XXXIX

Se, come me, anche tu

Scorgi la virtù in veste di una donna

E osi amarla, e pure confessarlo,

Dimenticando che tu sei l’Uomo e lei la Donna;

E se quest’amore, pur così riposto,

Nascondi agli occhi dei profani

Che ad esso non credono

Oppure, se lo fanno, lo deridono:

Allora il tuo coraggio

Sorpassa quello dei più valorosi,

E ancor più coraggioso sarai

Se questo amore terrai nascosto.

DR. DONNE

La mente di Sir James Chettam non era ricca di espedienti, ma la sua crescente ansia di “agire su Brooke”, aggiunta alla fiducia costante che egli riponeva nell’influenza di Dorothea, lo resero ingegnoso e diedero origine a un piccolo piano; vale a dire, quello di addurre a pretesto un’indisposizione di Celia per condurre Dorothea da sola alla Hall, e poi lasciarla in carrozza alla Grange dopo averla messa al corrente della situazione riguardante l’amministrazione della proprietà.

Così accadde che un giorno, verso le quattro, quando Mr Brooke e Ladislaw erano seduti nella biblioteca, la porta si aprì e fu annunciata Mrs Casaubon.

Will, poco prima, si era trovato al colmo della noia e, costretto ad aiutare Mr Brooke a sistemare dei “documenti” sull’impiccagione dei ladri di pecore, offriva un esempio della capacità che le nostre menti possiedono di seguire diversi pensieri contemporaneamente, meditando di procurarsi un alloggio a Middlemarch per porre fine alla sua permanenza alla Grange; mentre fra tutte queste immagini più persistenti fluttuava la visione allettante di un poema epico sul furto di pecore scritto con una meticolosità omerica. Quando fu annunciata Mrs Casaubon, balzò in piedi come per effetto di una scossa elettrica e sentì un formicolio all’estremità delle dita. Chiunque lo avesse guardato attentamente avrebbe notato un mutamento nel suo colorito, nella contrazione dei suoi muscoli facciali e nella vivacità del suo sguardo, che gli avrebbe fatto pensare che ogni molecola del suo corpo era stata colpita dall’effetto di un tocco magico. Ed era vero. Perché una magia efficace è di natura trascendente; e chi è in grado di misurare la sottigliezza di quei tocchi che trasmettono la qualità di un’anima come pure di un corpo, e fanno sì che la passione di un uomo per una donna sia diversa da quella che egli nutre per un’altra, così come la gioia di fronte alla luce mattutina su una valle e un fiume e la cima bianca di una montagna è diversa da quella che si prova tra le lanterne cinesi e i pannelli di cristallo? Anche Will era fatto di una sostanza assai sensibile. L’archetto di un violino avvicinatogli abilmente con un sol colpo avrebbe cambiato per lui l’aspetto del mondo, e il suo punto di vista mutava facilmente come il suo stato d’animo. L’ingresso di Dorothea fu come la freschezza del mattino.

«Bene, mia cara, che bella sorpresa» disse Mr Brooke andandole incontro e baciandola. «Hai lasciato Casaubon sui suoi libri, suppongo. Hai fatto bene. Non dobbiamo farti diventare troppo erudita per una donna, sai.»

«Non c’è pericolo che questo avvenga, zio» rispose Dorothea girandosi verso Will e stringendogli la mano con franca cordialità; non pronunciò nessun’altra forma di saluto, ma continuò a rispondere allo zio. «Sono molto lenta. Quando decido di impegnarmi nella lettura, spesso i miei pensieri mi distraggono dal lavoro. Trovo che istruirsi non è così facile come fare dei progetti per le case di campagna.»

Si mise a sedere accanto allo zio, di fronte a Will, visibilmente preoccupata da qualcosa che le fece quasi dimenticare la presenza di quest’ultimo. Egli si sentì deluso in modo assurdo, come se avesse creduto che la sua venuta avesse qualcosa a che fare con lui.

«Ma sì, mia cara, disegnare progetti era proprio il tuo passatempo preferito. Ma è stato un bene abbandonarlo per un po’ di tempo. Siamo portati a lasciarci trasportare dai nostri passatempi, sai; non è bene lasciarsi trasportare. Dobbiamo tenere ben salde le redini. Io non mi sono mai lasciato trasportare; mi sono sempre fermato. È ciò che dico a Ladislaw. Lui e io ci rassomigliamo, sai: a lui piace occuparsi di tutto. Ci stiamo occupando della pena di morte. Faremo molte cose insieme, io e Ladislaw.»

