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"Il mio nome è Rooth" disse l'ispettore. "Dell'anticrimine. Sono io che le ho telefonato."
Lo sguardo della donna era irrequieto. Era pallida e magra, e Rooth le avrebbe dato più di cinquant'anni se non avesse saputo la sua età. I capelli erano dello stesso colore di una specie di formaggio fresco che l'ispettore mangiava di solito a colazione, e pendevano in malinconiche ciocche ai lati del viso come due tende scolorite dai troppi lavaggi. Indossava un paio di jeans e una maglia grigia sformata. Rooth si sforzò di sorridere perché la donna non crollasse.
"Sì?" disse lei.
"Posso entrare?"
La donna esitò. La bocca ampia tremolò leggermente, ma non ne uscì nessun suono. Rooth tossicchiò un po' imbarazzato.
"Le ruberò solo pochi minuti" spiegò. "Non deve preoccuparsi."
"Non saprei..."
"Se è un problema, può rifiutare. Ma per noi sarebbe di grande aiuto, se potessi farle qualche domanda."
La donna si morse il labbro.
"Lei è un poliziotto?"
Rooth estrasse il portafogli e le passò il tesserino. Lei lo studiò attentamente, girandolo e rigirandolo.
"Ispettore dell'anticrimine?" disse lei. "Che significa?"
Rooth riprese il tesserino e rimise il portafogli in tasca.
"Se entriamo un minuto, glielo posso spiegare."
Lei lo fissò ancora per qualche secondo con sguardo incerto. Poi arretrò nell'ingresso e lo fece passare.
"Non capisco di cosa possa trattarsi. Io non ho più nessun contatto con lui. E oggi non sto neanche molto bene."
Rooth annuì e svoltò a destra nella cucina.
"Qui?"
"Non so se..."
La donna lo seguì e si accomodarono a un piccolo tavolo coperto da una tovaglia cerata a quadretti bianchi e blu. Lei spinse da parte una rivista e una tazza di tè lasciata a metà, decorata con un cuore.
"Elizabeth Hennan?" domandò Rooth. "È lei, giusto?"
"Sì" rispose la donna con riluttanza, come se fosse un segreto che avrebbe preferito non rivelare.
"Ha un fratello che si chiama Jaan Hennan? Jaan G. Hennan?"
La donna annuì.
"Sta pensando che è tutto così sgradevole, lo capisco. Ma le prometto che non abuseremo in alcun modo delle sue informazioni."
Perché ha così paura? si domandò l'ispettore.
"Io non lo vedo più e non so niente della sua vita."
Rooth assunse un'aria comprensiva e aspettò qualche secondo.
"Lei è la sua unica parente in vita, vero?"
"Sì."
La donna abbassò gli occhi sul tavolo. Rooth girò i pollici per qualche istante.
"Che cosa ha fatto?"
"Non ha letto i giornali?"
"Sta parlando... di quella faccenda della moglie? Era sua moglie, vero?"
"Barbara Hennan, sì" confermò Rooth. "È morta la settimana scorsa, è per questo che ci occorre qualche informazione su suo fratello."
"E perché? Io non voglio avere niente a che fare con lui."
"Signorina Hennan" disse Rooth in tono serio, piegandosi un po' verso di lei attraverso il tavolo. "Sarà tutto più facile, se eviterà di fare domande. Fa parte della procedura, dobbiamo raccogliere il maggior numero possibile di informazioni. Non è facile capire cosa sia rilevante e cosa no... capisce?"
La donna rifletté a lungo su queste parole, intrecciando e sciogliendo le mani in continuazione.
"Cosa volete sapere?" disse infine.
"Due cose" rispose Rooth in tono gentile. "Innanzitutto, qualcosa della vita di suo fratello. In che ambiente siete cresciuti, e così via... In secondo luogo, se siete rimasti in contatto dopo il suo ritorno dagli Stati Uniti."
"Posso rispondere prima alla seconda domanda?"
"Certamente."
"Non ho avuto nessun contatto con mio fratello da quando è ritornato. Tre settimane fa ho saputo che abitava a Linden, perché una... una conoscente mi ha telefonato per raccontarmelo."
"Una conoscente?"
"Sì."
"Come si chiama?"
Elizabeth Hennan esitò.
"Doris Sellneck. Era sposata con lui, più o meno venticinque anni fa. Il matrimonio durò cinque mesi."
Rooth prese nota.
"Ha il suo indirizzo e numero di telefono?"
"Preferirei che la lasciaste in pace."
"Alright" disse Rooth comprensivo. "Rispetteremo la sua volontà."
Non dovrebbe essere difficile trovare qualcuno con quel nome in una città come Linden, pensò.
"E suo fratello non si è mai fatto vivo con lei, da quando è tornato qui?"
"Naturalmente no."
Rooth rifletté.
"Ho quattro fratelli" disse poi. "Non siamo particolarmente legati, ma ci sentiamo al telefono almeno un paio di volte all'anno. Fra lei e suo fratello dev'esserci qualche problema serio."
