LXXXII
Dinanzi a me c’è il dolore e alle mie spalle la gioia.
SHAKESPEARE, Sonetti
È noto che gli esiliati si nutrono molto di speranze e non rimangono in esilio a meno che non vi siano costretti. Quando Will Ladislaw aveva lasciato Middlemarch non aveva posto alcun grosso ostacolo al suo ritorno, se non quello rappresentato dalla propria risoluzione la quale, d’altronde, non era affatto una barriera di ferro, ma semplicemente uno stato d’animo soggetto a confondersi in una sorta di minuetto con altri stati d’animo, e a trovarsi un giorno a fare un inchino, a sorridere e a cedere il passo con cortese facilità. Man mano che i mesi passavano, gli era parso sempre più difficile spiegare perché non avrebbe dovuto fare un salto a Middlemarch – semplicemente per ricevere notizie di Dorothea; e se durante una visita così frettolosa gli fosse capitato, per qualche strana coincidenza, di incontrarla, non c’era alcun motivo di vergognarsi di un viaggio innocente che dapprima aveva pensato di non fare. Visto che era separato da lei senza speranza, avrebbe potuto sicuramente avventurarsi nelle vicinanze di casa sua; e quanto agli amici sospettosi che la sorvegliavano come dei dragoni – le loro opinioni parevano sempre meno importanti col passar del tempo e con il cambiamento d’aria.
D’altronde era subentrato un motivo che non riguardava affatto Dorothea, ma rendeva un viaggio a Middlemarch simile a un dovere filantropico. Will aveva preso in considerazione, senza grande interesse, il progetto di stabilirsi nel Far West sulla base di un programma nuovo; e il bisogno di fondi per attuare un buon progetto lo aveva spinto a chiedersi se non sarebbe stato lodevole, da parte sua, usare i suoi diritti su Bulstrode costringendolo a impiegare il denaro che gli aveva offerto per attuare un piano che si sarebbe certamente rivelato di grande utilità. Tuttavia Will aveva molti dubbi, e la sua avversione a riprendere i contatti con il banchiere avrebbe potuto fargli accantonare rapidamente quell’idea se egli non avesse pensato che una visita a Middlemarch avrebbe potuto rendere più ferma la sua decisione.
Erano queste le ragioni che avevano spinto Will a intraprendere quel viaggio. Egli si proponeva di confidarsi con Lydgate e di discutere con lui la questione del denaro, e contava di distrarsi, durante le poche serate del suo soggiorno, facendo tanta musica e scherzando con la bella Rosamond, senza tuttavia trascurare i suoi amici del presbiterio di Lowick: se il presbiterio era vicino alla dimora padronale, non era certo colpa sua. Prima della sua partenza egli aveva trascurato i Farebrother, opponendosi con fierezza alla possibile accusa di cercare indirettamente di incontrare Dorothea; ma la fame riesce a domarci, e Will era molto affamato della vista di una certa figura e del suono di una certa voce. Nulla era riuscito a prendere il loro posto – né l’opera, né i discorsi di zelanti uomini politici, né la lusinghiera accoglienza riservata (in qualche angolo oscuro) al nuovo stile da lui adottato negli articoli di fondo.
Così era arrivato, sicuro di ritrovare come un tempo il suo piccolo mondo familiare e temendo, in verità, che la sua visita non gli avrebbe riservato alcuna sorpresa. Ma aveva ritrovato quel piccolo mondo sonnolento in una condizione terribilmente dinamica in cui perfino gli scherzi e l’entusiasmo lirico erano diventati esplosivi; e il primo giorno di quella visita si era rivelato il più fatale della sua vita. La mattina seguente egli si sentì così oppresso dall’incubo delle conseguenze – temeva molto le conclusioni immediate che lo attendevano – che vedendo arrivare la diligenza per Riverston, mentre faceva colazione, si precipitò fuori e vi prese posto in modo da liberarsi, almeno per un giorno, dall’obbligo di parlare o di fare qualsiasi cosa a Middlemarch. Will Ladislaw si trovava in una di quelle situazioni complicate che sono più comuni, nella nostra esperienza, di quanto si potrebbe credere a giudicare dalle affermazioni assolute e superficiali degli uomini. Egli aveva trovato Lydgate, per il quale nutriva la stima più profonda, in circostanze che richiedevano da parte sua una completa e sincera comprensione; ma il motivo stesso per cui, nonostante questo dovere, sarebbe stato meglio per Will evitare ogni ulteriore intimità o perfino incontro con Lydgate, rendeva impraticabile una simile linea di condotta. Per una creatura dal temperamento sensibile come quello di Will – priva di una indifferenza passiva e pronta a trasformare tutto ciò che gli accadeva in conflitti drammatici e violenti – la rivelazione che in qualche modo la felicità di Rosamond dipendesse da lui rappresentava una difficoltà che il suo scoppio d’ira nei confronti di lei aveva accresciuto immensamente. Egli detestava la propria crudeltà, e tuttavia temeva di mostrare fino in fondo il suo pentimento: doveva rivederla; la loro amicizia non poteva finire così bruscamente; ma l’infelicità di Rosamond era una forza di cui egli aveva paura. Nel frattempo non riusciva più a intravedere alcuna gioia nella sua vita futura, come se gli avessero mozzato gli arti e fosse costretto a muovere i primi passi con l’aiuto delle stampelle. Durante la notte si era chiesto se non avesse dovuto prendere la diligenza, non per Riverston ma per Londra, lasciando a Lydgate un biglietto per spiegargli in un modo qualsiasi la sua partenza. Ma alcuni legami possenti gli impedivano di ripartire così all’improvviso: l’ombra che incombeva sulla sua felicità al pensiero di Dorothea, il crollo di quella speranza suprema che permaneva nonostante l’evidente necessità di rinunciarvi, rappresentavano una sofferenza troppo recente perché egli vi si rassegnasse e decidesse subito di allontanarsi, scegliendo così la strada della disperazione.