«Sì,» disse Dorothea con la sua caratteristica schiettezza «Sir James mi ha detto che spera di vedere presto un grande cambiamento nell’amministrazione della tua proprietà – che pensi di fare stimare i tuoi poderi, di fare delle riparazioni e di migliorare le case, così che l’aspetto di Tipton possa mutare completamente. Oh, come sono felice!» – proseguì congiungendo le mani e riacquistando quel modo di fare più infantile e impetuoso che era stato dominato dopo il suo matrimonio. «Se fossi ancora qui, riprenderei ad andare a cavallo per accompagnarti e seguire tutto! E Sir James dice che hai intenzione di assumere Mr Garth, che ha apprezzato le mie case di campagna.»

«Chettam corre un po’ troppo, mia cara» rispose Mr Brooke arrossendo leggermente. «Un po’ troppo, sai. Non ho mai detto che avrei fatto qualcosa del genere. Non ho mai detto neppure che non lo avrei fatto, sai.»

«Ma lui è convinto che lo farai,» disse Dorothea con una voce chiara e ferma come quella di un giovane corista che canta il Credo «perché vuoi entrare al Parlamento con l’impegno di migliorare le condizioni del popolo, e una delle prime cose da migliorare è la condizione della terra e dei lavoratori. Pensa a Kit Downes, zio, che vive con sua moglie e sette figli in una casa con un soggiorno e una sola stanza da letto appena più grande di questo tavolo! – e quei poveri Dagley, nella loro fattoria diroccata, dove vivono nel retrocucina abbandonando le altre stanze ai topi! Questo è uno dei motivi che mi spingevano a non amare i tuoi quadri, caro zio – per cui tu mi ritieni stupida. Tornavo dal villaggio con la visione di tutta quella sporcizia e quelle brutture grossolane con una pena in fondo al cuore, e la leziosaggine dei quadri del salotto mi pareva un invito crudele a provare gioia in ciò che è falso mentre non ci preoccupiamo di quanto sia dura la verità per i vicini che abitano fuori dalle nostre pareti. Credo che non abbiamo alcun diritto di farci avanti e di sollecitare più vasti cambiamenti per il bene comune, prima di avere tentato di rimediare ai mali che ci sono vicini.»

Dorothea si era lasciata prendere dall’emozione man mano che procedeva, e aveva dimenticato tutto tranne il sollievo di dare sfogo ai suoi sentimenti senza riserbo: un’esperienza che una volta le era abituale, ma che era diventata assai rara dopo il suo matrimonio, quella lotta continua dell’energia con la paura. In quel momento l’ammirazione di Will era accompagnata da una fredda sensazione di distacco. Un uomo raramente si vergogna di accorgersi che il suo amore per una donna diminuisce quando ravvisa in lei una certa grandezza: la natura ha destinato la grandezza agli uomini. Ma la natura a volte ha commesso dei tristi errori nell’attuare le sue intenzioni; come nel caso del buon Mr Brooke, la cui coscienza maschile in quel momento si ritrovava balbettante di fronte all’eloquenza di sua nipote. Non riuscì a esprimersi altrimenti che alzandosi, aggiustandosi il monocolo e rimuovendo le carte davanti a sé. Infine disse:

«C’è qualcosa di vero in ciò che dici, mia cara, qualcosa di vero... ma non tutto... eh, Ladislaw? A voi e a me non piace che si disprezzino i nostri quadri e le nostre statue. Le ragazze sono un po’ ardenti, sapete... un po’ parziali, mia cara. Le belle arti, la poesia, cose del genere, migliorano un popolo – emollit mores – capisci un po’ di latino, adesso. Ma... eh, cosa?»

Questo interrogativo era rivolto al valletto che era entrato per dire che il custode aveva scoperto uno dei figli di Dagley con un leprotto appena ucciso in mano.

«Vengo, vengo. Non lo punirò severamente, sai» disse in disparte Mr Brooke a Dorothea, mentre si allontanava allegramente.

«Spero che comprendiate quanto sia giusto questo cambiamento che io... che Sir James desidera» disse Dorothea a Will non appena suo zio fu uscito.

