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Fu come il disgelo.

Un lento e riluttante disgelo, un po’ come accadeva sulle stradine della casa nel Värmland. Avanti e indietro, a volte durante la notte il gelo tornava, e al mattino, quando ci si svegliava, faceva più freddo di quando si era andati a dormire. Ma pian piano procedeva, il processo era inesorabile come il succedersi delle stagioni, dopo l’inverno arriva la primavera.

Ne parlò così a Tomas e gli disse anche di essere dispiaciuta per lui. Gli chiese scusa. Pure lui aveva perso due figli, ma era stata lei ad addossarsi tutto il dolore. A sentirsi in diritto di portare il lutto e di sprofondare nella disperazione. Le rispose che non doveva preoccuparsi, il disgelo andava nella direzione giusta, non c’era nessuna fretta. Lei era una donna, lui un uomo, e l’amore platonico non aveva alcun senso. Non funzionava così in un rapporto.

Lei aveva i suoi punti di vista in proposito, sulla differenza tra uomini e donne, ma non disse nulla. Era sufficiente che il gelo dentro di lei si sciogliesse, che la vita riprendesse, che lei potesse ridere e interessarsi a cose nuove. Scoprire il mondo sconosciuto e brulicante che li circondava in quel viaggio. Vedere come le persone vivevano in luoghi di cui non aveva mai sentito parlare, e come tiravano avanti anche se la vita non era altro che fatica. Sembrava così ovunque. Non aveva mai creduto nel socialismo, o nel comunismo, qualunque differenza ci fosse, e quando lo vide con i propri occhi, non trovò nulla che potesse modificare la sua opinione. Nei paesi dell’Est che stavano attraversando regnavano il grigiore e la desolazione, soprattutto nelle periferie e nei tristi quartieri residenziali, che del resto non visitarono mai, limitandosi ad attraversarli rapidamente. Pensò che forse quei viaggi in pullman avrebbero fatto cambiare idea a qualcuno. Forse era anche lo scopo di Tomas, ammesso che avesse altri obiettivi oltre a quello di guadagnare un po’ di soldi con l’agenzia di viaggi. Difficile dirlo, e forse neppure lui lo sapeva. Non glielo chiese, avevano già abbastanza cose da sistemare tra loro, dopo quello che era successo a ottobre. A Praga, una notte, fecero l’amore per la prima volta dopo sei mesi. Be’, ne era passato di tempo da quei goffi tentativi di gennaio e febbraio, che a stento potevano essere definiti rapporti sessuali.

Capitò all’aperto, in un parco; un’avventura piuttosto audace, al riparo di un cespuglio. Avevano lasciato gli altri sul pullman in campeggio e avevano fatto una lunga passeggiata in città. Sul ponte Carlo e nella città alta, intorno al borgo e alla cattedrale. L’aria era calda, presero un panino con i würstel e una birra cecoslovacca in un bar ancora aperto, malgrado fosse mezzanotte e mezzo. Gunilla pensò che anche la più profonda terra gelata del Värmland prima o poi avrebbe ceduto. Se si decide di continuare a vivere, allora anche la vita ritorna.

Presero un taxi per tornare in campeggio. Lo trovarono subito e non costò quasi niente. Quando in silenzio si infilarono al loro posto sul pullman, Tomas si avvicinò di nuovo a lei.



Trascorsero tre giorni a Praga, poi altrettanti in Ungheria, in posti diversi intorno al lago Balaton. Dopodiché tornarono indietro, attraversarono la Cecoslovacchia e l’Austria. Il pullman non perse un colpo. In un negozio di alcolici a Wiener Neustadt, Germund fece un buon affare: comprò tre bottiglie di Stroh Rom a ottanta gradi a prezzo stracciato – tutti erano d’accordo sul fatto che fosse sbalorditivo – e da quella sera presero l’abitudine di bere un punch intorno al fuoco del campeggio. Era forte, dolce e buono, e ne bastava una tazza per sentirsi leggermente ubriachi. Perlomeno Gunilla e Anna, e senza dubbio giocò una parte importante nel disgelo.

Nella mattinata del 4 agosto passarono il confine della Iugoslavia vicino a Graz, raggiunsero la città di Osijek verso le sette di sera e decisero di rimanerci due notti. Il giorno dopo era il compleanno di Tomas; per l’occasione lui desiderava soltanto qualcosa di buono, preferibilmente alla griglia, e birra in abbondanza: nessuno ebbe nulla da obiettare.

Macedonia con panna e Stroh Rom come dessert. Niente torta, troppo borghese.



Al mattino andarono tutti insieme a Osijek a fare provviste. Riuscirono a parcheggiare il pullman in una via accanto alla vecchia torre della città, si divisero in due gruppi. Maria, Germund e Tomas in uno, Gunilla, Anna e Rickard nell’altro. Quando il gruppo di Gunilla tornò al pullman con gli acquisti, gli altri non si vedevano ancora, così lei decise di concedersi una breve passeggiata da sola. Lasciò Rickard e Anna al tavolino di un bar e iniziò a esplorare gli antichi vicoli in rovina del cuore cittadino. Pochi minuti dopo giunse in una piazzetta con una chiesa. Il portone era aperto.

