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La vedova Laine era vecchissima e nodosa come gli alberi da frutto che circondavano la sua casa ai margini del bosco. Quando uscì ad accoglierli sulle scale della cucina, sembrava altrettanto fragile e delicata come un tarassaco sfiorito, con i capelli candidi che le circondavano come un'aureola trasparente il viso attraversato da un secolo o quasi di rughe.

 

Gli occhi limpidi testimoniavano tuttavia che c'erano pieghe anche dentro, pensò Münster, il quale fu il primo a stringerle la mano.

 

"Porca miseria ladra" chiocciò lei, allontanando con un calcio un gatto screziato che era venuto a strusciarsi. "Non vedevo così tanta gente dal giorno che ho compiuto novant'anni. Se volete il caffè dovrete prepararvelo da soli, perché io fra poco ho da fare il mio pisolino di metà mattina. Sono in pista dalle sei, sapete."

 

Münster annuì e spiegò che non ce n'era bisogno. Ma sul fatto che fossero in parecchi aveva ragione. Le tre auto erano arrivate più o meno tutte insieme. Bausen e deKlerk dalla stazione di polizia. Münster, Rooth, Stiller e Moerk da Wackerstraat, dove avevano smesso di interrogare i vicini appena avevano appreso della segnalazione della signora Laine.

 

"Ha visto quella macchina, dunque?" domandò deKlerk. "Dove? Ha parlato con me al telefono."

 

"Laggiù."

 

La donna puntò un indice ricurvo verso il campo che confinava con il bosco. Cinque poliziotti e un ex commissario fissarono in quella direzione. La stradina che conduceva alla casa della signora Laine era poco più di due solchi paralleli che si inoltravano fra i faggi e gli alti pioppi lievemente ondeggianti.

 

"Faccio sempre un giro con Ginger Rogers la mattina" spiegò lei a voce alta, in modo che sentissero tutti. "Ogni singola dannata mattina. Giù fino al mare e ritorno. Abbiamo bisogno di fare moto tutt'e due. Con qualsiasi tempo."

 

"Il suo cane?" domandò Bausen.

 

"Il cane, sì. Mi pare di conoscerti. Quattordici anni e altrettante razze. Certe volte devo trascinarla a casa di peso, è più pigra di un prete, porca miseria... adesso è già lì che ronfa davanti alla stufa."

 

"Ha sentito il comunicato di ricerca alla radio?" volle sapere l'ispettore Moerk.

 

La signora Laine assentì e si sistemò la dentiera con la lingua.

 

"Ascolto sempre il notiziario delle sette e mezzo. Ma adesso dovrete arrangiarvi da soli, non c'è che da seguire la strada. La macchina è ferma duecento metri nel bosco. Blu, come avete detto voi."

 

Münster le strinse nuovamente la mano e ringraziò. La signora Laine fece dietrofront, tornò in casa al caldo della stufa e si richiuse la porta alle spalle.

 

Stiller e Moerk avevano già un vantaggio di una ventina di metri e raggiunsero per primi l'auto. Si fermarono ad aspettare gli altri.

 

"È lei?" domandò Stiller.

 

"Credo di sì" disse Moerk. "Opel blu con targa..."

 

"È lei" confermò Münster. "Diavolo!"

 

Rooth aprì la portiera dalla parte del guidatore e guardò all'interno.

 

"Le chiavi sono nel cruscotto" constatò. "Qualsiasi cosa possa significare."

 

"Apri il cofano" lo pregò Bausen. "Controlliamo se il motore è ancora caldo."

 

Rooth s'infilò in tasca le chiavi, trovò la leva sotto il cruscotto e la tirò. Bausen sollevò il cofano e infilò la mano nel vano motore. Münster fece lo stesso.

 

"Non è freddo del tutto" disse Bausen. "Non può essere stata qui tutta la notte, in ogni caso. Tu che dici?"

 

"Un paio d'ore al massimo" valutò Münster. "Anche se non so quali conclusioni se ne possano trarre."

 

Rooth sbatté la portiera.

 

"All'inferno le conclusioni" disse. "Dicci che cosa dobbiamo fare, invece."

 

Münster osservò il resto del gruppo. In ognuno di loro vide la stessa inquietudine, la stessa tensione, gli stessi timori repressi che crescevano dentro di lui.

 

Non dimenticherò mai questa storia, pensò all'improvviso. Questa dannata mattina in questo bosco maledetto popolerà i miei incubi per il resto della mia vita. Se fosse un film, mi alzerei e lascerei la sala in questo preciso momento, non voglio esserci se...

 

DeKlerk si schiarì la gola e interruppe i suoi pensieri.

 

"Andiamo a cercarlo" disse e fece un gesto con il braccio. "Cominciamo con questo lato della strada. Teniamoci a quindici metri l'uno dall'altro, e procediamo diritto per dieci, quindici minuti. Poi facciamo lo stesso sull'altro lato nel caso non avessimo trovato... niente."

 

Girò lo sguardo in cerca di consenso. Alla fine lo ottenne da Bausen con un breve cenno del capo, seguito da un'imprecazione.