«Lo comprendo, ora che ve ne ho sentito parlare. Non dimenticherò ciò che avete detto. Ma potete pensare ad altro in questo momento? Potrei non avere un’altra occasione di parlarvi di ciò che è successo» disse Will alzandosi con un gesto di impazienza e tenendo la spalliera della sedia con entrambe le mani.

«Vi prego, ditemi di che si tratta» disse Dorothea ansiosamente, alzandosi anche lei e dirigendosi verso la finestra aperta attraverso la quale Monk la guardava ansimando e dimenando la coda. Appoggiò la schiena contro l’infisso della finestra e posò la mano sulla testa del cane; perché sebbene, come sappiamo, non le piacessero quei piccoli animali che bisognava tenere in braccio o che si rischia di calpestare, prestava sempre attenzione alla sensibilità dei cani ed era molto garbata quando doveva respingere i loro approcci.

Will la seguì con lo sguardo e disse: «Suppongo che sappiate che Mr Casaubon mi ha proibito di recarmi a casa sua».

«No, non lo sapevo» disse Dorothea dopo un momento di pausa. Era visibilmente assai commossa. «Mi dispiace molto, moltissimo» aggiunse con tristezza. Pensava a ciò che Will ignorava – a quella conversazione tra lei e suo marito nell’oscurità; e si sentì di nuovo disperata per la sua impossibilità di influire sulle azioni di Mr Casaubon. Ma la chiara espressione del suo dolore convinse Will che esso non era tutto provocato dalla sua persona, e che Dorothea non era stata sfiorata dall’idea che l’avversione e la gelosia di Mr Casaubon erano dovute a lei. Provò una strana mescolanza di piacere e di irritazione: piacere di potere conservare un posto privilegiato nel suo pensiero, come in una dimora incontaminata senza sospetti e senza restrizioni – di irritazione perché contava troppo poco per lei, non la dominava abbastanza, e veniva trattato con una benevolenza naturale che non lo lusingava affatto. Ma il timore di ravvisare qualche mutamento in Dorothea fu più forte del suo malcontento, e ricominciò a parlare fornendo semplicemente le sue spiegazioni.

«La motivazione addotta da Mr Casaubon è che lui disapprova che io accetti un impiego, qui, che considera incompatibile con il nostro vincolo di parentela. Gli ho risposto che non posso cedere su questo punto. Sarebbe un po’ troppo duro pretendere che la mia carriera venga ostacolata da pregiudizi che trovo ridicoli. Si rischia di abusare della riconoscenza fino a farla diventare un marchio di schiavitù impresso su di noi quando eravamo troppo giovani per comprenderne la portata. Non avrei accettato questo impiego se non avessi avuto intenzione di renderlo utile e onorevole. Non sono tenuto a considerare la dignità della famiglia da nessun altro punto di vista.»

Dorothea si sentiva infelice. Riteneva che suo marito avesse assolutamente torto, per più motivi di quanti ne avesse nominati Will.

«È meglio non parlare di questo argomento,» disse con un tremolio che era inconsueto nella sua voce «dato che voi e Mr Casaubon non siete d’accordo. Avete intenzione di restare?» Guardava il prato fuori con aria malinconica e pensierosa.

«Sì, ma ora non vi vedrò quasi mai» disse Will con un tono di protesta quasi infantile.

«No,» disse Dorothea volgendo il suo sguardo espressivo verso di lui «quasi mai. Ma avrò notizie di voi. Saprò quello che fate per mio zio.»

«Io non saprò quasi nulla di voi» disse Will. «Nessuno mi dirà niente.»

«Oh, la mia vita è molto semplice» disse Dorothea, mentre le labbra le si incresparono con uno splendido sorriso che rischiarò la sua malinconia. «Sono sempre a Lowick.»

«È una prigionia terribile» disse Will impetuosamente.

«No, non pensate questo» disse Dorothea. «Non desidero nulla.»

Lui restò in silenzio, ma lei rispose a un certo mutamento della sua espressione. «Voglio dire per me stessa. Tranne che mi piacerebbe non possedere molto di più di ciò che mi spetta senza fare nulla per gli altri. Ma ho una mia fede, ed essa mi conforta.»

«Quale?» disse Will, assai geloso di quella fede.

«Che desiderando ciò che è perfettamente buono, pur senza ben sapere in cosa consista e senza potere fare ciò che vorremmo, noi facciamo parte del potere divino che combatte contro il male – allargando gli spazi della luce e restringendo la lotta contro le tenebre.»

