LIV
Negli occhi porta la mia donna Amore;
Per che si fa gentil ciò ch’ella mira:
Ov’ella passa, ogni uom ver lei si gira,
E cui saluta fa tremar lo core.
Sicché, bassando il viso, tutto smore,
E d’ogni suo difetto allor sospira:
Fuggon dinanzi a lei Superbia ed Ira:
Aiutatemi, donne, a farle onore.
Ogni dolcezza, ogni pensiero umile
Nasce nel core a chi parlar la sente;
Ond’è beato chi prima la vide.
Quel ch’ella per quand’un poco sorride,
Non si può dicer, né tener a mente,
Si è nuovo miracolo gentile.a
DANTE, La Vita Nuova
Quel delizioso mattino in cui i mucchi di fieno profumavano l’aria a Stone Court, come se Mr Raffles fosse un ospite degno del miglior incenso, Dorothea aveva ormai ripreso ad abitare a Lowick Manor. Dopo tre mesi, Freshitt era diventata piuttosto opprimente: restare seduta come una modella che posava per il ritratto di santa Caterina, guardando estasiata il bambino di Celia, non riusciva a riempire opportunamente le lunghe ore della giornata; e d’altra parte era impossibile concepire che una sorella senza figli restasse indifferente di fronte a quel bambino così portentoso. Dorothea sarebbe stata capace di portare in braccio con gioia il neonato per un miglio, se ce ne fosse stato bisogno, e di amarlo più teneramente proprio per quella fatica; ma una zia che non considera il suo nipotino come un Buddha, e non ha nient’altro da fare per lui se non ammirarlo, può finire col trovare monotone le sue mossette e vedere scemare il proprio interesse nel guardarlo.
Celia non prendeva neppure in considerazione questa eventualità, e trovava che la vedovanza priva di figli di Dorothea coincidesse piacevolmente con la nascita del piccolo Arthur (al bambino era stato dato il nome di Mr Brooke).
«Dodo è proprio il tipo di persona a cui non importa di non avere nulla di proprio – bambini o qualsiasi altra cosa!» disse Celia a suo marito. «E se avesse avuto un bambino, non sarebbe mai stato bello come Arthur. Non è vero, James?»
«Non se fosse assomigliato a Casaubon» disse Sir James, consapevole della slealtà della sua risposta e di avere un’opinione strettamente personale sulle perfezioni del suo primogenito.
«No! Lo immagini? È stata davvero una fortuna» disse Celia; «penso che la vedovanza sia molto piacevole per Dodo. Può volere bene al nostro bambino, come se fosse suo, e può avere tutte le idee sue che vuole.»
«È un peccato che non sia una regina» disse il devoto Sir James.
«Ma allora noi cosa saremmo stati? Avremmo dovuto essere qualcos’altro» disse Celia, opponendosi a un volo di immaginazione così arduo. «La preferisco così com’è.»
Così, quando scoprì che Dorothea si preparava a partire per Lowick, Celia inarcò le sopracciglia con disappunto e con il suo modo di fare tranquillo e inespressivo lanciò una sottile frecciata sarcastica.
«Cosa farai a Lowick, Dodo? Tu stessa hai ammesso che non c’è niente da fare lì: tutti sono così lindi e benestanti che l’ambiente ti rende piuttosto malinconica. E qui sei stata così felice: sei andata in giro per Tipton insieme a Mr Garth, fin nei cortili più sordidi. E adesso che lo zio è all’estero, tu e Mr Garth potete agire a modo vostro; e sono sicura che James fa tutto ciò che gli chiedi.»
«Verrò qui spesso, e vedrò meglio come cresce il bambino» disse Dorothea.
«Ma non lo vedrai mai quando gli faccio il bagno,» disse Celia «ed è il momento più bello della giornata.» Stava quasi per mettere il broncio: le sembrava davvero crudele, da parte di Dodo, lasciare il bambino quando poteva restare.
«Cara Kitty, verrò e mi fermerò apposta per la notte,» rispose Dorothea «ma adesso ho bisogno di restare sola, e a casa mia. Desidero conoscere meglio i Farebrother e parlare con Mr Farebrother di quello che c’è da fare a Middlemarch.»
