XXIX

Scoprii che l’ingegno altrui non riusciva più a procurarmi piacere. I miei infelici paradossi avevano completamente esaurito quella fonte di conforto.

GOLDSMITH

Una mattina, alcune settimane dopo il suo arrivo a Lowick, Dorothea – ma perché sempre Dorothea? Il suo punto di vista è forse l’unico possibile nei riguardi di questo matrimonio? Protesto contro il malvezzo di rivolgere tutto il nostro interesse, tutta la nostra comprensione alle giovani creature che conservano un aspetto fiorente malgrado le loro pene; perché anch’esse avvizziranno e conosceranno le afflizioni più struggenti dell’età matura che noi stiamo incoraggiando a trascurare. Malgrado la sua abitudine di battere le ciglia, quei nei bianchi che Celia detestava e la mancanza di rotondità muscolari che per Sir James era davvero penosa, Mr Casaubon aveva una profonda sensibilità e una sete spirituale pari a quella di tutti noi. Sposandosi, non aveva fatto nulla di eccezionale – soltanto ciò che la società approva e considera come un’occasione adatta per ghirlande e mazzi di fiori. Aveva scoperto che non gli conveniva più rimandare le sue intenzioni matrimoniali e aveva pensato che, nel prendere moglie, un uomo di buona posizione doveva desiderare e scegliere con cura una donna giovane e fiorente – più era giovane e meglio era, perché sarebbe stata più plasmabile e remissiva – di rango pari al suo, dotata di principi religiosi, di un’indole virtuosa e di una buona intelligenza. A una giovane donna di tal genere egli avrebbe assicurato una buona sistemazione, senza trascurare alcuna premura per la sua felicità: in cambio avrebbe ricevuto le gioie della famiglia e avrebbe lasciato ai posteri quella copia di se stesso che sembrava fosse richiesta così pressantemente a un uomo – secondo i sonettisti del Cinquecento. I tempi erano mutati, e nessun sonettista aveva insistito perché Mr Casaubon lasciasse una copia di sé; d’altronde egli non era ancora riuscito a terminare le copie della sua “Chiave delle Mitologie”; ma aveva sempre avuto l’intenzione di adempiere al suo compito con il matrimonio, e la sensazione del rapido fluire degli anni, dell’oscuramento del mondo e della propria solitudine costituiva per lui un motivo sufficiente per non perdere più tempo nel procurarsi i piaceri domestici prima che anch’essi gli venissero sottratti dal fluire degli anni.

E quando incontrò Dorothea credette d’avere trovato anche di più di quanto si aspettasse: lei avrebbe potuto davvero aiutarlo in modo da evitargli di dovere assumere un segretario, un tipo di persona di cui Mr Casaubon non si era mai servito e che gli ispirava una sorta di terrore misto a diffidenza. (Mr Casaubon si rendeva conto con irritazione che ci si aspettava che lui mostrasse un’intelligenza poderosa.) La Provvidenza, nella sua bontà, gli aveva donato la moglie di cui aveva bisogno. Una moglie, una fanciulla modesta che possedeva le qualità tipiche del suo sesso, ed era quindi priva di ambizione e capace di apprezzare i meriti altrui, non avrebbe mancato di considerare poderosa l’intelligenza di suo marito. Se la Provvidenza si era preoccupata in egual misura di Miss Brooke, offrendole in dono Mr Casaubon, era un’idea che difficilmente poteva sfiorargli la mente. La società non ha mai avuto l’assurdità di pretendere che un uomo debba preoccuparsi dei suoi requisiti adatti a procurare la felicità di una ragazza incantevole nella stessa misura in cui si preoccupa di quelli che, in lei, sono adatti a procurare la propria felicità. Come se un uomo potesse scegliere non solo la propria moglie, ma anche il marito di sua moglie! O come se fosse tenuto a munire di pregi la sua stessa persona per trasmetterli alla posterità! – Quando Dorothea l’accettò con entusiasmo, la cosa gli parve del tutto naturale; e Mr Casaubon credette che la sua felicità stesse per cominciare.

