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«Remi ha assolutamente ragione», disse Lazlo il giorno dopo al mattino presto, durante una chiamata su Skype. All’esterno, il cielo grigio scuro si sfogò in un acquazzone improvviso, la pioggia che batteva contro i vetri. Remi alzò il volume del tablet, per sentire meglio Lazlo. Dopo la fuga dalla locanda la notte precedente, avevano puntato verso Nottingham e avevano preso una suite in un albergo sotto un nuovo falso nome, riuscendo a farsi qualche ora di sonno prima della telefonata. «Testa di lupo è uno dei nomi con cui era noto Robin Hood», proseguì Lazlo. «Nelle primissime leggende, almeno. E la f mancante calza a pennello: se ci fosse stata fin dal principio, forse sarei riuscito a risparmiarvi l’inconveniente.»

«Ne sono sicuro», disse Sam. «Che mi dici dei cifrari della mappa?»

«Sì. La tana del lupo è Nottingham. È una cosa fantastica. Non so come abbia fatto a non pensarci prima.»

Selma si schiarì la gola, posandogli una mano sulla spalla. «Ecco cosa abbiamo trovato», disse. «Esiste un collegamento tra sir Edmund Herbert e Nottingham. Nello specifico, gli eventi relativi al suo fratellastro Roger Mortimer e alla regina Isabella, dopo che il marito di lei aveva abdicato in favore di loro figlio. Mortimer è stato arrestato e rinchiuso nel castello di Nottingham, e la regina mandata in esilio a Castle Rising.»

Mentre Remi guardava la mappa aperta sul tavolo, Sam chiese: «Dunque, che c’entra tutto questo con Robin Hood e il tesoro di re Giovanni?»

«Questa sì che è una bella domanda», rispose Lazlo. «Soprattutto se si tiene conto di quante leggende esistano su Robin Hood. Certo, alcune lo collocano ai tempi di re Giovanni, anche se solitamente in contrasto con lui. La nostra ricerca, però, inizia a dare frutti. La chiave della mappa è lì.»

«Dove?» chiesero Sam e Remi all’unisono.

«A Nottingham. O, per la precisione, da qualche parte nella città di Nottingham. Qualcosa che abbia a che fare con ’quattro camere’ e ’sotto la morte’. Ci sto ancora lavorando. Sempre che stia traducendo bene. Per via del flash, quella porzione del disco è poco chiara nella foto, sto solo formulando un’ipotesi sensata.»

Il telefono di Sam ronzò sul tavolo. Lui guardò lo schermo e rimase piuttosto sorpreso. «Nigel?» rispose attivando il vivavoce.

«Non ho molto tempo. Potrebbe tornare da un momento all’altro e ho la batteria quasi scarica.»

«Dove siete?»

«Non ne ho idea, so soltanto che siamo vicino Nottingham. Sono riuscito a liberarmi una mano e a prendere il telefono dalla tasca della giacca del tizio che mi fa la guardia. Lui... loro mi hanno parlato delle quattro camere. Gli ho detto che forse intendevano le quattro caverne. Perciò stiamo andando lì. Sempre che trovino il posto.»

«Le quattro caverne?»

«Tornano», sussurrò. «Andate dal professor Aldridge.»

Un bip segnalò la fine della conversazione.

Sam fissò il telefono per un attimo, poi guardò Selma sullo schermo del tablet. «Sentito?»

«Tutto», disse Selma. Le sue dita batterono furiosamente sulla tastiera del computer. «C’è un certo professor Aldridge all’università di Nottingham.»

Sam scrutò Lazlo. «Le quattro camere potrebbero essere le quattro caverne di cui parlava Nigel?»

«Potrebbero. Le grotte potrebbero essere la tana del lupo, anche se è risaputo che Robin Hood si nascondeva nella foresta di Sherwood.»

«Ho un contatto telefonico di Aldridge», intervenne Selma. «Vedo se riesco a trovarlo.»

«Perfetto», disse Remi. «Facciamogli una telefonata.»

 

 

Il professor Cedric Aldridge, un uomo canuto sulla settantina, li accolse nel suo ufficio presso il dipartimento di Storia.

Una volta che si furono seduti, Sam andò subito al dunque. «Spero che non le suoni bizzarro, ma l’ha contattata qualcuno oltre a noi per farle domande sul re Giovanni e il suo tesoro?»

