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Il rapporto richiesto dagli Stati Uniti arrivò via fax solo venerdì.

 

In compenso era inaspettatamente corposo: sei pagine fitte, redatte da un certo tenente Horniman del distretto di polizia di Denver. Van Veeteren ricevette i documenti poco dopo le dieci e si chiuse subito nel suo ufficio.

 

Non sapeva cosa aspettarsi, ma non certo quello che lesse.

 

Il rapporto si apriva con una serie di informazioni su Barbara Clarissa Hennan, nata Delgado. Veniva da una località dello Iowa, Clarenceburg, un buco di circa mille anime. Era la minore di otto figli, in una famiglia di fervidi credenti che apparteneva a un'oscura congregazione di cui Van Veeteren non aveva mai sentito parlare. The Sons and Daughters of the Second Holy Grail. Barbara aveva abbandonato sia la propria fede sia la famiglia fuggendo con un camionista qualche settimana dopo il suo sedicesimo compleanno. Poi si era spostata di città in città e di stato in stato per una decina d'anni; negli anni Settanta era entrata in un'altra strana setta e di lei si era persa traccia per un paio d'anni, che probabilmente la donna trascorse in California, secondo Horniman. Poi, verso il 1980, era ricomparsa a Denver, dove aveva lavorato qualche anno presso un istituto di bellezza, prima di incontrare Jaan G. Hennan.

 

Si erano sposati nell'autunno del 1984 e avevano abitato in un sobborgo di Denver fino alla primavera del 1987, quando erano emigrati in Europa. A parte qualche multa per eccesso di velocità e un'accusa, poi ritirata, per possesso di cannabis, la fedina penale di Barbara Hennan era pulita.

 

Lo stesso valeva per il marito, ma Van Veeteren capì che il tenente Horniman nutriva forti dubbi circa la sua onestà.

 

Hennan era arrivato a New York nell'autunno del 1979 con un permesso di soggiorno di tre mesi. L'inverno successivo era riuscito a ottenere un permesso di lavoro; aveva trovato alcuni impieghi a breve termine e si era occupato di una serie di affari a New York, nel New Jersey, a Cleveland e a Chicago. Nel 1982 era convolato a nozze con una certa Philomena McNaught e si era trasferito a Denver. Nell'estate dell'anno seguente la moglie era scomparsa durante un viaggio in macchina attraverso il Bethesda Park, sulle Montagne Rocciose; si sospettava che Hennan avesse a che fare con la sparizione, ma non c'erano prove e non venne mai intentata alcuna azione giudiziaria. Nel giugno del 1984, Philomena McNaught fu dichiarata morta e Hennan intascò un'assicurazione di quattrocentomila dollari. Sia la polizia di Denver (dal rapporto Van Veeteren intuì che Horniman aveva partecipato attivamente alle indagini) sia i detective della compagnia di assicurazioni avevano fatto di tutto per chiarire le circostanze della scomparsa della signora Hennan, ma senza riuscire a ricavare materiale sufficiente per incriminare il marito. Le nozze fra Jaan G. Hennan e Barbara Delgado vennero celebrate un mese dopo il versamento della somma da parte della compagnia di assicurazioni, e circa un anno più tardi Hennan aveva liquidato la propria società, la G. Enterprises, che si occupava principalmente dell'importazione di frutta e verdura in scatola dal Sudest asiatico. La coppia aveva abitato a Denver fino a quando non si trasferì in Europa nel marzo di quell'anno.

 

Van Veeteren lesse il rapporto due volte.

 

Poi si mise davanti alla finestra aperta e accese una sigaretta.

 

Incredibile, pensò. Assolutamente incredibile.

 

E ora ha intenzione di rifarlo.

 

Dopo pranzo anche Reinhart e Münster avevano letto il rapporto di Horniman. Si riunirono tutti nell'ufficio del commissario.

 

"Una cosa è certa" disse Reinhart riempiendo di tabacco la pipa. "In tutta la mia carriera non ho mai visto nessuno più sospetto di questo Hennan. Se non è colpevole, bacerò la terra su cui il commissario cammina. E questo vale anche per l'ispettore."