L’innata forza di volontà di Dorothea non era più mascherata da una netta remissività. Aveva una gran smania di tornare a Lowick, ed era semplicemente decisa ad andarci senza sentirsi obbligata a rivelarne tutte le ragioni. Ma tutti quelli che le stavano intorno la disapprovarono. Sir James ne fu molto dispiaciuto e propose di trasferirsi tutti a Cheltenham per qualche mese con l’arca sacra, altrimenti detta culla: a quell’epoca un uomo non sapeva proprio cos’altro proporre se si respingeva Cheltenham.
Lady Chettam, la vedova, appena tornata da una visita a sua figlia in città, desiderava che almeno si scrivesse a Mrs Vigo pregandola di accettare l’incarico di dama di compagnia di Mrs Casaubon: non era credibile che una giovane vedova come Dorothea pensasse di vivere da sola nella casa di Lowick. Mrs Vigo era stata lettrice e segretaria presso personalità della casa reale, e in fatto di cultura e di moralità, neppure Dorothea avrebbe avuto nulla da obiettare sul suo conto.
Mrs Cadwallader, in privato, le disse: «Impazzirete certamente tutta sola in quella casa, mia cara. Avrete delle visioni. Tutti dobbiamo sforzarci un pochino per restare sani di mente e chiamare le cose con il loro proprio nome come fanno gli altri. Certo, per i figli cadetti e le donne che non hanno denaro la follia è una specie di risorsa: perché in quel caso ci si prende cura di loro. Ma voi non dovete incorrere in questo. Ammetto che qui possiate essere un po’ annoiata dalla nostra buona vedova; ma pensate come voi stessa potreste diventare noiosa per i vostri simili se faceste sempre la parte della regina tragica e ricercaste il sublime nelle cose. Seduta da sola in quella biblioteca di Lowick finireste col credere di dominare il tempo; bisognerebbe che vi circondaste di persone che non vi crederebbero se glielo diceste. È una buona medicina calmante».
«Non ho mai chiamato le cose con lo stesso nome con cui le chiamavano tutti gli altri intorno a me» disse Dorothea con fermezza.
«Ma suppongo che vi siate accorta del vostro errore, mia cara,» disse Mrs Cadwallader «e questa è una prova di sanità mentale.»
Dorothea si rese conto della frecciata, ma non ne rimase ferita. «No,» disse «penso ancora che la maggior parte dell’umanità si sbaglia su molte cose. Di sicuro si può essere sani di mente e tuttavia pensarla a questo modo, visto che la maggior parte dell’umanità ha dovuto spesso ricredersi sulla propria opinione.»
Mrs Cadwallader non aggiunse altro a Dorothea, ma parlando con suo marito osservò: «Sarebbe meglio che si risposasse non appena le convenienze lo consentissero, se la si potesse inserire tra la gente giusta. Naturalmente i Chettam non lo vorrebbero. Ma vedo con chiarezza che un marito è la migliore cosa per tenerla a bada. Se non fossimo così poveri inviterei Lord Triton. Un giorno sarà marchese, e non si può negare che lei sarebbe una buona marchesa: sembra più bella che mai nei suoi abiti da lutto».
«Mia cara Elinor, lascia in pace quella povera donna. Simili espedienti non servono a nulla» disse il pacifico rettore.
«Non servono a nulla? Come si combinano i matrimoni, se non facendo incontrare gli uomini e le donne? Ed è un peccato che suo zio sia partito e abbia chiuso la Grange proprio in questo momento. Si dovrebbero invitare parecchi buoni partiti a Freshitt e alla Grange. Lord Triton è proprio l’uomo giusto, con tutti i suoi progetti per rendere felice la gente in un modo piuttosto sciocco. Farebbe proprio al caso di Mrs Casaubon.»
«Lascia che Mrs Casaubon scelga da sé, Elinor.»
«Queste sono le sciocchezze che dite voi uomini saggi! Come può scegliere se non ha alcuna varietà tra cui scegliere? La scelta, per una donna, in genere si riduce nel prendere l’unico uomo che si presenta. Ricorda le mie parole, Humphrey. Se i suoi amici non si daranno da fare, si verificherà qualcosa di peggio dell’affare Casaubon.»
