43

La porta venne richiusa. Cadde subito un silenzio inquietante. Per diversi secondi nessuno mosse un dito o osò fiatare. Rickard ebbe l’impressione che nessuno respirasse. In ogni caso lui non lo fece. Ciò che aveva detto il capo si insinuò in lui lentamente. Era qualcosa di inconcepibile.

One woman with me.

Una di loro – Gunilla o Maria o Anna – avrebbe dovuto seguire i quattro uomini. Passare un’ora con loro. Non ci voleva molta fantasia per immaginare cosa avrebbero fatto.

Quattro uomini. Rickard capì perché nessuno aveva detto niente. Ognuno di loro sapeva esattamente di cosa si trattava. Non c’era spazio per le interpretazioni.

Se non avessero avuto una ragazza, avrebbero usato i kalashnikov.

Più chiaro di così.



La prima a parlare fu Maria.

«Perché non dici niente, fratellone?» disse. «Hai perso il controllo, adesso?»

Tomas non rispose. Invece si alzò e prese a camminare per la stanza.

«Cosa possiamo fare?» sussurrò Gunilla. «Non penserete davvero che...?»

«No» disse Anna. «Dovremmo...»

Nessuno seppe completare la frase. Rickard osservò gli altri. Germund rimase seduto fissandosi i piedi. Maria era immobile, gli occhi chiusi. Forse non li aveva aperti nemmeno quando si era rivolta a suo fratello, ma non ne era sicuro. Guardò l’orologio. Era passato un minuto.

Ne rimanevano quattordici. Se Tomas non dice subito qualcosa, devo assumermi la responsabilità della situazione, pensò Rickard. Quel pensiero lo sorprese, il panico era in agguato dentro di lui, eppure sapeva che non potevano rimanere lì paralizzati lasciando scorrere i minuti.

Come bestie. Anche quello era un pensiero sorprendente.

Perché non dico una preghiera? si chiese. Ma qualcosa lo trattenne.

«Dobbiamo fare qualcosa» disse.

«Fare?» rispose Maria. Senza aprire gli occhi, questa volta ne era sicuro. «E cosa proponi di fare?»

Tomas tornò a sedersi. Come se avesse trovato una soluzione, immaginò Rickard.

«Se non prendiamo una decisione, sarà peggio» disse Tomas.

«Cosa intendi dire?» ribatté Gunilla.

«Intendo dire che forse non ci conviene opporci alla loro richiesta.»

«Adesso stai proprio esagerando» lo aggredì Maria.

«Quindi stai dicendo che devono prendere una di noi?» esclamò Anna. «Intendi dire che dobbiamo sacrificare Gunilla, Maria o me?»

La sua voce si spezzò. Anna si alzò e si allontanò di qualche passo, dando la schiena agli altri. Rickard esitò, poi la raggiunse e le appoggiò delicatamente una mano sulla spalla. Lei si voltò e lo fissò.

«Vai all’inferno» sibilò a denti stretti. «Vai all’inferno, Rickard.»

Aveva capito bene? Lanciò un’occhiata gli altri. No, nessuno sembrava aver capito.

Gunilla piangeva. Era seduta china in avanti con le braccia sulla testa ed era scossa dai singhiozzi. Per qualche secondo non successe niente. Rickard ritrasse la mano dalla spalla di Anna e guardò l’orologio.

Rimanevano dodici minuti.

«Dobbiamo cercare di stare uniti» propose Tomas. «Non serve a nulla arrabbiarci tra di noi.»

«Bene» dichiarò Maria. «Rimaniamo uniti. Resistiamo.»

«Non lo so» disse Tomas. «Non sono sicuro che sia la soluzione migliore. Cosa ne pensate?»

«Penso...» abbozzò Rickard, ma si accorse di non sapere più cosa pensare. O forse sì, ma preferiva non dire nulla.

«Tu cosa pensi?» chiese Anna rivolgendosi a Tomas. «Sarebbe interessante. Pensi che dovremmo cedere alle loro richieste?»

«Non ho detto questo» ribatté Tomas. «Ho detto che potrebbe essere un errore opporci e basta.»

«Opporci e basta?» disse Maria. «E che cazzo significa?»

«Intendo dire che dobbiamo discuterne» spiegò Tomas. «Dobbiamo dire tutti cosa ne pensiamo prima che quelli tornino. È una situazione orribile, e nessuno di noi ne ha colpa. Siamo vittime di qualcosa che non possiamo controllare. Dobbiamo cercare di farci coraggio.»

«Okay» disse Maria. «Facciamoci coraggio. Ovviamente tutte noi ragazze del gruppo ci facciamo coraggio. Gunilla, Anna e io. Fra poco una di noi verrà violentata per un’ora da quattro soldati. Certo che ci facciamo coraggio, cazzo, ci mancherebbe altro.»

Gunilla lanciò un urlo e si gettò a terra sul pavimento. Tomas fece un goffo tentativo di rialzarla, poi la lasciò lì.

«Guarda come si fa coraggio Gunilla, e come sta bene» constatò Maria. «Sicuramente sarà brava e tranquilla anche dopo.»