Esitò un paio di secondi prima di decidersi a entrare. Di solito non visitava le chiese, ma venne attratta dal sole che penetrava dalle vecchie tegole del tetto e proiettava i suoi raggi attraverso il portone scuro. Sembrava quasi che volesse indicarle la strada. Pensò che era davvero eccezionale entrare nella chiesa di un paese dove la dottrina di Stato proclamava che tutte le religioni erano nefaste e che sarebbero state soppresse.

Eppure non era così. I luoghi di culto sopravvivevano, ed evidentemente anche la fede. Forse era solo questione di tempo, anche se non riusciva a immaginarsi un mondo senza fede e senza chiese. O almeno mezzo mondo, se la frattura tra Est e Ovest fosse durata in eterno.

Una decina di persone erano sedute in ordine sparso sulle panche, dall’abside proveniva una semplice musica d’organo e sull’altare si muoveva un prete con una tonaca nera. La navata non era grande ed era piuttosto spoglia. Forse era un compromesso socialista, pensò Gunilla. Si poteva continuare, a patto di non dare troppo nell’occhio. Niente fronzoli, quindi.

Rimase a lungo, esitante, in fondo alla chiesa. Osservò il cono di luce che filtrava dalla finestra e il buio intorno. La polvere che volteggiava nel fascio di luce. Qualcosa, di quella semplice immagine, la trattenne. Che ci fanno qui queste persone? pensò. Perché sono venute qui stamattina? Erano sia uomini che donne, la maggior parte anziani. Erano seduti lontani gli uni dagli altri, e qualcuno sembrava immerso nella preghiera. Si rese conto di invidiarli, ma era un’invidia strana, che non riusciva a spiegare neppure a se stessa. Come se – pur vivendo in una situazione molto peggiore della sua – sapessero qualcosa della vita che lei ancora ignorava. Almeno così suppose. Le due donne sedute nella panca davanti a lei avevano un aspetto logoro e misero, e all’improvviso pensò che avrebbe voluto parlare con quella gente. Sedersi in mezzo a loro e fargli qualche domanda. Se solo avessero parlato la stessa lingua. Come vivevano? Avevano figli? Cosa li tormentava, e perché erano lì a pregare? Cos’avevano provato nella Seconda guerra mondiale? Avevano perso i genitori e i fratelli? Per chi pregavano? E credevano davvero che qualcuno ascoltasse le loro preghiere?

Si rese conto di quanto fossero ingenue le sue domande – e spudorate. All’improvviso si sentì un’intrusa. Chi era lei per andare lì a fare domande? Una straniera curiosa, senza Dio e senza fede; due figli nati morti, eppure senza Dio. Non era strano? O forse era vero il contrario? Se si perdono due figli, si perde anche Dio?

A patto che avesse mai creduto in Lui. Decise di uscire alla luce del sole, notò che la malinconia stava per sopraffarla ma, proprio mentre stava per andarsene, il suo sguardo cadde su un uomo alto, seduto a capo chino. Ne vedeva solo le spalle, ma qualcosa nel suo atteggiamento le fece capire che era decisamente più giovane degli altri fedeli. Quando per un breve istante si voltò per osservare il prete sull’altare, si rese conto che era Germund.



Non ne parlò con nessuno. Né con Germund né con gli altri. Forse aveva pensato di accennarlo a Tomas, ma qualcosa di quell’immagine nella navata della chiesa la trattenne. L’atmosfera e la tranquillità, la luce e il buio, le schiene ricurve. I suoi stessi pensieri.

Ovviamente non era niente di particolare. Germund era entrato in chiesa e si era seduto su una panca – forse solo per stare in pace un momento o per rinfrescarsi. Faceva già caldo, anche se erano solo le undici del mattino. No, non sarebbe riuscita a spiegare perché aveva trovato quell’immagine così speciale. Perché quel breve attimo aveva lasciato un segno così forte dentro di lei. Parlarne – soprattutto con Germund – avrebbe rovinato tutto. Forse è proprio così, quando parliamo di certe cose, vanno in frantumi. Si trasformano, si sporcano.

Diventano qualcos’altro.

Se vogliamo conservarle, dobbiamo tenerle dentro di noi.

Anche gli altri hanno di questi pensieri? si chiese quella sera mentre erano seduti intorno al fuoco in attesa che il maialino da latte che erano riusciti a trovare fosse ben cotto. Sono solo io a essere tanto fragile, sensibile e spaventata dalla vita? Spaventata per la vita? Anche se il disgelo era iniziato, si sentiva diversa. Dagli altri. Da Tomas. Una distanza incolmabile, forse anche perché non dipendeva dalla sua volontà.

Gli esseri umani sono soli, pensò. Persino durante una festa di compleanno, intorno a un maialino da latte, con una tazza di punch in mano e in compagnia degli amici, ci si sente soli.

L'uomo che odiava i martedì
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