«Per l’amor del cielo, non toccare questo argomento, Elinor! È una faccenda molto dolorosa per Sir James. Si sentirebbe profondamente offeso se gliene parlassi senza motivo.»
«Non gliene ho mai parlato» disse Mrs Cadwallader aprendo le mani. «All’inizio Celia mi ha detto tutto del testamento, senza che io le abbia fatto nessuna domanda.»
«Sì, sì; ma vogliono mettere a tacere la cosa, e ho saputo che il giovane sta per lasciare questa zona.»
Mrs Cadwallader non disse nulla, ma fece tre eloquenti cenni col capo a suo marito, con un’espressione molto sarcastica nei suoi occhi scuri.
Dorothea persistette tranquillamente malgrado le obiezioni e i tentativi di persuaderla. Così verso la fine di giugno tutte le imposte furono riaperte a Lowick Manor, e la luce del mattino invase tranquillamente la biblioteca illuminando le pile di taccuini quasi fossero un terreno incolto disseminato di enormi pietre, il muto monumento alla memoria di una fede dimenticata; e l’aria della sera, pervasa dal profumo delle rose, entrò in silenzio nel boudoir verde azzurro dove Dorothea amava trattenersi. Dapprima lei entrò in ogni stanza, interrogandosi sui diciotto mesi della sua vita coniugale e proseguendo nei suoi pensieri come se fossero un discorso che suo marito poteva udire. Poi si attardò nella biblioteca e non riuscì ad avere pace finché non ebbe sistemato in un certo ordine tutti i taccuini, come immaginava che lui avrebbe voluto vederli. Quella pietà che aveva costituito il motivo dominante della sua vita con lui, reprimendo e incanalando le sue azioni, rimaneva ancora legata alla sua immagine persino quando, colma di indignazione, gli rimproverava di essere stato ingiusto. Di un suo piccolo gesto forse si potrebbe sorridere in quanto superstizioso. Piegò e sigillò con cura la “Tavola Sinottica a uso di Mrs Casaubon”, scrivendo all’interno della busta:
Non ho potuto usarla. Non capisci, ora, che non potevo sottomettere la mia anima alla tua lavorando disperatamente a un’opera in cui non credo?
DOROTHEA
Poi ripose lo scritto nella sua scrivania personale.
Quel colloquio silenzioso, forse, fu tanto più ardente perché al di sotto e attraverso di esso c’era sempre l’intenso desiderio che l’aveva veramente spinta a venire a Lowick: il desiderio di rivedere Will Ladislaw. Non si attendeva nulla dal loro incontro: lei era impotente; aveva le mani legate per potere riparare a qualsiasi ingiustizia nel destino di Will. Ma il suo animo anelava a vederlo. Come poteva essere altrimenti? Se una principessa, al tempo degli incantesimi, avesse visto un quadrupede di quelli che vivono in gregge andarle incontro più di una volta con uno sguardo umano che si posava supplichevole preferibilmente su di lei, a cosa avrebbe pensato durante i suoi viaggi, che cosa avrebbe cercato quando qualche gregge le attraversava la strada? Certamente quello sguardo che l’aveva ritrovata e che lei avrebbe subito riconosciuto. La vita non varrebbe più del similoro guardato alla luce di una candela e di un mucchio di rifiuti visti alla luce del giorno, se la nostra anima non restasse colpita dal passato che le ispira desideri ardenti e costanti. Era vero che Dorothea desiderava conoscere meglio i Farebrother e soprattutto parlare col nuovo rettore; ma era anche vero che, ricordando ciò che Lydgate le aveva raccontato di Will Ladislaw e della piccola Miss Noble, si aspettava che Will venisse a Lowick per fare visita alla famiglia Farebrother. La prima domenica, prima di entrare in chiesa, lo vide come lo aveva visto l’ultima volta che vi era stata, solo nel banco del pastore; ma poi, quando entrò, la sua figura era scomparsa.
Durante i giorni feriali, quando si recava a fare visita alle signore presso la canonica, aspettava invano di sentire qualche parola a proposito di Will; ma le sembrava che Mrs Farebrother parlasse di tutta la gente del vicinato e di altri luoghi, tranne che di lui.