«È un misticismo meraviglioso... è un...»

«Vi prego, non dategli alcun nome» disse Dorothea tendendo le mani con aria supplichevole. «Potete dire che è persiano, o di qualsiasi altra nazionalità. È la mia vita. L’ho trovato e non posso separarmene. Ho sempre continuato a cercare la mia religione fin da quando ero bambina. Ho pregato tanto, un tempo – ora non prego quasi mai. Cerco di non desiderare nulla soltanto per me stessa, perché ciò potrebbe non giovare agli altri e io possiedo già troppo. Ve l’ho detto solo perché possiate sapere come trascorro le mie giornate a Lowick.»

«Dio vi benedica per avermelo detto!» disse Will con ardore e quasi meravigliandosi di se stesso. Si guardavano come due bambini affettuosi che si fanno delle confidenze sugli uccelli.

«Qual è la vostra religione?» chiese Dorothea. «Voglio dire – non quello che sapete sulla religione, ma la fede che vi aiuta di più?»

«Amare ciò che è buono e bello quando lo vedo» disse Will. «Ma io sono un ribelle: non mi sento obbligato come voi a sottomettermi a ciò che non amo.»

«Ma se amate ciò che è buono, è la stessa cosa» disse Dorothea sorridendo.

«Diventate sottile ora» disse Will.

«Sì. Mr Casaubon dice spesso che sono troppo sottile. Non mi sembra di esserlo» disse Dorothea scherzosamente. «Ma quanto tarda lo zio! Devo andare a cercarlo. Devo assolutamente proseguire per la Hall. Celia mi sta aspettando.»

Will si offrì di informare Mr Brooke, quando questi arrivò e disse che avrebbe approfittato della carrozza di Dorothea e sarebbe andato con lei dai Dagley per parlare del piccolo delinquente che era stato sorpreso con il leprotto. Durante il tragitto Dorothea riprese a parlare della proprietà; ma Mr Brooke, non essendo stato colto alla sprovvista, riuscì a tenere la conversazione sotto controllo.

«Chettam dunque» replicò «trova da ridire sul mio conto, mia cara: ma io non avrei una riserva di caccia se non fosse per Chettam, e non può certo dire che questa spesa sia per il bene dei fittavoli, sai. D’altronde è un po’ contrario alle mie opinioni – quanto alla caccia di frodo, se esaminiamo bene la questione... io ho spesso pensato di non sottilizzare troppo. Qualche tempo fa, Flavell, il predicatore metodista, fu processato per avere abbattuto una lepre che gli attraversò la strada mentre usciva con la moglie. Fu abbastanza veloce e la colpì sul collo.»

«Penso che sia stato molto brutale» disse Dorothea.

«Be’, ecco, confesso che mi è sembrata un’azione molto malvagia per un predicatore metodista, sai. E Johnson disse: “Ci si può fare un’idea di quanto sia ipocrita”. E parola mia, pensavo che Flavell somigliasse molto poco al “tipo di uomo più nobile” – come qualcuno definisce il cristiano – Young, il poeta Young,9 credo... conosci Young? Be’, allora, Flavell, con le sue ghette nere e logore, si difese dicendo che aveva pensato che il Signore avesse mandato un buon pranzo per lui e sua moglie e che aveva il diritto di abbatterla, sebbene non fosse un gran cacciatore davanti al Signore, come lo fu Nimbrod10 – ti assicuro che era assai divertente: Fielding ne avrebbe ricavato qualcosa – oppure Scott ai giorni nostri – Scott avrebbe potuto servirsene. Ma veramente, quando ci pensavo, non potevo fare a meno di provare piacere per il fatto che quell’uomo avesse un po’ di lepre per cui dire la sua preghiera di ringraziamento. È tutta una questione di pregiudizi – di pregiudizi sostenuti dalla legge, sai – sul modo di dare un colpo di bastone e di portare le ghette, e così via. Comunque è inutile parlarne; e la legge è la legge. Ma ho convinto Johnson a restare tranquillo e ho messo a tacere la faccenda. Mi domando se Chettam non sarebbe stato più severo, eppure mi rimprovera come se fossi l’uomo più duro della contea. Ma eccoci arrivati da Dagley.»