«È buffo che me lo chieda», rispose il professor Aldridge. «Me ne ha parlato solo una persona in passato ed è stato parecchio tempo fa. Un mio ex studente di King’s Lynn. Nigel Ridgewell. Voleva sapere quante possibilità c’erano che la storia del tesoro di re Giovanni perduto nella paludi fosse un espediente per proteggere il tesoro da mani nemiche o qualcosa del genere. Non ricordo perché me lo avesse chiesto. Un libro, forse. Da allora, però, non si è più fatto vivo.»

Sembrava all’oscuro del furto degli appunti di Madge Crowley da parte di Nigel. Meglio così, pensò Remi. «E lei cos’ha risposto?»

«So di essere in minoranza, ma perché no?» disse il professore. «Sono il primo ad ammettere che non sappiamo tutto sulla storia. La si ricostruisce pezzo per pezzo attraverso fonti storiografiche. Solo quando abbiamo fortuna, un evento è talmente ben documentato che diventa un fatto innegabile. In questo caso, ciò che sappiamo con certezza è che il re è morto. Difficile dire se di dissenteria, come si ritiene, o di qualcos’altro. Secondo alcune narrazioni, si sarebbe staccato dalla carovana a causa della sua malattia, ma cosa sia accaduto in seguito alla carovana non è altrettanto chiaro. Da lì in poi, ogni evento è oggetto di speculazioni che si basano su racconti tramandati. Chi può dire, quindi, che qualcuno non l’abbia rubato dopo essersi inventato la storia delle paludi per depistare eventuali sospetti?» Corrugò la fronte, facendo una breve pausa. «Una volta eliminati i testimoni, ci si può inventare qualsiasi storia.»

«Ipotizziamo che questi racconti siano veri, che il tesoro non si sia perso nelle paludi...» Sam lasciò la frase in sospeso per vedere la reazione del professore.

«Intende, come ipotizzava Nigel?»

«Sì.»

«Sarebbe la scoperta storica del secolo.» Scrollò leggermente le spalle. «Ammesso che il tesoro venga individuato, ovviamente. Il sogno di ogni archeologo.»

Remi sorrise al professore. «Non il suo?»

«Il mio?» Le sorrise di rimando. «Non ci ho mai pensato granché. Il mio interesse è per gli studenti che frequentano la mia aula. Vedere le loro espressioni e ascoltare le loro teorie. Voi, però, non siete qui per parlare di me. Se ho capito bene, state cercando informazioni su Testa di Lupo o, come lo chiamiamo da queste parti, Robin Hood. Secondo alcuni storici, ha vissuto nello stesso periodo di re Giovanni; secondo altri, vari secoli prima o dopo. Da quando un mio collega, il professor Percival Wendorf, è andato in pensione, ho aggiunto al programma del mio corso la storia di Robin Hood. È una delle lezioni di maggiore successo. Gli studenti se ne tornano a casa con una conoscenza del Medioevo decisamente superiore, sfruttando la caccia a Robin Hood come scenario.»

Remi aveva sempre ammirato i professori capaci di stimolare l’interesse dei loro studenti. «Un corso che avrei scelto certamente anch’io. Era eroico come lo descrivono i film?»

«Bella domanda. Tutta la faccenda del rubare ai ricchi per dare ai poveri è leggendaria. Era più pirata che eroe, secondo Percy. Da qui il nome Testa di Lupo.»

«Che delusione», commentò Remi.

«Già. Probabilmente la verità è che uomini come lui erano semplici predoni.»

«Pirati di terra?» chiese Sam. «È possibile che lui, o qualcuno come lui, abbia organizzato il furto del tesoro di re Giovanni?»

«È di certo una teoria interessante. Un segreto del genere sarebbe complicato da mantenere. Solo che le leggende che si sono tramandate nei secoli tramite ballate o racconti da focolare sembrano basarsi su un fondo di verità, e lo stesso vale per Robin Hood. Sono più o meno tutti d’accordo sul fatto che il tesoro di re Giovanni sia sprofondato nelle paludi insieme agli uomini a cui era stato affidato. È quanto è accaduto in seguito a lasciare spazio all’immaginazione. Perché il tesoro non è mai stato trovato? In realtà, l’unica traccia risale a diversi secoli dopo, la diceria secondo cui sarebbe stato ritrovato da Robert Tiptoft, terzo barone di Tibetot.»

«Tibetot? Che diceria è?» chiese Remi.

«Il barone sarebbe entrato in possesso di una fortuna improvvisa e inattesa, forse proprio per aver ritrovato il tesoro del re nelle sue terre. Molti storiografi non vi attribuiscono grande importanza, però.»