«Forse qualche volta alcuni degli uditori di Mr Farebrother di Middlemarch potrebbero venire ad ascoltarlo a Lowick. Non credete?» disse Dorothea, disprezzandosi alquanto perché nel porre quella domanda aveva un motivo segreto.
«Se sono saggi lo faranno, Mrs Casaubon» disse la vecchia signora. «Vedo che date il giusto valore alle prediche di mio figlio. Suo nonno materno era un pastore eccellente, ma suo padre si occupava di legge: uno degli uomini più esemplari e onesti, tuttavia, ed è per questo che non ci siamo mai arricchiti. Si dice che la Fortuna è donna e capricciosa. Ma a volte si mostra nei panni di una donna buona che premia quelli che lo meritano, come è avvenuto nel vostro caso, Mrs Casaubon, quando avete affidato la canonica a mio figlio.»
Mrs Farebrother riprese il suo lavoro a maglia dignitosamente soddisfatta per il suo piccolo e accurato tentativo di retorica, ma questo non era ciò che Dorothea desiderava udire. Povera creatura!, non sapeva neppure se Will Ladislaw si trovava ancora a Middlemarch, e non c’era nessuno a cui osava chiederlo tranne a Lydgate. Ma al momento non poteva incontrare Lydgate a meno di non mandarlo a chiamare o di recarsi da lui. Forse Will Ladislaw, avendo saputo di quella strana interdizione lanciata contro di lui da Mr Casaubon, aveva ritenuto opportuno che essi non si incontrassero più; e forse lei aveva torto a desiderare un incontro al quale gli altri si sarebbero opposti per molte buone ragioni. Tuttavia “io lo desidero” era l’espressione che concludeva sempre quelle sagge riflessioni, spontaneamente come un singhiozzo dopo che si è trattenuto il respiro. E quell’incontro ebbe luogo, ma in un modo formale del tutto inatteso.
Una mattina, verso le undici, Dorothea era seduta nel suo boudoir di fronte a una mappa del terreno annesso alla casa e ad altre carte che dovevano aiutarla a tracciare un esatto rendiconto della sua rendita e dei suoi affari. Non si era ancora messa al lavoro, ma se ne stava seduta con le mani in grembo e seguiva con lo sguardo il viale dei tigli fino ai campi lontani. Ogni foglia era immobile sotto il sole; quella scena familiare era immutabile e pareva rappresentare la prospettiva della sua vita, piena di una tranquillità inutile – inutile, se la sua energia non riusciva a scoprire delle motivazioni per delle azioni ardenti. La cuffia da vedova, tipica di quell’epoca, formava intorno al suo viso una cornice ovale con una corona in cima; l’abito si componeva di un’enorme quantità di crespo; ma questa triste solennità dell’abbigliamento faceva apparire ancora più giovane il suo viso, caratterizzato da un rinnovato splendore e dal candore dolce e indagatore dei suoi occhi.
La sua fantasticheria fu interrotta da Tantripp che venne ad annunciare che Mr Ladislaw era di sotto e chiedeva il permesso di vedere la signora, se non era troppo presto.
«Lo riceverò» disse Dorothea alzandosi immediatamente. «Fallo accompagnare nel salotto.»
Il salotto per lei era la stanza più insignificante della casa – quella meno associata alle sofferenze della sua vita coniugale: il damasco si intonava con gli oggetti in legno che erano tutti bianchi e dorati; c’erano due grandi specchi e dei tavoli spogli – in breve, era una stanza in cui nulla spingeva a sedersi in un angolo piuttosto che in un altro. Era situata sotto il boudoir e aveva anche un bovindo che si affacciava sul viale. Ma quando Pratt vi fece entrare Will Ladislaw, la finestra era aperta; e un visitatore alato vi entrava e vi usciva ronzando senza badare all’arredamento, facendo apparire la stanza meno formale e disabitata.
«Lieto di rivedervi qui, signore» disse Pratt attardandosi a sistemare un’imposta.
«Sono venuto soltanto per prendere congedo, Pratt» rispose Will, il quale desiderava che anche il maggiordomo sapesse che era troppo orgoglioso per ronzare intorno a Mrs Casaubon adesso che era una ricca vedova.