Mr Brooke scese davanti al cancello della fattoria e Dorothea proseguì per la sua strada. È sorprendente quanto le cose ci sembrino più brutte se solo pensiamo di essere biasimati per esse. Anche la nostra immagine riflessa nello specchio tende a mutare aspetto ai nostri occhi, se abbiamo udito qualche commento sincero sui nostri tratti meno ammirevoli; e d’altro canto è impressionante come la nostra coscienza consideri con leggerezza gli abusi commessi a danno di quelli che non protestano mai e che non hanno nessuno che protesti per loro. La casa di Dagley non era mai apparsa così tetra a Mr Brooke, la cui mente era afflitta dal pensiero della critica del «Trumpet» a cui aveva fatto eco Sir James.

È vero che qualche osservatore, condizionato dall’influsso dell’arte che raddolcisce e fa apparire pittoresche le miserie altrui, avrebbe potuto trovare incantevole questa abitazione chiamata Freeman’s End:a la vecchia casa aveva degli abbaini nel suo tetto rosso scuro, due dei comignoli erano nascosti sotto l’edera, l’ampio portico era ingombrato da fasci di sterpi, e quasi tutte le finestre erano chiuse da imposte grigie rose dai tarli, attorno alle quali crescevano incolti e lussureggianti i rami di un gelsomino; il muro cadente del giardino, dal quale spuntavano le cime dei malvoni, costituiva uno studio perfetto di colori uniformi e smorzati, e una vecchia capra (senza dubbio allevata per interessanti motivi di superstizione) era sdraiata contro la porta aperta del retrocucina. Il tetto di paglia della stalla ricoperto di muschio, le porte grigie e cadenti del granaio, e i poveri braccianti con le brache lacere che avevano quasi finito di scaricare un carro di grano nel granaio, pronto per una prima trebbiatura; lo spazio angusto della cascina dove le mucche venivano legate per la mungitura lasciando l’altra metà della stalla vuota e oscura; gli stessi maiali e le anatre bianche che parevano vagare per il cortile irregolare e trascurato quasi in preda allo sconforto per essersi cibati di miseri avanzi – tutti questi dettagli, nella luce tranquilla di un cielo marezzato di nuvole alte, avrebbero creato uno di quei quadri di fronte al quale tutti noi ci siamo soffermati trovandolo “incantevole”, e avrebbero colpito una sensibilità diversa da quella che resta turbata dalla crisi dell’agricoltura o dalla triste penuria di capitali di investimento di cui si parlava continuamente nei giornali di quel tempo. Ma proprio in quel momento questi pensieri importuni si affacciarono alla mente di Mr Brooke e gli rovinarono la scena. Lo stesso Mr Dagley, col suo forcone e il cappello da lattaio – un vecchissimo berretto di castoro schiacciato sul davanti – s’integrava nel paesaggio. La sua giacca e le sue brache erano le migliori che possedeva, e non le avrebbe certo indossate in quel giorno feriale se non fosse andato al mercato, rincasando più tardi del solito perché si era concesso il raro lusso di pranzare alla mensa comune del Blue Bull. In che modo fosse giunto a quello sperpero forse avrebbe costituito un motivo di meraviglia per lui stesso, l’indomani; ma prima di quel pranzo era sembrato che qualcosa nella situazione del paese, una piccola pausa nel raccolto prima della mietitura dei Far Dips, le storielle sul nuovo re e i numerosi manifesti sui muri giustificassero qualche leggerezza. Era una massima di Middlemarch, considerata come assai scontata, che un buon pasto richiedesse una buona bevuta, e quest’ultima cosa per Dagley si tradusse in molta birra a tavola opportunamente seguita da rum misto ad acqua. Queste bevande contengono una dose di verità così forte che non si rivelarono abbastanza false da fare apparire allegro il povero Dagley: resero soltanto più loquace del solito il suo malcontento. Egli aveva anche assorbito troppi discorsi politici confusi: uno stimolante pericolosamente molesto per il suo conservatorismo di agricoltore che consisteva nel sostenere che tutto è brutto, ma che qualsiasi cambiamento probabilmente sarebbe peggiore. Era rosso in viso e i suoi occhi avevano un’espressione decisamente litigiosa mentre se ne stava immobile col forcone in mano, intanto che il suo padrone si avvicinava col suo passo disinvolto, con una mano nella tasca del pantalone e l’altra che faceva roteare un sottile bastone da passeggio.