In passato non aveva mai avuto modo di pregustare la felicità. Per provare una gioia intensa, quando si è privi di una costituzione robusta, bisogna possedere un animo entusiastico. Mr Casaubon non aveva mai avuto una costituzione robusta e il suo animo era sensibile senza essere entusiastico: esso era troppo languido per scuotersi dal torpore e passare a un piacere ardente; continuava a svolazzare nel terreno paludoso in cui si era dischiuso, preoccupandosi delle proprie ali ma senza mai librarsi in volo. Il suo carattere apparteneva a quel genere pietoso che rifugge da ogni pietà e teme più di ogni altra cosa che lo si possa conoscere: una sorta di sensibilità orgogliosa e limitata che non è abbastanza ampia da trasformarsi in comprensione, e vibra come un filo nelle piccole correnti fatte di preoccupazioni personali o, nel migliore dei casi, di un egoismo scrupoloso. E Mr Casaubon aveva numerosi scrupoli: capace di imporsi un severo autocontrollo, risoluto a rimanere un uomo d’onore secondo il codice, egli sarebbe risultato irreprensibile secondo qualsiasi opinione universalmente accettata. Nella sua maniera di comportarsi questi fini erano stati raggiunti; ma la difficoltà di rendere altrettanto irreprensibile la sua “Chiave di tutte le Mitologie” pesava come il piombo sulla sua mente; e i suoi libelli – o parerga, come lui li definiva – per mezzo dei quali saggiava il pubblico e registrava le piccole testimonianze fondamentali dei suoi progressi, erano ben lungi dall’essere compresi in tutta la loro importanza. Aveva il sospetto che l’arcidiacono non li avesse letti; nutriva dei dubbi penosi riguardo a ciò che ne pensavano davvero gli eminenti ingegni di Brasenose,7 ed era amaramente convinto che la sua vecchia conoscenza, Carp, fosse l’autore di quella recensione spregiativa che veniva serbata sottochiave in un piccolo cassetto della scrivania e, senza che lui ne dimenticasse una sola parola, anche in un oscuro recesso della sua memoria. Erano delle tristi impressioni contro le quali doveva lottare e che provocavano quell’amarezza malinconica che è la conseguenza di ogni pretesa eccessiva: anche la sua fede religiosa vacillava insieme alla fiducia altrettanto vacillante nel proprio lavoro, e pareva che il conforto derivante dalla fede cristiana nell’immortalità dipendesse dall’immortalità di quella “Chiave di tutte le Mitologie” che egli non aveva ancora scritto. Per parte mia, lo compiango profondamente. È quantomeno un destino penoso quello di essere ciò che definiamo una persona assai colta e tuttavia non provare alcuna gioia: di assistere a questo grande spettacolo della vita e non liberarsi mai di quella piccola parte di sé affamata e tremante – di non essere mai pienamente posseduti da quella gloria che contempliamo, di non vedere mai la nostra coscienza trasformarsi con entusiasmo nella vivacità di un pensiero, nell’ardore di una passione, nell’energia di un’azione, ma essere sempre dediti allo studio e privi di ispirazione, ambiziosi e timidi, scrupolosi e con la vista offuscata. Diventare decano e perfino vescovo avrebbe mutato ben poco, temo, il disagio di Mr Casaubon. Senza dubbio qualche antico greco ha osservato che dietro la grande maschera e il megafono continuano a esserci i nostri poveri occhietti che guardano furtivamente come di consueto, e le nostre labbra timorose tenute più o meno ansiosamente sotto controllo.