«Torniamo a Robin Hood», disse Sam. «È possibile che ci siano indicazioni storiche sul suo conto che non rientrano nella visione comunemente accettata? Per esempio: se avesse dovuto rubare un tesoro, avrebbe avuto un posto in cui nasconderlo? C’è qualche esperto che saprebbe fare congetture al riguardo? Un posto con un nome tipo ’le quattro caverne’?»

«In questa zona, mi vengono in mente due esperti. Il più eminente è il professore in pensione di cui vi parlavo, Percy Wendorf. Ai tempi, ve l’avrei raccomandato senza esitazione, ma ora...»

«Ora?» lo incalzò Remi, domandandosi cosa non stesse dicendo.

«È solo che...» Si strinse leggermente nelle spalle, prima di incrociare lo sguardo di Remi. «Il mio amico è... era... un’enciclopedia ambulante sul Nottinghamshire e il Medioevo, compresi Robin Hood, i castelli, re Giovanni e be’... qualsiasi altra cosa. Ultimamente, però, Percy è... un po’ smemorato. Per questo è andato in pensione.»

Prima che Remi potesse commentare, Sam chiese: «E l’altro esperto?»

«Malcolm Swift. Certamente, un cultore della materia. Gli manca solo quel sapere oscuro di cui Percy sembrava sempre in possesso. Non esiterei a raccomandarvi anche lui. Dal momento che è più ben disposto nei confronti di Percy, però, l’ho invitato a unirsi a noi per farvelo incontrare di persona. Conoscendolo, forse avrei fatto bene a mandare qualcuno a prenderlo, perché come ho detto la sua memoria inizia a vacillare.»

Diede un’occhiata all’orologio e poi prese il cellulare. «Faccio una telefonata alla moglie. In teoria, Percy avrebbe dovuto incontrare prima lei e poi venire qui a piedi.» Chiamò. «Agatha, sono Cedric. Per caso, Percy è ancora lì...? Capisco. Che tipo di problema...?» A mano a mano che ascoltava, la sua espressione si fece accigliata. «No. Possiamo fare un salto... Nessun incomodo... Sì, ti chiamo appena siamo lì.» Chiuse la comunicazione, preoccupato. «A quanto pare, ha lasciato un messaggio alla moglie per dirle che avrebbe dovuto rivedere i suoi impegni. Un problemino.»

«Che tipo di problema?» chiese Sam.

«Non so altro. Non l’ha detto. Lei non è più riuscita a mettersi in contatto con lui. Non risponde al telefono e nemmeno ai messaggi.»

«Abbiamo un’auto. Saremmo felici di darle un passaggio», propose Sam.

«Ottimo. Grazie.»

Percy Wendorf viveva a una decina di minuti dall’università. Il professor Aldridge si sporse dal sedile posteriore, puntando un dito. «Poco più avanti. La prossima svolta.»

Al loro arrivo, però, un agente in divisa bloccava l’incrocio. «Spiacente, la strada è chiusa», disse a Sam attraverso il finestrino aperto. Purtroppo, la strada curvava e non si riusciva a vedere nulla tranne una densa nube di fumo nero che si arricciava sopra i tetti, prima di svanire tra le nubi scure che minacciavano altra pioggia.

«Cos’è successo?»

«Un incendio.»

«Stiamo cercando di metterci in contatto con un amico che abita lì. Può dirci quanto ci vorrà?»

«Non ne ho idea. Appena la situazione è sotto controllo, la strada verrà riaperta.»

Niente da fare, quindi. Sam si girò verso il professore. «Mi dispiace. Non abbiamo altra scelta, immagino.»

«C’è un sentiero pedonale che attraversa il parco e che dovrebbe farci avvicinare. Dubito che abbiano bloccato anche quello. E, se anche fosse, da lassù almeno vedremo cosa sta succedendo.» Indicò la strada successiva che risaliva la collina. Imboccarono un sentiero pedonale lastricato che passava tra due villette consentendo ai residenti della zona di accedere a un piccolo campo giochi situato sul lato opposto della strada rispetto alla casa di Percy che, guarda caso, era quella che bruciava. Diversi residenti si erano radunati nel parco per osservare i vigili del fuoco in azione. Si unirono anche loro. Dall’esterno la casa, un edificio di mattoni a due piani, sembrava relativamente integra e il fumo che si alzava era più chiaro di quando erano arrivati. Remi sperò che l’incendio fosse stato spento.

Un uomo alto e calvo, con un paio d’occhiali dalla montatura di metallo sottile, osservava i vigili del fuoco in disparte, su un lato. Aldridge lo indicò. «Ecco Percy.»

Pirati
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