«Dagley, brav’uomo» cominciò Mr Brooke, conscio di essere molto benevolo verso il ragazzo.

«Ah, bene, sono un brav’uomo, eh? Grazie, signore, grazie» disse Dagley con un’esplosione ironica e stizzosa che fece muovere dal suo posto Fag, il cane pastore, e gli fece rizzare le orecchie; ma avendo visto Monk che entrava nel cortile dopo avere gironzolato un po’ fuori, Fag si rimise a sedere con l’aria di essere in agguato. «Sono contento di sentire che sono un brav’uomo.»

Mr Brooke rifletté che era giorno di mercato e che probabilmente il suo buon fittavolo era stato a pranzo, ma non vide alcun motivo per non proseguire dal momento che poteva prendere la precauzione di riferire ciò che aveva da dire a Mrs Dagley.

«Il vostro piccolo Jacob è stato sorpreso ad ammazzare un leprotto, Dagley: ho detto a Johnson di rinchiuderlo per un’ora o due nella stalla vuota, solo per spaventarlo, sapete. Ma sarà riportato a casa presto, prima di sera: e voi sorveglierete soltanto un po’ la sua condotta e lo rimprovererete, non è vero?»

«No, non lo farò: mi venga un colpo se frusterò il mio ragazzo per fare piacere a voi o a chiunque altro, nemmeno se foste venti padroni invece di uno, e il ragazzo un delinquente.»

Le parole di Dagley produssero abbastanza chiasso da richiamare sua moglie sulla soglia del retrocucina – l’unico ingresso che fosse mai stato usato e che era sempre aperto tranne quando c’era cattivo tempo – e Mr Brooke, dopo avere detto dolcemente: «Bene, bene, parlerò con vostra moglie – non intendevo dire che dovevate picchiarlo, sapete», si voltò dirigendosi verso la casa. Ma Dagley, sempre più ostinato a “dire la sua” a un gentiluomo che gli voltava le spalle, si affrettò a seguirlo mentre Fag gli camminava goffamente alle calcagna schivando con fare scontroso alcuni piccoli e probabilmente benevoli approcci da parte di Monk.

«Come state, Mrs Dagley?» disse Mr Brooke in modo piuttosto precipitoso. «Sono venuto a parlarvi di vostro figlio: non voglio che lo prendiate a legnate, sapete.» Fece attenzione a parlare con molta chiarezza questa volta.

Sfinita dal lavoro, Mrs Dagley – una donna magra e sciupata dalla cui esistenza il piacere era così totalmente scomparso che non aveva neppure degli abiti per la domenica che potessero darle la soddisfazione di prepararsi per andare in chiesa – aveva già avuto un alterco col marito dopo il suo ritorno, ed era di umore triste e si aspettava il peggio. Ma suo marito la precedette nel rispondere.

«No, non prenderà delle legnate, che lo vogliate oppure no» proseguì Dagley alzando la voce come se volesse mettere a tacere l’avversario. «Non avete alcun diritto di venire a parlare di legnate in questo posto, quando non volete dare neppure un pezzo di legno per le riparazioni. Andate a Middlemarch a informarvi della vostra reputazione.»

«Faresti meglio a tenere a freno la lingua, Dagley,» disse sua moglie «e a non rovesciare la scodella. Quando un uomo, un padre di famiglia, è andato a spendere soldi al mercato e per di più si è conciato male per avere bevuto troppo, ha combinato già abbastanza guai per un giorno. Ma vorrei sapere che cosa ha fatto mio figlio, signore.»

«Lascia perdere che cosa ha fatto,» disse Dagley ancora più infuriato «è affar mio parlare, e non tuo. E parlerò. Dirò la mia – cena o non cena. E quel che dico è che sono campato sulla vostra terra come mio padre e mio nonno prima di te, e vi abbiamo gettato i nostri soldi, e io e i miei figli potremmo sdraiarci e marcire sulla terra al posto del concime che non abbiamo i soldi per comprare, se il re non dovesse mettere fine a questo.»

«Brav’uomo, siete ubriaco, sapete» disse Mr Brooke in un modo confidenziale ma non giudizioso. «Un altro giorno, un altro giorno» aggiunse voltandosi per andare via.

