduta davanti a una tazza di caffè con Barbarotti.
Mise nel lettore un cd di Bryan Ferry e spinse sull’acceleratore.