A questo stato mentale che si era delineato un quarto di secolo prima, e ai sentimenti così limitati, Mr Casaubon aveva pensato di unire la felicità in compagnia di una sposa giovane e graziosa; ma persino prima delle nozze, come abbiamo visto, si era ritrovato in un nuovo stato depressivo nel constatare che la nuova immensa felicità non lo rendeva poi così felice. D’istinto era portato a desiderare di ritornare alle sue vecchie e più tranquille abitudini. E quanto più si immergeva nella vita coniugale, tanto più l’idea di adempiere ai suoi doveri e di comportarsi secondo le convenienze prevaleva in lui su ogni altra soddisfazione. Il matrimonio, come la religione e l’erudizione, anzi, come la stessa attività di scrittore, diventava fatalmente un’esigenza determinata dall’ambiente esterno, ed Edward Casaubon era deciso a soddisfare in modo irreprensibile tutte queste esigenze. Persino quella di preparare Dorothea ad aiutarlo nei suoi studi, secondo quanto era sua intenzione fare prima che si sposassero, era una fatica che era sempre tentato di rimandare e, senza la supplichevole insistenza di sua moglie, probabilmente non avrebbe mai avuto inizio. Ma lei era riuscita a fare accettare come un fatto naturale quello di prendere posto nella biblioteca di buonora e farsi assegnare del lavoro che consisteva nel leggere ad alta voce oppure nel copiare. Il lavoro era stato più facile da definire perché Mr Casaubon si era imposto un fine immediato: avrebbe scritto un nuovo parergon, una breve monografia su alcuni indizi scoperti di recente sui misteri egiziani attraverso i quali era possibile confutare certe asserzioni di Warburton.8 I riferimenti erano assai ampi anche in questo caso, ma non proprio illimitati; si trattava essenzialmente di redigere dei periodi la cui forma potesse affrontare il giudizio dell’ambiente di Brasenose e quello di una posterità meno minacciosa. Queste produzioni imponenti di minore importanza mettevano sempre in agitazione Mr Casaubon: il riordinamento del materiale veniva reso difficile dall’interferenza delle citazioni o dalla discordanza delle espressioni dialettiche che si scontravano riecheggiando nella sua mente. E fin dal primo momento fu deciso che ci sarebbe stata una dedica in latino, a proposito della quale tutto era incerto tranne che non andava indirizzata a Carp: Mr Casaubon provava un rimpianto velenoso per avere indirizzato una volta una dedica a Carp in cui aveva annoverato quel membro del regno animale tra i viros nullo aevo perituros, un errore che avrebbe sicuramente esposto l’autore al ridicolo nel secolo successivo, e che al momento avrebbe potuto persino fare sogghignare Pike e Tench.a

Mr Casaubon si trovava quindi in uno dei periodi più densi di lavoro e Dorothea, come avevo cominciato a dire poco fa, lo raggiunse di buonora nella biblioteca dove lui aveva fatto colazione da solo. Celia, in visita a Lowick per la seconda volta, forse l’ultima prima del suo matrimonio, attendeva Sir James nel salotto.

Dorothea aveva imparato a interpretare gli indizi dell’umore di suo marito, e si accorse che la mattina si era rabbuiata durante l’ultima ora. Si dirigeva in silenzio verso la sua scrivania, quando lui disse in quel tono distaccato che implicava che era impegnato in un compito sgradevole:

«Dorothea, c’è qui una lettera per te che era inclusa in un’altra indirizzata a me.»

Era una lettera di due pagine, e lei guardò immediatamente la firma.

«Mr Ladislaw! Che cosa può avere da dirmi?» esclamò in un tono di lieta sorpresa. «Ma» aggiunse guardando Mr Casaubon «posso immaginare perché ha scritto a te.»

«Se vuoi puoi leggere la lettera» disse Mr Casaubon indicandola con la penna, con un’aria severa e senza volgere lo sguardo verso di lei. «Ma devo dirti subito che sarò costretto a rifiutare la sua proposta di venirci a trovare qui. Credo di potere essere scusato se desidero trascorrere un periodo assolutamente privo di quelle distrazioni che finora sono state inevitabili, e soprattutto di certi ospiti la cui vivacità esuberante mi affatica molto.»

Non si era verificato nessuno scontro, tra Dorothea e suo marito, dopo quella piccola esplosione avvenuta a Roma, che aveva lasciato dei segni così profondi nella sua mente che da quel momento le era stato più facile soffocare l’emozione, piuttosto che incorrere nelle conseguenze che sarebbero derivate dall’avere dato libero sfogo a essa. Ma questa previsione, nata dal cattivo umore, che lei desiderasse delle visite che potevano risultare sgradite a suo marito, questa difesa gratuita di se stesso contro ogni rimostranza egoistica da parte di sua moglie, le provocò un’offesa troppo pungente perché, dopo averla accusata, lei potesse lasciare spazio alla riflessione. Dorothea altre volte aveva pensato che avrebbe potuto essere paziente con John Milton, ma non aveva mai immaginato che questi potesse comportarsi a quel modo; e per un attimo Mr Casaubon le sembrò stupidamente ottuso e odiosamente ingiusto. La compassione, quel “neonato” che presto avrebbe sedato in lei molte tempeste, non “emise un soffio” in questa circostanza. Le sue prime parole, pronunciate con un tono che fece trasalire Mr Casaubon, lo costrinsero a guardarla e a incontrare il lampo dei suoi occhi.