Elizabeth Hennan non rispose.
"Non avete avuto nessun contatto nemmeno quando era negli Stati Uniti?"
La donna scosse la testa.
"Come mai?"
Elizabeth Hennan sciolse le mani e si studiò le palme. Un autobus si fermò davanti alla finestra della cucina; c'era una fermata proprio in quel punto, e un gruppo di scolari sciamò fuori. Le grida e le risate dei ragazzini si spensero in lontananza appena prima che lei rispondesse.
"Jaan e io non ci parliamo da ventisei anni."
"Ventisei anni?" esclamò Rooth. "Ma come si...?"
"Dal giorno in cui io ne compii diciotto."
"D'accordo" disse Rooth. "Ma perché?"
"Quel giorno me ne andai di casa."
"Aha?"
"Mia madre morì quando avevo quattro anni. Crebbi con mio padre e mio fratello... ma non ne voglio parlare, mi lasci in pace, non sto molto bene..."
La voce è cambiata, notò Rooth. Capì che stava per spezzarsi e cercò di assumere un atteggiamento comprensivo. Non gli veniva del tutto naturale, ma non aveva importanza, poiché Elizabeth Hennan non smetteva di fissarsi le mani.
"... mio fratello ha sei anni più di me. Mio padre era malato, non lo capii finché non fui adulta e lui finì in un istituto. Abusavano di me da quando avevo dieci anni. Ogni sera per cinque anni... lo capisce? Era questo, che voleva sapere? Bene, allora, adesso lo sa. Ernst Hennan e suo figlio si sono scopati la piccola Elizabeth ogni stramaledetta sera per cinque anni! Si sta ancora chiedendo perché non mando gli auguri di buon anno a mio fratello? Si chiede ancora perché non invito mai a cena lui e le sue dannate mogli? Ora mi lasci in pace, non ho più niente da dirle!"
Tacque. Era paonazza in viso. Rooth deglutì.
"Grazie" disse l'ispettore. "Grazie di avermelo raccontato... e mi perdoni per essere stato costretto a disturbarla. Posso... posso fare qualcosa per lei?"
Perché glielo chiedo? pensò confuso. Se posso fare qualcosa per lei. Non è un po' tardi?
Lei si scostò i capelli dalla faccia, lo fissò un istante e scosse la testa. Rooth si alzò, ma Elizabeth non fece nessun accenno a volerlo accompagnare alla porta.
"Arrivederci, allora, e grazie di avermi ricevuto."
"Arrivederci."
Quando si fu chiuso la porta alle spalle, si ritrovò con il sole in faccia. Non gli parve di esserselo meritato.
Giovedì Maarten Verlangen compì quarantasette anni. La prima a ricordarglielo fu sua figlia Belle alle sette e mezzo del mattino, quando gli telefonò svegliandolo. Gli cantò una canzoncina, gli fece tanti auguri e spiegò che doveva proprio scappare a scuola. Non aveva ancora fatto in tempo a comprargli il regalo, ma si sarebbero incontrati sabato, poteva aspettare fino ad allora?
Lui disse che andava benissimo e si riaddormentò.
La seconda persona che gli fece gli auguri non telefonò che alle tre e mezzo del pomeriggio. Verlangen si trovava nel suo ufficio in Armastenstraat da tre ore; aveva bevuto due birre, fumato una decina di sigarette e riflettuto su come affrontare quella maledetta storia di Barbara Hennan fino a farsi scricchiolare l'osso frontale.
Nonostante tutto, le risorse di un detective privato erano limitate - e lui non aveva alcuna intenzione di telefonare al commissario per discutere del caso o offrire il proprio aiuto. Sarebbe sembrato in qualche modo presuntuoso; ma se la proposta fosse arrivata da Van Veeteren, allora sarebbe stato tutto un altro paio di maniche.
Ma non successe. In quel caldo pomeriggio di giugno non ricevette nessuna telefonata. Fino a quando non chiamò Bertram Grouwer per fargli gli auguri.
Forse era proprio così, solo sua figlia Belle avrebbe sentito la sua mancanza quando avrebbe lasciato questo mondo. Bertram Grouwer, se non altro, sarebbe venuto al funerale. Chi si ricorda dei compleanni di solito si presenta anche ai funerali, riteneva Verlangen, ma non era del tutto certo che questa regola valesse anche nel caso di Grouwer. Anche lui compiva gli anni. Quarantasette, come lui, nello stesso giorno.
A parte questa coincidenza - oltre al fatto di essere stati compagni di classe alle superiori all'istituto Weiver - non avevano molto in comune.
Se non un divorzio e una particolare predilezione per l'alcol.
Grouwer aveva telefonato proprio per invitarlo a uscire. Anche lui quella mattina aveva ricevuto gli auguri dei figli (due maschi, quattordici e dodici anni) e lo trovava un po' seccante. Perché non vedersi quella sera e deplorare insieme l'insostenibile brevità della vita? Magari davanti a qualche birra?
