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Rooth fu svegliato dalle campane.

 

O almeno credette - per un secondo pieno di speranza - che fossero campane. Aveva sognato le proprie nozze con una donna dalla carnagione lievemente olivastra, Beatrice, che aveva parecchi tratti in comune con la sua compagna del liceo, Belinda Freyer, della quale era da sempre innamorato. Durante la cerimonia la chiesa traboccava di gente, si alzavano cori angelici e la sposa era vestita di bianco. Poi era squillato il telefono.

 

Cercò sul comodino a tentoni, accese una lampada e scoprì che erano solo le sei e un quarto.

 

Chi cavolo mi telefona alle sei del mattino? pensò.

 

E che cosa diamine significa sognare le campane?

 

Aveva lasciato il telefono sulla piccola scrivania in fondo alla stanza, si ricordò. Scostò di fretta le coperte e balzò in piedi. Quando sentì la voce di Münster e vide il proprio volto pallido come un lenzuolo nello specchio sopra la scrivania, si ricordò del dettaglio che gli ronzava nella testa da un paio di giorni.

 

La vista gli si annebbiò.

 

"Aspetta un attimo" disse a Münster.

 

Si piegò in avanti e si riprese.

 

"Che ti succede?"

 

"Scusa" disse Rooth. "Ho solo avuto un lieve capogiro. Devo essermi alzato troppo in fretta..."

 

"Capisco" disse Münster. "Sì, lo so che è prestissimo, ma abbiamo un problema."

 

"Ah, sì?" disse Rooth. "Un problema?"

 

"Van Veeteren non è tornato a casa a Maardam. Pare... sì, pare che gli sia successo qualcosa."

 

Rooth gettò di nuovo una rapida occhiata alla propria faccia. Non era una bella visione, ma in quel preciso momento non gliene importava un fico secco.

 

"Il commissario?" disse. "Non è tornato a casa? Che cosa intendi dire?"

 

"Bausen ha chiamato un quarto d'ora fa" continuò Münster. "Aveva parlato con Ulrike Fremdli giù a Maardam... è successo qualcosa, ormai è chiaro. È partito ieri subito dopo pranzo, abbiamo già chiamato gli ospedali e via dicendo. Van Veeteren è... è scomparso."

 

Rooth percepì come le sinapsi si cercassero a tentoni nel suo cervello. Scavando e frugando alla ricerca di collegamenti. Van Veeteren scomparso... e l'improvvisa intuizione che aveva avuto ma senza capirne il significato...

 

Poteva forse...?

 

Perché avrebbe...?

 

Il flusso dei suoi pensieri si interruppe. E finalmente capì.

 

"Per tutti i diavoli dell'inferno" disse Rooth. "Lasciami pensare un secondo... credo di aver scoperto qualcosa."

 

"Scoperto?"

 

Münster sembrava dubbioso.

 

"Sì."

 

"Sputa il rospo allora! Questa storia comincia ad assomigliare... non so più neanche a che cosa."

 

"Vieni da me fra un paio di minuti e ti spiego" disse Rooth. "Porca miseria!"

 

Dopo di che mise giù e controllò ancora una volta il colorito della sua faccia allo specchio.

 

Si lavò rapidamente e cominciò a vestirsi.

 

"Mi sento male" disse Münster. "Tutto questo è pazzesco. Non so nemmeno se sto sognando o se sono sveglio."

 

"Comunque sei vestito" disse Rooth. "Tanto vale che partiamo dal presupposto che siamo svegli tutti e due."

 

"Okay. Cosa hai scoperto?"

 

Rooth si abbottonò con cura la camicia e si mise le scarpe prima di rispondere. Münster lo osservava impaziente. Per un attimo pensò perfino di dargli una mano, poi lasciò perdere.

 

"La signora Nolan" disse Rooth. "C'è qualcosa che non quadra, in quella donna."

 

"E perché?"

 

"Te l'avevo detto, no, che c'era una cosa che mi ronzava in testa, e quando mi hai chiamato ho capito cos'era."

 

"Quando ti ho chiamato?"

 

"Sì. Mi sono precipitato giù dal letto per rispondere e mi si è annebbiata la vista. Ma ho fatto in tempo a vedere la mia faccia allo specchio. Era bianca... o grigia, piuttosto."

 

"Aha?" disse Münster. "E...?"

 

"E allora mi è venuta in mente la signora Nolan. Quando è uscita di corsa di casa, dopo aver trovato il marito morto nella vasca da bagno. Io e Moerk..."

 

"Sì, lo so" disse Münster. "Cosa c'era che non andava?"

 

Rooth si schiarì la voce.

 

"Il colore" disse.

 

"Il colore?"

 

"Il colore, sì. Svenne e rimase stesa lì sul prato. La guardai rapidamente prima di entrare in casa. Era paonazza."

 

"Aha?"

 

"Aha? È tutto quello che riesci a dire? Devo ammettere che un po' mi deludi. Come si fa a essere paonazzi quando si è svenuti? Quando svieni diventi pallido come un lenzuolo, accidenti!"

 

Münster lo fissò per qualche secondo. Rooth fece altrettanto.

 

"Perciò vorresti dire che...?"

 

"Voglio dire che stava recitando. Non era affatto svenuta. C'è qualcosa di strano in Elizabeth Nolan, e se Van Veeteren è sparito, può darsi che..."

 

"Santo cielo!" lo interruppe Münster, prendendo il cellulare dalla tasca. "Allora significa che..."

 

Non finì la frase. Tacque e fece il numero di Bausen. Il vecchio commissario rispose dopo un solo squillo, ma Münster fece in tempo a domandarsi perché avesse pensato a Bausen e non a deKlerk.

 

Forse perché il suo era l'ultimo numero che aveva chiamato venti minuti prima?

 

Oppure dipendeva da qualcos'altro.

 

Münster spiegò a Bausen che lui e Rooth stavano per andare in Wackerstraat e lo pregò di avvisare deKlerk e l'ispettore Moerk.

 

Bausen sembrava sorpreso quanto Münster.

 

Pensavano dunque che Van Veeteren fosse andato da Elizabeth Nolan prima di partire per Maardam?

 

Münster rispose che non aveva la minima idea di cosa potesse essere accaduto. Mentre parlava, si sentì invadere da un'ondata di gelo così potente che per un attimo credette di aver avuto un infarto.

 

Poi capì che era stato solo un fatto mentale - dopotutto non aveva nemmeno cinquant'anni -, salutò Bausen e chiuse la comunicazione.

 

Rooth aveva finito di vestirsi ed era pronto per uscire.

 

"Spiegami che cosa significa tutto questo" disse Münster. "Secondo te Jaan G. Hennan non si è suicidato. È questo che stai cercando di dirmi?"

 

"Non sto cercando di dirti niente" replicò Rooth. "Voglio solo andare a dare un'occhiata a casa dei Nolan. Hai intenzione di accompagnarmi oppure vuoi tornare a letto?"

 

"Alright" disse Münster. "Che cosa stiamo aspettando?"