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Quando Rickard Berglund ripensava al 1974 – ai giorni tra Natale e Capodanno, quando era chiaro che avrebbero lasciato Uppsala – gli sembrava un anno denso di avvenimenti.
Pensava anche che le loro decisioni erano state giuste. Diversi fattori indicavano che era giunto il momento di lasciare la città universitaria e avventurarsi nella realtà. Né lui né Anna avevano esitato di fronte a quella prospettiva. Anzi, si erano incoraggiati a vicenda appena avevano scorso la lettera che comunicava a Rickard il suo primo incarico: sarebbe entrato in servizio il 1º febbraio.
Rickard Berglund aveva ottenuto la laurea in teologia a giugno. Sua madre era morta all’inizio di aprile. Era stato come un fulmine a ciel sereno. La mattina del 9 aprile era stata ricoverata all’ospedale di Mariestad.
Ethel Berglund era stata sepolta nella chiesa di Hova il 18 aprile. Solo otto mesi dopo proprio Rickard avrebbe potuto celebrare la funzione. Sua madre era morta di martedì. Non aveva potuto fare a meno di notarlo.
Anche se non era mai stato molto vicino alla madre, la sua morte aveva fatto passare l’ordinazione pastorale, avvenuta nella cattedrale di Uppsala durante l’Avvento, sotto silenzio. Rickard si accorse che avrebbe voluto vederla lì. Così come suo padre, pastore della Chiesa nonconformista. Riuscì a trovare un certo conforto all’idea che si fossero riuniti, che insieme avrebbero potuto assistere dal cielo all’ordinazione del loro figliolo.
Alla fine di maggio era stata venduta la casa di Hova, così lui e Anna si erano concessi il lusso di una lunga vacanza di quattro settimane nelle isole greche. Avevano visitato in barca le Cicladi, un’isola più bella dell’altra in quel mare blu, e tra il serio e il faceto si erano detti che Dio aveva creato la barca, e il diavolo il pullman.
Come sua madre, anche la Kvalitetsresor AB non era che un ricordo. Tomas aveva venduto il pullman e si erano divisi il misero capitale prima che a febbraio venisse dichiarato il fallimento. Quando ci rifletteva si rendeva conto che era l’unica volta quell’anno in cui si erano riuniti tutti e sei. Poiché Tomas e Gunilla si erano trasferiti a Göteborg ad agosto, anche Sibyllegatan apparteneva ormai al passato. Sì, il 1974 era stato l’anno delle separazioni.
Durante il «praticantato», come viene chiamata la formazione in vista del lavoro pastorale, aveva provato a fare sul serio in alcune parrocchie fuori Uppsala. Vittinge, Almunge e Knutby. Aveva tenuto al massimo quattro sermoni, ma gli era bastato per capire cosa si provava a stare sul pulpito di fronte ai fedeli in ascolto. La prima volta, nella bella chiesa di Vittinge, era stato così nervoso da non riuscire quasi a salire la scala.
Però era stato un autunno proficuo, aveva incontrato pastori intelligenti e gentili, con molti anni di esperienza, e quando fu sul punto di occuparsi della parrocchia di Rödåkra-Hemleby, nella Svezia occidentale, sentì di essere, malgrado tutto, pronto per il suo compito. Sicuramente inesperto, ma pronto.
Anna aveva ottenuto il rinnovo del contratto all’«Uppsala Nya Tidning», ma dopo la sostituzione dell’estate precedente era approdata alla redazione locale di Östhammar. Questo aveva comportato intense giornate di lavoro e lunghi spostamenti. Avevano comprato la loro prima auto, una vecchia Volvo PV a tre marce, per duemilaquattrocento corone; aveva evitato di prendere la corriera, ma aveva dovuto guidare due ore ogni giorno. Poi era stata assunta allo «Svenska Kyrkans Tidning», senza raccomandazioni da parte di Rickard. Era un impiego part time in previsione del trasferimento nella Svezia occidentale, e il caporedattore le aveva assicurato che avrebbe potuto tranquillamente gestire il lavoro da Kymlinge, anche se doveva mettere in conto qualche trasferta a Göteborg e in altre località.
Anna era pronta a lasciare la sua città natale, e Rickard non aveva ragione di dubitare delle sue parole al riguardo.
Probabilmente i suoi piccoli dubbi dipendevano da altro, ma cercava di non pensarci. Per quanto possibile. Era come se nell’intimo di Anna ci fosse una stanza a cui lui non aveva accesso. Se l’era ripetuto in diverse occasioni. Una stanza privata. A volte gli sembrava di non conoscerla per nulla, e ne rimaneva stupito.