«Sono molto spiacente di sentirlo, signore» disse Pratt ritirandosi. Naturalmente, come domestico a cui non bisognava dire nulla, egli era a conoscenza di quel fatto che Ladislaw ancora ignorava, e aveva tratto le sue conclusioni; in verità era stato d’accordo con la sua fidanzata, Tantripp, quando lei aveva detto: «Il tuo padrone era geloso come un demonio – e senza motivo. La signora mirerebbe più in alto di Mr Ladislaw, oppure io non la conosco. La cameriera di Mrs Cadwallader dice che verrà un Lord e che la sposerà quando il periodo di lutto sarà finito».
Will non passeggiò su e giù per molto tempo, col cappello in mano, prima che entrasse Dorothea. Il loro incontro fu molto diverso da quel primo incontro a Roma, quando Will si era mostrato imbarazzato e Dorothea era apparsa tranquilla. Questa volta lui si sentiva infelice ma deciso, mentre lei era in preda a un’agitazione che era impossibile dissimulare. Appena giunta dinanzi alla porta sentì che questo incontro tanto desiderato era troppo difficile, e quando vide Will venirle incontro, un intenso rossore, che in lei era insolito, le salì alle guance con una penosa repentinità. Nessuno dei due si rese conto del perché, ma nessuno dei due parlò. Lei gli diede la mano per un istante e poi andarono a sedersi vicino alla finestra, lei su un canapè e lui su un altro di fronte. Will si sentì stranamente a disagio: non gli sembrava degno di Dorothea che il semplice fatto di essere vedova dovesse provocare un simile mutamento nel suo modo di accoglierlo; e non vedeva nessun’altra ragione che potesse alterare i loro precedenti rapporti – a meno che, come a un tratto gli suggerì la sua immaginazione, i parenti di Dorothea non le avessero avvelenato la mente con i loro sospetti sul suo conto.
«Spero di non avere osato troppo venendo a farvi visita,» disse Will «non potevo lasciare questa regione e cominciare una nuova vita senza vedervi per dirvi addio.»
«Osato troppo? No di certo. L’avrei trovato scortese se non aveste desiderato vedermi» disse Dorothea, la cui abitudine di parlare con perfetta sincerità si faceva strada tra tutta la sua incertezza e agitazione. «Partirete subito?»
«Molto presto, penso. Ho intenzione di andare a Londra e di studiare legge, visto che, a quanto dicono, quella è la preparazione richiesta per ogni attività pubblica. Tra poco ci sarà molto lavoro politico da fare, e vorrei prendervi parte. Altri uomini sono riusciti a costruirsi una posizione onorevole, pur senza famiglia o denaro.»
«E questo renderà la cosa tanto più onorevole» disse Dorothea con ardore. «Inoltre, voi avete tanti talenti. Mio zio mi ha detto che parlate bene in pubblico, fino al punto che tutti si rammaricano quando avete finito, e che sapete spiegare le cose con chiarezza. E tenete a che sia resa giustizia a tutti. Sono così contenta. Quando eravamo a Roma, pensavo che foste interessato soltanto alla poesia e all’arte, e alle cose che abbelliscono la vita per noi che siamo favoriti dalla fortuna. Ma adesso so che vi preoccupate del resto dell’umanità.»
Mentre parlava, Dorothea aveva perduto il suo imbarazzo ed era ridiventata la donna di un tempo. Guardò Will con uno sguardo sincero, colmo di piacere misto a fiducia.
«Approvate, quindi, il mio progetto di allontanarmi per qualche anno e di non ritornare finché non mi sia conquistato un posto di rilievo nel mondo?» disse Will, sforzandosi di conciliare il più grande orgoglio con il più grande sforzo di strappare a Dorothea qualche manifestazione di un sentimento profondo.