«Perché mi attribuisci un desiderio che potrebbe dispiacerti? Mi parli come se fossi un nemico da combattere. Aspetta almeno che io dimostri di badare soltanto al mio piacere e non al tuo.»

«Dorothea, sei troppo impulsiva» rispose Mr Casaubon con nervosismo. Decisamente questa donna era troppo giovane per ricoprire il tremendo ruolo di moglie – a meno di non mostrarsi pallida e priva di carattere, e di non accettare tutto senza discutere.

«Penso che sia stato tu il primo a essere impulsivo con le tue false supposizioni sui miei sentimenti» disse Dorothea nello stesso tono. Il fuoco non si era ancora spento e lei trovava ignobile che suo marito non le chiedesse scusa.

«Ti prego, non parliamo più di questo argomento, Dorothea. Non ho né tempo né energia per questo genere di discussioni.»

A questo punto Mr Casaubon intinse la penna e fece cenno di riprendere a scrivere; ma la mano gli tremava tanto che le parole sembravano scritte in una grafia sconosciuta. Certe risposte, scacciando la collera, non fanno che rinviarla all’altra estremità della stanza; e il vedere accantonata con freddezza una discussione, quando si sente di avere tutta la ragione dalla propria parte, è ancora più esasperante nella vita matrimoniale che tra filosofi.

Dorothea non lesse le due lettere di Ladislaw ma le lasciò sullo scrittoio del marito e si diresse al proprio posto, perché il disprezzo e l’indignazione la spinsero a rifiutare la lettura di queste lettere proprio come noi respingiamo qualsiasi inezia che ci ha fatti sospettare di meschina cupidigia. Non riusciva a indovinare quali fossero le cause oscure del cattivo umore di suo marito suscitato da queste lettere; sapeva soltanto che esse lo avevano indotto a offenderla. Si mise subito al lavoro e la sua mano non tremò affatto; anzi, mentre trascriveva le citazioni che le erano state date il giorno prima, pensò che stava formando le sue lettere divinamente, e le sembrò di seguire con maggiore chiarezza del solito la costruzione del latino che stava copiando e che cominciava a comprendere. Nella sua indignazione c’era un senso di superiorità, ma per il momento esso si manifestò nella sicurezza del tratto della scrittura e non si compresse in una chiara voce interiore che dichiarava che l’“affabile arcangelo” di un tempo non era che una povera creatura.

Questa calma apparente durò una mezz’ora, e Dorothea non aveva distolto lo sguardo dal suo tavolino quando udì il tonfo pesante di un libro sul pavimento e, voltandosi rapidamente, vide Mr Casaubon sulla scala della biblioteca che si aggrappava a essa come se fosse stato colto da malore. Balzò in piedi e in un istante gli fu vicino: era evidente che egli aveva delle grosse difficoltà respiratorie. Salì su uno sgabello, raggiunse l’altezza del suo gomito e, con tutta l’anima che si fondeva in un sentimento di tenerezza e di apprensione, disse:

«Riesci ad appoggiarti a me, caro?»

Egli rimase immobile per due o tre minuti, che a lei sembrarono interminabili, incapace di parlare o di muoversi e facendo grossi sforzi per respirare. Quando infine discese i tre scalini e si abbandonò sull’ampia poltrona che Dorothea aveva avvicinato ai piedi della scala, non ansimava più ma appariva privo di forze e sul punto di svenire. Dorothea suonò con forza il campanello e subito Mr Casaubon venne aiutato a distendersi sul divano: non svenne, e cominciava a riprendersi quando entrò Sir James Chettam che nell’ingresso era stato informato che Mr Casaubon aveva “avuto un attacco in biblioteca”.