 

"Alright" disse Rooth. "Perché no? Come siamo messi con le armi? Se si dovesse..."

 

Il resto della frase rimase sospeso nell'aria fresca del mattino, mentre ognuno prendeva la propria arma di servizio.

 

"Io non ce l'ho" disse Bausen. "Ma me ne infischio."

 

"Fa' come ti pare" disse deKlerk in tono piatto.

 

"Ci mettiamo in marcia oppure volete stare qui a chiacchierare ancora per molto?" domandò Beate Moerk.

 

Con una certa difficoltà si disposero lungo la stretta stradina. Coprirono un tratto di circa cento metri e, al segnale di deKlerk e Münster dalle due estremità, si misero lentamente in moto inoltrandosi fra gli alberi.

 

"Cercate di mantenere il contatto visivo con quelli che vi sono più vicino" esortò deKlerk. "E avvisate subito se trovate qualcosa."

 

Münster guardò l'ora e girò intorno a un ceppo divelto.

 

Le otto e un quarto. Sentì una goccia di sudore freddo scivolargli piano lungo la tempia.

 

Ci vollero meno di cinque minuti, e fu Bausen a fare centro.

 

Dopo un breve tratto di pioppi e betulle, uscì in una radura di loglio e festuche. La scena che si trovò davanti lo costrinse a bloccarsi all'improvviso.

 

Davanti a lui, a pochi metri di distanza, c'era una fossa appena scavata. Non c'erano dubbi. La buca era lunga circa due metri e larga una sessantina di centimetri, e pareva una ferita aperta nel terreno. Non particolarmente profonda; la terra scavata era stata accumulata ordinatamente in una montagnola su uno dei lati e la vanga giaceva abbandonata nell'erba a poca distanza. Ma non furono queste cose a costringere Bausen a voltarsi e a vomitare la frugale colazione che era riuscito a consumare.

 

A circa un metro e mezzo dal punto dove si era fermato, c'era una testa.

 

Una testa di donna con i capelli scuri e la bocca spalancata, e due occhi altrettanto spalancati, che parevano fissarlo con una sorta di gelido stupore.

 

E con un sorriso assolutamente grottesco. Sangue e organi interni erano fuoriusciti dal collo raccogliendosi in una pozza scura, e nella mente di Bausen si formò una rapida - e altrettanto grottesca - associazione con un dessert che aveva consumato con Mathilde al Fisherman's Friend qualche settimana prima.

 

Sorbetto al limone e cioccolato con salsa di lamponi.

 

Forse fu per quello che vomitò.

 

Il corpo giaceva due metri più in là, proprio accanto alla vanga, e in una manciata di secondi Bausen capì cos'era successo.

 

Come Elizabeth Nolan fosse stata decapitata.

 

Poi scorse Van Veeteren.

 

Giaceva al margine opposto della radura. Steso sul fianco sinistro, con le ginocchia leggermente piegate, mani e braccia strette intorno al petto, come se fosse in posizione fetale. Doveva essersi allontanato di un breve tratto con le sue forze - due o tre passi almeno - se davvero era andata come credeva Bausen. E c'era una pistola nell'erba proprio accanto al braccio destro teso di Elizabeth Nolan. Sì, lo scenario era evidente.

 

Nell'attimo preciso in cui raggiunse Van Veeteren, Münster comparve da un'altra direzione.

 

"Santo Dio" gemette, e fissò Bausen, che si stava inginocchiando accanto al commissario. "Che cosa è...?"

 

Bausen alzò un dito facendo segno a Münster di tacere. Si chinò ancor più vicino al corpo immobile e lo tastò delicatamente con le mani sul collo e sulla testa.

 

Münster chiuse gli occhi e attese. Per un attimo gli parve che la terra sotto i suoi piedi fosse percorsa da un brivido, ma non ne rimase in nessun modo sorpreso.

 

Buon Dio, pensò. Ti prego...

 

"È vivo" esclamò Bausen. "Diavolo, sì, è vivo!"

 

Münster cadde in ginocchio accanto a lui. Non si accorse che Beate Moerk e Rooth erano comparsi alle sue spalle, ma vide che Van Veeteren stava aprendo gli occhi e stava tentando di muovere le labbra.

 

"Sta cercando di dire qualcosa."

 

Bausen si tolse la giacca e la stese con un gesto quasi di tenerezza sopra il commissario. Poi si chinò vicinissimo al suo viso e ascoltò. Dopo qualche secondo raddrizzò la schiena e guardò Münster.

 

"Che cosa dice?"

 

Bausen corrugò la fronte.

 

"Se ho sentito bene, dice di avere incontrato quindici persone sulla via del ritorno."

 

"Di avere...?"

 

"Sì, non chiederlo a me. Camminava lungo una spiaggia e ha incontrato queste persone, così sostiene. Quindici, per l'esattezza. Ma lascia stare, adesso, piuttosto chiama un'ambulanza, credo che sia stato colpito al torace. E già da un po'. Se deve cavarsela se la caverà, ma è in gravi condizioni."