«Chiudi il becco, Maria!» inveì Tomas. Rickard vide come stringeva i pugni e che una vena della tempia gli pulsava. Sapeva che avrebbe dovuto dire o fare qualcosa, ma quello che Anna gli aveva detto a denti stretti lo aveva ammutolito. Lo aveva mandato all’inferno. Non sapeva perché; e non voleva neanche saperlo. Forse dentro di sé intuiva che aveva ragione, che avrebbe dovuto proteggerla in qualche modo, ma cosa poteva fare? Poi, pensò, quando tutto questo sarà passato ne parleremo. Lo aveva accusato, lo aveva fatto sentire in colpa ingiustamente... naturalmente Anna non aveva mandato lui all’inferno, lui era una specie di proiezione, molto semplice... sì, quando l’incubo sarebbe passato, avrebbero chiarito ogni cosa.

Ma lì, in quella stanza orrenda, mentre i secondi e i minuti scorrevano inesorabili, Rickard non sapeva cosa dire.

Era seduto su una panca, la testa appoggiata pesantemente tra le mani. Tomas e Anna erano in piedi. Gunilla era distesa sul pavimento sporco e si dondolava avanti e indietro, mentre Maria e Germund erano rimasti seduti nella stessa posizione per tutto il tempo.

«Suppongo non ci siano volontarie» disse Tomas e fu allora che Maria si alzò e gli sputò addosso.



Dopodiché Rickard non seppe più dire con sicurezza come venne l’idea, ma dovette essere una specie di accordo collettivo. Forse non c’era altra via d’uscita. Forse tutti si resero conto che in quel modo avrebbero conservato una sorta di dignità. La decisione venne affidata al caso.

Solidarietà? pensò Rickard.

Secondo il suo orologio restavano meno di tre minuti quando effettuarono il sorteggio.

Tre fiammiferi, uno dei quali spezzato. Tomas li teneva nascosti nella mano sinistra tra il pollice e l’indice e le ragazze a turno tirarono a sorte.

Per prima Anna.

Il fiammifero intero. Rickard notò che faceva fatica a trattenere il sollievo. E anche lui. Se fosse toccato a lei, pensò... se fosse toccato a lei, allora avrei...

Soffocò quel pensiero. Era troppo.

Maria estrasse il suo fiammifero. Lo nascose nella mano senza controllare se fosse quello intero o quello spezzato, e mentre osservava gli altri con uno sguardo che ricordava quello di un gatto, Tomas scoppiò a piangere.

Solo tre singhiozzi brevi e sonori, poi si ricompose.

Sua sorella o sua moglie, pensò Rickard. Una di loro. Passò qualche secondo. Cadde il silenzio.

Maria mostrò il suo fiammifero. Era intero.

Gunilla urlò.

Non sembrò un urlo umano, pensò Rickard.



Quando tornarono erano in tre. Il più giovane era rimasto fuori a fare la guardia. Non si preoccuparono di chiudere la porta a chiave, la accostarono solamente. Il capo avanzò di qualche passo e si fermò sotto la lampadina.

Fece scorrere lo sguardo sul gruppo dei prigionieri. Erano seduti in fila ordinata sulle panche. Lui si accese una sigaretta e tirò una boccata di fumo.

«One woman now

Trascorse qualche secondo di silenzio. Poi Gunilla si alzò. Si liberò da Tomas e fece due passi avanti verso il capo.

Dopodiché le si piegarono le gambe. Si accasciò e rimase a terra a un metro da lui. Non proferì parola. Il capo fece un cenno agli uomini vicino alla porta. Uno di loro lasciò il suo posto e andò da Gunilla. La afferrò per un braccio e iniziò a trascinarla sul pavimento. Si udì solamente il fruscio dei suoi abiti sul cemento.

«Stop it!»

Germund si era alzato. Il soldato lasciò andare il braccio di Gunilla. Il capo alzò la sua arma. Germund gli si avvicinò lentamente mentre teneva le braccia distese lungo il corpo. Cosa diavolo fa? pensò Rickard.

«Stay or I shoot!»

Germund non si fermò e si mise a correre verso il capo. Nello stesso istante partì una raffica.

Tat-tat-tat.

Tre colpi, non di più. Era stato uno degli uomini vicino alla porta a sparare. Germund cadde a terra tenendosi la spalla. La sua T-shirt bianca si tinse immediatamente di rosso.

Tutto accadde con rapidità fulminea, surreale, pensò Rickard. Provò una sensazione soffocante. Non più di dieci o quindici secondi, eppure pensò – mentre assisteva alla scena e immediatamente dopo – che dovevano essere passati diversi minuti.

Gli ordini del capo. Gunilla che va verso di lui e poi cade. Il soldato che la trascina e il grido di Germund. Il suo intervento.

Gli avvertimenti del capo, i colpi e Germund che cade a terra. Tat-tat-tat.



E mentre Germund è ancora in ginocchio e si tiene la spalla sanguinante – Gunilla è rannicchiata sul pavimento a un metro da lui e il rumore degli spari riecheggia ancora nella stanza – Maria si alza.

«Okay» dice. «I’m the one

E se ne va insieme ai tre uomini.

Chiudono la porta a chiave e torna il silenzio. Un silenzio diverso, però. Rickard gli trova subito un nome.

Vergogna.

L'uomo che odiava i martedì
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