Quindi non fece nulla di più decisivo che prendere la diligenza per Riverston. Ritornò con essa mentre era ancora giorno, deciso a recarsi a casa di Lydgate quella sera stessa. Il Rubicone, come ben sappiamo, era un fiume assai insignificante a vedersi; la sua importanza risiedeva tutta in certe condizioni invisibili. Will si sentiva costretto ad attraversare il suo piccolo fossato di confine, e ciò che vedeva al di là non era un impero bensì una sottomissione spiacevole.
Tuttavia talvolta ci è concesso, perfino nella nostra vita quotidiana, di riconoscere l’influenza liberatrice di una natura nobile, l’efficacia divina dell’aiuto che può arrecare un gesto spontaneo di solidarietà. Se Dorothea, dopo la sua notte d’angoscia, non si fosse recata da Rosamond – be’, forse sarebbe stata considerata una donna più discreta, ma certamente le cose sarebbero andate in maniera differente per quelle tre persone che erano riunite intorno al focolare di Lydgate alle sette e mezzo di quella sera.
Rosamond, che era stata avvertita della visita di Will, lo accolse con una sorta di languida freddezza che Lydgate attribuì alla sua depressione nervosa, senza immaginarsi che essa avesse il minimo rapporto con Will. E quando lei si sedette in silenzio, china sul suo lavoro, egli la scusò ingenuamente in maniera indiretta pregandola di appoggiarsi alla spalliera e di riposarsi. A Will rincresceva molto doversi comportare come se incontrasse e salutasse Rosamond per la prima volta, mentre cercava di immaginarsi ciò che lei provava dopo quell’episodio del giorno precedente che pareva ancora avvolgerli entrambi inesorabilmente, come la dolorosa visione di una doppia follia. Non accadde nulla che richiamasse Lydgate fuori dalla stanza; ma quando Rosamond servì il tè, e Will si avvicinò per prendere la sua tazza, lei mise un pezzettino di carta piegata nel suo piattino. Egli lo vide e lo nascose prontamente; ma, tornato alla locanda, non provò alcuna voglia di aprirlo. Quel che Rosamond gli aveva scritto probabilmente avrebbe reso più dolorose le impressioni della serata. Tuttavia lo aprì e lo lesse alla luce della candela che era vicino al letto. Esso conteneva soltanto queste poche parole scritte con la sua calligrafia armoniosa e ordinata:
Ho parlato a Mrs Casaubon. Non si è fatta alcuna idea errata sul vostro conto. Le ho parlato perché è venuta a trovarmi ed è stata molto buona. Adesso non avrete nulla da rimproverarmi. Non ho cambiato nulla per voi.
L’effetto prodotto da queste parole non fu una gioia assoluta. Mentre Will si soffermava su di esse con l’immaginazione eccitata, si sentì bruciare le guance e le orecchie al pensiero di ciò che era avvenuto tra Dorothea e Rosamond, chiedendosi, nella sua incertezza, fino a che punto Dorothea avrebbe potuto sentirsi offesa nella propria dignità ricevendo una spiegazione del suo comportamento. Forse nella sua mente sarebbe sempre rimasto un ricordo alterato di lui che cambiava irrimediabilmente qualcosa nei loro rapporti – una macchia indelebile. Nel tumulto dei suoi pensieri, egli sprofondò in uno stato di incertezza doloroso quasi quanto quello di un uomo che è sfuggito di notte a un naufragio e si ritrova immerso nelle tenebre su una terra sconosciuta. Fino a quel giorno funesto – tranne un momento di disagio provato, molto tempo fa, in quella stessa stanza e alla presenza della stessa persona – tutti i loro sogni, tutti i loro pensieri reciproci erano rimasti in un mondo separato dove i raggi del sole cadevano su degli alti gigli bianchi, dove non si celava alcun male e non penetrava nessun’altra anima. Ma adesso – Dorothea avrebbe ancora voluto incontrarlo in quel mondo?