“Buon Dio!, è proprio ciò che ci si poteva aspettare” fu il suo primo pensiero. Se il suo spirito profetico fosse stato stimolato a entrare nei dettagli, gli sembrava che l’espressione “attacco” sarebbe stata quella giusta. Chiese al suo informatore, il maggiordomo, se avesse mandato a chiamare il medico. Il maggiordomo non ricordava che il suo padrone avesse mai avuto bisogno di un dottore nel passato; ma ora non sarebbe stato giusto mandarne a chiamare uno?

Quando Sir James entrò nella biblioteca, tuttavia, Mr Casaubon riuscì a manifestare alcuni segni della sua abituale cortesia e Dorothea, che aveva reagito allo spavento iniziale restando in ginocchio accanto a lui e piangendo, in quel momento si alzò e propose lei stessa che qualcuno montasse a cavallo e andasse a cercare un medico.

«Vi consiglio di mandare a chiamare Lydgate» disse Sir James. «Mia madre l’ha fatto venire e l’ha trovato straordinariamente bravo. Aveva poca stima dei medici dopo la morte di mio padre.»

Dorothea consultò il marito e questi dette un tacito segno di approvazione. Così fu mandato a chiamare Mr Lydgate, che arrivò incredibilmente presto perché il messaggero, ch’era il domestico di Sir James Chettam e conosceva Mr Lydgate, lo incontrò mentre conduceva per la briglia il suo cavallo lungo la strada per Lowick e dava il braccio a Miss Vincy.

Celia, che si trovava in salotto, non si accorse di nulla finché la cosa non le fu riferita da Sir James. Dopo il resoconto di Dorothea, questi non considerò più il malessere come un semplice attacco ma come qualcosa “della stessa natura”.

«Povera cara Dodo – è terribile!» disse Celia con quel tanto di dolore che la sua perfetta felicità le consentiva di provare. Le sue piccole mani erano giunte e racchiuse tra quelle di Sir James come un bocciolo avviluppato dal suo ampio calice. «È davvero terribile che Mr Casaubon sia malato; ma non mi è stato mai molto simpatico. E credo che non sia poi tanto innamorato di Dorothea; e dovrebbe esserlo, perché sono certa che nessun’altra lo avrebbe accettato – pensate che qualche altra lo avrebbe accettato?»

«Ho sempre pensato che fosse un sacrificio orribile da parte di vostra sorella» disse Sir James.

«Sì. Ma la povera Dodo non si è mai comportata come le altre, e penso che non lo farà mai.»

«È una nobile creatura» disse il fedele Sir James. Ne aveva appena avuto una nuova impressione vedendo Dorothea passare il suo braccio delicato sotto il collo del marito e guardarlo con un dolore inesprimibile. Non sapeva quanto pentimento ci fosse in quel dolore.

«Sì» disse Celia, approvando le parole di Sir James ma pensando che lui non avrebbe avuto una vita facile con Dodo. «Devo andare da lei? Pensate che potrei esserle d’aiuto?»

«Credo che fareste bene ad andarla a trovare un momento, prima che arrivi Lydgate» disse Sir James con magnanimità. «Ma non trattenetevi a lungo.»

Mentre Celia era via, passeggiò su e giù ricordando ciò che a suo tempo aveva provato per il fidanzamento di Dorothea, e sentendo riemergere in lui il disgusto per l’indifferenza di Mr Brooke. Se Cadwallader – se tutti gli altri avessero visto la cosa come lui, Sir James, il matrimonio avrebbe potuto essere impedito. Era stato un male lasciare che una giovane fanciulla disponesse ciecamente del proprio destino a quel modo, senza fare nessun tentativo per salvarla. Sir James aveva smesso da tempo di provare dei rimpianti per ciò che lo riguardava: il suo cuore era pago del fidanzamento con Celia. Ma lui possedeva un’indole cavalleresca (il servizio disinteressato reso a una donna non era forse tra le glorie ideali dell’antica cavalleria?): il suo amore disdegnato non si era trasformato in amarezza; la sua morte aveva lasciato dei dolci profumi – dei ricordi fluttuanti che si aggrappavano a Dorothea con un effetto consacrante. Poteva restare per lei un amico fraterno e interpretare le sue azioni con la più generosa fiducia.

a. La sottile ironia, e l’allusione al regno animale, si comprendono tenendo presente che in inglese carp, pike e tench significano “carpa”, “luccio” e “tinca”.

Middlemarch
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