Forse accadeva a tutte le donne? A tutti gli esseri umani? Non si poteva scrivere tutto in corsivo, e non era neppure sua intenzione farlo. Forse era proprio quella la sfida? Non era mai sicuro di cosa pensasse Anna; diceva di avere fede, ad esempio, ma ne parlavano raramente. Solo in casi eccezionali era riuscito a convincerla a seguirlo in qualche celebrazione religiosa. Non pregavano mai insieme, e durante il loro primo anno di matrimonio erano andati a messa insieme non più di tre o quattro volte. E in una di queste occasioni, nella chiesa di Dalby, aveva celebrato lui. Alla fine Rickard aveva smesso di chiederle se voleva accompagnarlo.
Sicuramente avrebbe voluto avere uno scambio di opinioni con sua moglie sulle questioni di fede, certo non così a fondo come faceva con il quartetto di amici da Ofvandahl. O forse lui era troppo sensibile; non parlavano solo del più e del meno, ma spesso lei interrompeva quelle discussioni proprio quando diventavano più profonde, pensava Rickard. Di rado capiva perché, e non riusciva a intuire in anticipo quando stavano per raggiungere quel limite. Il silenzio che poi scendeva tra loro lo disturbava. Era come se lei ogni volta riportasse una piccola vittoria, semplicemente rimanendo in silenzio. Lasciandolo fuori dalla sua stanza privata.
Forse in tutto questo c’era qualcosa di inquietante. Ma finché fossero rimasti a Uppsala non doveva preoccuparsi. A gennaio sarebbe iniziata una nuova fase, lo sapevano entrambi, e allora tutto sarebbe cambiato.
Fino a quel momento erano stati giovani, pensava. A Kymlinge, con la parrocchia e la canonica, sarebbero diventati adulti.
Le fasi della vita.
I rapporti con Tomas e Gunilla si erano più o meno interrotti nel corso dell’anno. Specialmente da quando si erano trasferiti a Göteborg, ma ogni tanto si chiedeva da cosa dipendesse. Non sapeva trovare una risposta, e non ne discuteva mai sul serio con Anna. Forse l’incidente di Timişoara aleggiava ancora su di loro. O forse era per la fine dell’agenzia di viaggi. La Kvalitetsresor AB era stata un’idea di Tomas, e i risultati dicevano che non era stato certo un bell’affare. Era difficile dire quanti soldi avessero perso Rickard e Anna, ma da quando lui aveva ricevuto l’eredità della madre non ci pensava più. Entrambi avrebbero dovuto iniziare a restituire il sussidio studentesco, ma era così per tutti. Da gennaio avrebbero avuto un impiego fisso, una canonica, e parlavano già di procurarsi un’auto migliore. La Volvo funzionava come un orologio, da quando l’avevano acquistata da un insegnante in pensione di Morgongåva, ma forse il futuro impiego di Rickard richiedeva qualcosa di più moderno. Anche se si ricordava di un anziano prete di Hova-Gullspång con una Volvo PV, e quella macchina gli piaceva.
Di Maria e Germund non sapevano quasi più nulla. Rickard presumeva che Maria si trovasse ancora in Spagna; in agosto, prima che si trasferissero, Tomas gli aveva raccontato al telefono che in autunno la sorella avrebbe trascorso qualche mese nella casa dei genitori. Aveva anche aggiunto che secondo lui non stava bene. La spiegazione era ovvia. Né Tomas né Rickard però sapevano di cosa si stesse occupando Germund – probabilmente fisica teorica. Rickard lo aveva intravisto un paio di volte in autunno. In un’occasione era in compagnia di un’altra donna; erano seduti un paio di file davanti a lui al cinema Fyris e sembrava che si conoscessero bene.
Be’, aveva pensato Rickard, non è affar mio. La cosa strana era che quando lo aveva accennato ad Anna, lei si era innervosita e aveva detto che invece avrebbero dovuto preoccuparsi, che avrebbero dovuto contattare Maria in Spagna. Rickard aveva chiesto se per caso sapesse se stavano ancora insieme, ma Anna si era limitata a sbuffare.
In ogni caso non avevano contattato né Maria né Germund, e ancora una volta Rickard ebbe la conferma che c’erano lati di sua moglie che non sapeva interpretare. Anche se, d’altronde, cosa lasciava pensare che Anna ne capisse più di lui?
Stavano insieme da quattro anni. Fra quattro anni avremo quattro figli, pensò all’improvviso, sorridendo tra sé, e allora dimenticheremo questo periodo.
Be’, quattro bambini in altrettanti anni, forse era un tantino esagerato, ma due poteva metterli in conto, no?
Due bambini che sarebbero cresciuti in una canonica di campagna. Era una bella immagine del futuro, a cui ripensava mentre era a letto sveglio senza riuscire a dormire.
La parrocchia di Rödåkra-Hemleby. Gli piaceva quel nome. Magari rimarrò lì per tutta la vita, pensava.
E presto saremo là. Fra un mese soltanto.
Ricordava la lieve eccitazione che aveva avvertito i primi giorni del loro viaggio nei paesi dell’Est, ma l’aspettativa che provava ora, in quei tranquilli giorni tra Natale e Capodanno, era del tutto diversa.
Il grande progetto. Era giunta l’ora.