 

Münster si raddrizzò, ma prima ancora che avesse fatto in tempo a prendere il cellulare, l'ispettore Moerk aveva già il pronto intervento in linea.

 

Lui alzò gli occhi e gli parve che il cielo quasi bianco fosse insolitamente vicino.

 

Lui telefonò il giorno del suo ventesimo compleanno e s'incontrarono una settimana dopo. Una sera d'ottobre pesante di pioggia con smog e foglie gialle sui marciapiedi; chiacchierarono per un'ora seduti a un ristorante sul Ku'damm, e quando lui se ne fu andato, lei non riusciva a credere che fosse davvero successo.

 

Che lui non fosse solo il personaggio di una fiaba malinconica o di uno strano sogno, una specie di figura indistinta alla quale non avrebbe creduto alla luce del giorno.

 

Tua madre, le aveva detto, voglio parlarti di tua madre.

 

Mia madre? Mami?

 

È così che la chiamavi? Mami?

 

Mami, sì. Mami, che ogni tanto spariva. E che poi era sparita, fin da...

 

Lo so, disse lui. Ma tu non sai che cosa le accadde quando scomparve del tutto, vero?

 

Bevvero del vino rosso. Un vino italiano molto costoso. Ordinarono anche del cibo, che lei non riuscì a mandare giù. Non più di qualche boccone. Lo stesso fece lui; non sapeva se appoggiare le posate solo perché voleva essere solidale con lei, ma in fondo non aveva nessuna importanza.

 

Chi sei? domandò. Perché...?

 

Ma lui si limitò a scuotere il capo, come per dissuaderla.

 

Poi cominciò a raccontare. Lentamente, con lunghe pause e sguardi meditabondi. Come se si sforzasse di ricordare la storia proprio mentre parlava. Come se tutto fosse stato dimenticato a lungo e con cura.

 

E quella sera lei morì, disse a un certo punto. Tu lo sapevi, che era morta?

 

Lei annuì in maniera piuttosto vaga. Lui intrecciò le mani e appoggiò il mento sulle nocche.

 

Morì durante le riprese di quel film. La tua Mami.

 

È così, che andò.

 

Un film? Mami era stata una stella del cinema.

 

Quindici anni prima, confermò lui. Era una grande attrice, ma successe una disgrazia. Una serie di singolari circostanze fece sì che la cosa venisse insabbiata.

 

Insabbiata? E perché?

 

E che genere di circostanze?

 

Circostanze, ripeté lui pensieroso, e tirò fuori un'antiquata macchinetta per rollare le sigarette. Mise tabacco e cartina in una scanalatura e si preparò due sigarette in silenzio. Ne offrì una a lei. Non era abituata a fumare, ma accettò.

 

Era un ruolo difficile, continuò lui. Lei era un'attrice molto dotata, era proprio sul punto di diventare famosa, quando successe la disgrazia.

 

C'era qualcosa negli occhi di lui mentre lo diceva. Lei non lo capì subito, ma solo più tardi. O forse non voleva capirlo subito.

 

Non sto dicendo tutta la verità, dicevano i suoi occhi, ma ti sto offrendo una verità con cui poter convivere. Tu questo lo capisci, non è vero? Non è sempre indispensabile mettere in discussione ogni cosa. La vita è un racconto.

 

Lei non rispose.

 

Favole e racconti sono il modo con cui ci facciamo un'idea del mondo, spiegò lui. Un'idea sopportabile. E se non facciamo delle nostre vite un racconto, rischiamo di andare in pezzi lungo il percorso. Mi segui?

 

Fece uno strano gesto con il braccio destro e la spalla. Come se sentisse male o volesse allungare un muscolo.

 

Lei disse che capiva e lui la fissò a lungo con espressione seria. Poi volle sapere come vivesse e che cosa facesse. Lei gli raccontò che studiava. Che era stata adottata quando aveva sei anni e che aveva vissuto bene. Che aveva avuto fortuna. Nonostante tutto.

 

Vide che la cosa lo rendeva felice, e tutt'a un tratto una vocina dentro di lei sussurrò che...

 

... che forse la sua vita non sarebbe stata altrettanto buona se Mami non fosse morta. Se lei non fosse finita in quell'istituto, così che Vera e Helmut potessero andare lì e scegliere proprio lei. Era un pensiero strano e cattivo, e lei lo scacciò.

 

Chi sei tu? ripeté. Come fai a sapere?

 

Un buon amico, spiegò lui. Ero un buon amico della tua mamma.

 

Dov'è la sua tomba?

 

Non c'è nessuna tomba. Le sue ceneri furono disperse in mare, così voleva lei.

 

Di nuovo, quel qualcosa nel suo sguardo. Lei non chiese più niente.

 

Dopo che lui se ne fu andato restò seduta un momento al tavolino. Attraverso la vetrina rigata di pioggia, lo vide salire a bordo di un'auto.

 

Un'auto rossa. Nuova di zecca, le parve. Una donna al volante. Gli diede un bacio sulla guancia e lui le poggiò per un istante una mano dietro la nuca.

 

Dopo che si furono allontanati, lei si pizzicò sul braccio due volte.