Ma Dagley lo affrontò subito, e Fag si mise a ringhiare alle sue calcagna intanto che la voce del suo padrone diventava più alta e più ingiuriosa, mentre anche Monk si avvicinò, silenzioso e dignitoso, restando all’erta. I braccianti sul carro si fermarono per ascoltare, e a Mr Brooke sembrò più saggio conservare un atteggiamento passivo che non tentare una fuga ridicola, inseguito da un uomo urlante.

«Non sono più ubriaco di voi, e neanche tanto» urlò Dagley. «Riesco a reggere bene l’alcol, e so quello che voglio dire. E voglio dire che il re metterà fine a questo, perché lo dicono quelli che sanno che ci sarà una riforma, e certi proprietari che non hanno mai agito bene nei riguardi dei loro fittavoli verranno trattati in modo tale che dovranno scappare a gambe levate. E a Middlemarch ce ne sono di quelli che sanno cos’è una riforma – e che sanno chi dovrà scappare via. Dicono: “So chi è, il vostro padrone”. E io dico: “Spero che abbiate ricevuto qualche beneficio dall’averlo conosciuto, io non l’ho avuto”. Loro dicono: “È uno spilorcio”. “Sì, sì” dico io. “È a favore della riforma” dicono. Questo è quello che dicono. E io ho capito che cosa era la riforma, si trattava di fare scappare a gambe levate voi e quelli come voi; e lanciandogli delle cose puzzolenti, pure. E adesso potete fare come vi pare, perché io non ho paura di voi. E fareste meglio a lasciare in pace mio figlio e a occuparvi dei vostri affari, prima che la riforma vi arrivi alle spalle. Ecco che cosa avevo da dire»b concluse Mr Dagley conficcando saldamente il forcone nel terreno, il che si rivelò un inconveniente quando tentò di tirarlo fuori.

Dopo questo ultimo gesto Monk cominciò ad abbaiare forte; per Mr Brooke fu il momento adatto per fuggire. Uscì dal cortile il più velocemente possibile, un po’ stupito per la novità della sua situazione. Non era mai stato insultato nella propria tenuta, ed era sempre stato propenso a considerarsi il beniamino di tutti (tutti noi tendiamo a farlo, quando pensiamo più alla nostra amabilità che a ciò che gli altri si aspettano da noi). Quando aveva litigato con Caleb Garth, dodici anni prima, aveva creduto che i fittavoli sarebbero stati contenti di vedere il proprio padrone prendere tutto nelle sue mani.

Certuni che seguono il racconto dell’esperienza di Mr Dagley potrebbero meravigliarsi della sua profonda ignoranza; ma nulla era più normale, a quel tempo, dell’ignoranza di un agricoltore della sua classe, malgrado la presenza di un rettore che era un vero gentiluomo nella parrocchia adiacente, di un vicario a portata di mano che predicava ancora meglio del rettore, di un proprietario che si era occupato di ogni cosa, soprattutto delle belle arti e del progresso sociale, e di tutti i luminari di Middlemarch che erano a sole tre miglia di distanza. Quanto alla facilità con cui i mortali sfuggono all’istruzione, prendete un’intelligenza media scelta tra quelle del fulgore intellettuale di Londra, e riflettete che cosa sarebbe stata quella persona adatta a essere invitata ai pranzi se avesse appreso una scarsa capacità di “fare due più due” dal pastore di Tipton, e leggesse con estrema difficoltà un capitolo della Bibbia perché certi nomi come Isaia o Apollo, malgrado glieli avessero fatti sillabare un paio di volte, gli restavano sempre difficili da pronunziare. Il povero Dagley talvolta leggeva qualche verso la domenica sera, e il mondo almeno non gli risultava più oscuro di quanto lo era stato prima. Alcune cose le conosceva a fondo; per esempio, le negligenze abituali nell’agricoltura, l’avversità del tempo, il bestiame e i raccolti di Freeman’s End – così chiamata, pare, con una certa ironia: a indicare che un uomo era libero di lasciarla, se voleva, ma che “al di là” di essa non gli restava nulla di disponibile sulla terra.

a. Significativamente, come si vedrà in seguito, la casa si chiama “fine dell’uomo libero”.

b. Qui come in pochi altri casi, nella traduzione va inevitabilmente perduto il tono e il carattere del linguaggio parlato, usato da alcuni personaggi che – come Dagley – appartengono ai ceti subalterni.

Middlemarch
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