Grouwer era giornalista freelance al Neuwe Blatt e gli piaceva parlare forbito. Verlangen rispose che gli pareva un'idea eccellente.
Iniziarono dal ristorante Kraus. Ordinarono una zuppa di pesce costosa ma ottima (almeno a detta di Grouwer), bevendo due bottiglie di Riesling e cognac con il caffè. Che cavolo (commento di Grouwer), gli anni si compiono una sola volta all'anno e ogni tanto è giusto prendersi un po' cura di sé.
Continuarono all'Adenaar's, dove bevvero qualche birra discutendo di donne. Negli ultimi sei mesi, Grouwer aveva frequentato una ragazza bellissima, alta e slanciata, ma una creatura complicata. Affascinante, fantastica a letto, ma un po' debole di nervi, a quanto pareva. Non gradiva nemmeno che lui andasse alla partita due volte la settimana o che fumasse il sigaro a colazione.
Verlangen si sentiva un po' alticcio quando lasciarono il locale e avrebbe preferito tornare a casa, ma Grouwer insisté per chiudere la serata al jazz club Vox in Ruyders Allé. Dopo una breve lotta interiore, Verlangen si arrese. Fuori del club si era formata una breve coda e prima di poter entrare furono costretti a trascorrere una ventina di minuti sotto una quieta pioggerella. La pausa consentì almeno a Verlangen di riacquistare una certa lucidità, per cui quando trovarono un angolo libero si presero entrambi un bel bicchiere di whisky. Ci voleva, per scacciare l'umidità dal corpo. Quattro musicisti di colore si stavano esibendo sul palco, il locale era affollato e fumoso, ma pochi minuti dopo Verlangen notò Jaan G. Hennan seduto a pochi metri di distanza. Era al tavolo con altre persone, ma non sembrava in loro compagnia. I posti liberi erano pochi, e ci si sedeva dove capitava.
"Porca miseria" disse Verlangen, e si accese una sigaretta.
"Eh?" fece Grouwer.
"Porca miseria" ripeté Verlangen. "Quello là è un assassino."
"Ma che cavolo dici?" esclamò Grouwer, guardandosi intorno.
Verlangen si rese subito conto che era stata un'uscita infelice, ma a volte era come se certe battute non si potessero trattenere. "Quello la è un assassino" era senza dubbio una di queste.
"Stavo solo scherzando" disse. "Alla tua!"
Grouwer non toccò il proprio bicchiere.
"Col cavolo che scherzavi" disse. "Chi intendevi?"
Verlangen bevve un sorso di whisky. Sono un idiota, pensò. Non si arrenderà finché non gliel'avrò detto.
"Devo andare in bagno" disse. "Scusami un momento."
Grouwer annuì.
"Nel frattempo cercherò di scoprire di chi parlavi. Se indovino, mi offri una birra. Altrimenti te la offro io."
Verlangen si alzò in piedi e si rese conto di essere sbronzo. Gettò un'occhiata in direzione di Hennan. Stava fumando, completamente assorbito dalle note di Take the A train.
"Maledizione!" disse e si fece strada verso la toilette.
Al suo ritorno, Grouwer aveva l'espressione di un gatto che si è mangiato un canarino.
"È quel tipo con la camicia a righe" disse, strizzando l'occhio con aria cospiratoria.
"Chi?" disse Verlangen, guardandosi nuovamente intorno.
Grouwer fece un cenno con la testa.
"Dietro di me. Proprio accanto al palco. Di fianco a quel donnone in rosso."
Verlangen scrutò in quella direzione e notò un tizio piccolo e magro sulla cinquantina, con i capelli neri ben pettinati e un paio di piccoli baffi inutili.
"Neanche per sogno" disse. "Mi devi una birra."
"Accidenti" disse Grouwer, poi prese per il braccio la cameriera che stava passando, ordinò due lager e una ciotola di noccioline.
"Adesso però devi dirmi chi è" insistette. "Se devo andare in bagno, voglio sapere se quello che sta pisciando di fianco a me è un assassino o no, accidenti. È il minimo che si possa pretendere."
Verlangen sospirò. Rifletté un istante mentre Grouwer lo fissava speranzoso. Vuotò il bicchiere di whisky.
Be', pensò. Che importanza può avere?
Era da poco passata l'una e mezzo quando Maarten Verlangen si buttò sul letto di casa sua. Malgrado avesse di gran lunga superato il limite delle dieci birre e avesse dormito poco più di mezz'ora, si svegliò pimpante come un fringuello.
Diavolo, pensò, e cominciò a cercare l'agenda degli indirizzi nel cassetto della scrivania. Come ho fatto a non pensarci?
Qualche minuto dopo trovò il numero. Chiamò, ma non rispose nessuno.
Alcuni si alzano e rispondono quando il telefono suona alle due di notte, altri no.