Lei non si rese conto del tempo che passò prima di rispondere. Aveva girato la testa e guardava i rosai, fuori della finestra, che sembravano racchiudere le estati di tutti gli anni che Will avrebbe trascorso lontano da lei. Questo non era un comportamento assennato. Ma Dorothea non si preoccupava mai dei propri atteggiamenti: pensava soltanto a inchinarsi di fronte alla triste necessità di separarsi da Will. Le pareva che quelle prime parole, con cui egli aveva illustrato le sue intenzioni, spiegassero ogni cosa: lui sapeva tutto della condotta finale di Mr Casaubon nei suoi confronti, e come lei ne era rimasto profondamente colpito. Non aveva mai provato che amicizia per lei – non aveva mai avuto nulla in mente che giustificasse quello che lei considerava un oltraggio di suo marito ai sentimenti di entrambi: ed era ancora amicizia quella che provava. Qualcosa che si potrebbe definire un muto pianto interiore si sviluppò in Dorothea prima che lei dicesse con una voce limpida, appena alterata, nelle ultime parole, da un tremolio che poteva essere attribuito all’armoniosa flessibilità della sua voce:
«Sì, deve essere giusto che facciate come voi dite. Sarò molto felice quando saprò che avete fatto apprezzare il vostro valore. Ma dovete avere pazienza. Ci vorrà forse molto tempo.»
Will non seppe mai quale forza gli impedì di prostrarsi ai suoi piedi quando quel “molto tempo” uscì dalle labbra di Dorothea con un lieve tremolio. In seguito disse che era stato forse trattenuto dall’orribile colore e dall’aspetto del suo abito di crespo. Comunque rimase seduto e immobile, e disse soltanto:
«Non avrò mai vostre notizie. E voi mi dimenticherete del tutto.»
«No,» disse Dorothea «non vi dimenticherò mai. Non ho mai dimenticato nessuno. La mia vita non è mai stata movimentata, e non sembra che lo diventerà. A Lowick posso dedicare molto tempo ai ricordi, non è vero?» A questo punto sorrise.
«Buon Dio!» esclamò Will con passione, alzandosi con il cappello ancora in mano e dirigendosi verso un tavolo di marmo; poi si girò bruscamente e si appoggiò a esso. Il sangue gli era salito al viso e al collo, e pareva quasi irritato. Gli sembrava che essi fossero simili a due creature che, l’una di fronte all’altra, si andavano lentamente trasformando in marmo mentre i loro cuori sapevano e i loro occhi imploravano. Ma non poteva farci nulla. Mai nessuno avrebbe dovuto poter dire che in quell’incontro a cui era andato con un’amara risolutezza, egli aveva finito per abbandonarsi a una confessione che poteva essere interpretata come quella di un cacciatore di dote. Inoltre Will temeva l’effetto che simili confessioni avrebbero potuto avere su Dorothea stessa.
Lei lo guardò a distanza un po’ turbata, pensando che forse lo aveva offeso con le sue parole. Ma nel frattempo non cessava di pensare che probabilmente egli aveva bisogno di denaro e che lei non poteva aiutarlo. Se suo zio fosse stato a casa, si sarebbe potuto fare qualcosa con la sua mediazione! Fu questa preoccupazione per le difficoltà create a Will dalla mancanza di denaro, laddove lei possedeva ciò che avrebbe dovuto essere la sua parte, che la spinse a dire, mentre lui taceva e distoglieva lo sguardo da lei:
«Mi chiedo se forse non vi piacerebbe avere quella miniatura che è al piano di sopra – voglio dire quella bella miniatura di vostra nonna. Penso che non sia giusto che la tenga io, se voi desiderate averla. Vi assomiglia in modo sorprendente.»
«Siete molto gentile» rispose Will in tono irritato. «No; non ci tengo. Non è molto confortante avere il proprio ritratto. Sarebbe più confortante se gli altri desiderassero averlo.»
«Pensavo che vi sarebbe piaciuto serbarlo in suo ricordo... pensavo...» Dorothea si interruppe un istante, perché il suo istinto improvvisamente le suggerì di evitare la storia della zia Julia – «che certamente vi sarebbe piaciuto avere la miniatura come un ricordo di famiglia.»
«Perché dovrei averla, quando non ho nient’altro! Un uomo che possiede come unico bene il suo baule deve conservare i propri ricordi nella memoria.»
Will parlava a caso: stava soltanto dando sfogo alla sua irascibilità; era un po’ troppo esasperante che in quel momento gli si offrisse il ritratto di sua nonna. Ma alla sensibilità di Dorothea le sue parole risultarono particolarmente pungenti. Si alzò e disse con un pizzico di indignazione e di alterigia: «Siete di gran lunga il più felice di noi due, Mr Ladislaw, a non possedere nulla».
Will rimase sbigottito. Qualunque cosa significassero quelle parole, il loro tono aveva l’aria di un congedo; e allontanandosi dal tavolo fece qualche passo verso di lei. I loro occhi si incontrarono, ma con una strana gravità e un’espressione interrogativa. C’era qualcosa che teneva lontane le loro menti, e ciascuna cercava di immaginare cosa si agitava nell’altra. Will non aveva mai pensato realmente di avere un diritto di eredità sui beni di Dorothea, e avrebbe avuto bisogno di una narrazione dettagliata per capire ciò che lei provava in quel momento.
«Non l’avevo mai considerata una sfortuna quella di non possedere nulla» disse. «Ma la povertà può essere orribile come la lebbra, se ci separa da ciò che amiamo di più.»
Quelle parole ferirono Dorothea nel profondo del cuore e la commossero. Lei rispose in un tono di triste solidarietà.
«Il dolore sopraggiunge in tanti modi. Due anni fa non ne avevo alcuna idea – cioè del modo inaspettato in cui la sofferenza ci coglie, ci lega le mani e ci costringe al silenzio quando invece desideriamo parlare. Ero solita disprezzare un po’ le donne perché non determinano con maggior vigore il corso della loro vita e non compiono opere più grandi. Mi piaceva molto agire a modo mio, ma vi ho quasi rinunciato» concluse sorridendo allegramente.
«Io non ho rinunciato ad agire a modo mio, ma posso farlo molto raramente» disse Will. Era fermo a qualche passo da lei, con l’animo colmo di desideri e di propositi contraddittori: desiderava qualche prova incontestabile del suo amore, e tuttavia temeva la situazione in cui l’avrebbe posto una simile prova. «Ciò che si desidera di più può essere circondato da condizioni che sarebbero intollerabili.»
In quel momento entrò Pratt e disse: «Sir James Chettam è nella biblioteca, signora».
«Pregate Sir James di venire qui» disse immediatamente Dorothea. Fu come se la stessa scossa elettrica avesse attraversato lei e Will. Entrambi si sentirono orgogliosamente risoluti, e nessuno dei due guardò l’altro mentre aspettavano che Sir James entrasse.
Dopo avere stretto la mano a Dorothea, questi fece un cenno di saluto il più lieve possibile a Ladislaw, il quale ricambiò nella stessa maniera e poi, dirigendosi verso Dorothea, disse:
«Devo dirvi addio, Mrs Casaubon; e forse per molto tempo.»
Dorothea gli tese la mano e lo salutò cordialmente. La sensazione che Sir James, in quel momento, disprezzava Will e lo trattava in modo scortese risvegliò la sua fermezza e la sua dignità: non ci fu un’ombra di imbarazzo nel suo modo di comportarsi. E quando Will ebbe lasciato la stanza, guardò Sir James con una tale calma e padronanza di sé chiedendo: «Come sta Celia?», che lui fu costretto a comportarsi come se nulla lo avesse irritato. E a cosa sarebbe servito comportarsi diversamente! In verità Sir James rifuggiva con tanto disgusto dall’idea di associare, persino nel suo pensiero, il nome di Dorothea a quello di Ladislaw come suo possibile amante, che lui stesso desiderava evitare di esternare un disappunto che avrebbe confermato l’esistenza di quella sgradevole possibilità. Se qualcuno gli avesse chiesto la ragione di quella sua avversione, non sono sicura che in un primo momento avrebbe saputo rispondere qualcosa di più completo o preciso di “quel Ladislaw!” – sebbene, riflettendoci, avrebbe potuto insistere sul fatto che il codicillo di Mr Casaubon, che vietava il matrimonio di Dorothea con Will se non a rischio di diseredarla, bastava a giustificare l’inopportunità di qualsiasi relazione tra di loro. La sua avversione era tanto più forte perché si sentiva incapace di intervenire.
Ma Sir James costituì una forza di cui lui stesso non si rese conto. Entrando in quel momento, egli rappresentò l’incarnazione di quei motivi perentori di fronte ai quali l’orgoglio di Will acquistò una forza invincibile che lo allontanò da Dorothea.
a. In italiano nel testo.