 

Münster ricordò la promessa del taglio delle unghie di Van Veeteren, ma non si azzardò a fare scommesse.

 

"È stupefacente" disse invece. "Ma con che coraggio osa...?"

 

Il commissario sprofondò nella sua poltroncina.

 

"È proprio quello il problema" sospirò. "Probabilmente Hennan osa qualsiasi cosa e sa maledettamente bene che l'onere della prova è nostro."

 

Reinhart annuì.

 

"In teoria è possibile far fuori un bel po' di mogli" commentò, "purché lo si faccia nel modo giusto. Come si chiamava quel re inglese? Enrico...?"

 

"Ottavo" disse Van Veeteren.

 

"Enrico VIII, sì. Anche se lui non puntava ai soldi dell'assicurazione, se ben ricordo. Voleva solo avere discendenti maschi, non ne sapeva nulla di genetica."

 

"E nemmeno aveva bisogno di preoccuparsi troppo di leggi e regolamenti e polizia giudiziaria" intervenne Münster. "Era un po' diverso."

 

"Perciò il sovrintendente vuole dire che G si preoccupa della legge?" si chiese Van Veeteren in tono acido. "Questa è nuova."

 

"Non che si preoccupa" disse Münster. "Ma che la conosce."

 

Reinhart accese la pipa.

 

"In ogni caso non dobbiamo compilare un elenco di sospettati" disse. "È già qualcosa. Allora, come procediamo? Lo mettiamo in stato di fermo? Mi sembra il minimo."

 

Il commissario si frugò nel taschino alla ricerca di uno stuzzicadenti, con aria cupa.

 

"Non ne sarei così sicuro" disse. "G ovviamente sa che prima o poi verrà fermato. È preparato ad affrontare la situazione, ci è già passato una volta, laggiù nel paese di Bengodi. Dobbiamo metterci in contatto con Horniman, forse c'è rimasto qualche altro elemento..."

 

"Non credo" disse Reinhart. "Ma posso fargli un colpo di telefono, se vuoi."

 

"Senz'altro" disse Van Veeteren. "La cosa paradossale è che questo rapporto sostanzialmente non cambia le nostre posizioni. Abbiamo ancora più chiaro che razza di tipo sia G, e novantanove giurati su cento sarebbero convinti della sua colpevolezza. Ma è del tutto inutile. In un tribunale, ciò che conta sono le prove, e sono queste che dobbiamo trovare. Le prove."

 

"Oltre ogni ragionevole dubbio" borbottò Reinhart soffiando fuori una nuvola di fumo. "Sembra un caso classico. O dovrei forse chiamarlo clinico?"

 

"Me ne infischio di come dovresti chiamarlo" disse il commissario. "Quello che dobbiamo fare è dimostrare che ha buttato la moglie nella piscina vuota. E dagli elementi in nostro possesso c'è un'alternativa più plausibile delle altre, non credete?"

 

"Un complice" disse Münster.

 

"Esatto. Dobbiamo trovare il bastardo che ha commesso il fatto al posto suo... oppure dobbiamo far saltare l'alibi del ristorante. Verlangen svolge un ruolo a dir poco ambiguo..."

 

"Forse dovremmo convincerlo a tacere" suggerì Reinhart.

 

"Non sarebbe impossibile" annuì Van Veeteren. "Ma non sarebbe giusto. Lui è importante per l'alibi... Certo che è strano... così sarebbe la vittima stessa a procurare l'alibi al suo assassino..."

 

"... e Verlangen ha tutto l'interesse che Hennan finisca dentro" aggiunse Münster. "Sì, è davvero strano."

 

"Gli dei si divertono a giocare" disse Van Veeteren gettando uno stuzzicadenti usato fuori della finestra. "Ma credo sarà difficile dimostrare che Hennan ha lasciato il Colombine per un'ora, con o senza Verlangen. Ricordiamoci che dobbiamo dimostrare che l'ha fatto, non solo che aveva la possibilità di farlo. E l'investigatore privato non è stato l'unico a vederlo."

 

Seguì qualche istante di silenzio.

 

"Non sono molte le incognite in questa equazione" disse Reinhart in tono riflessivo. "Abbiamo tutte le carte in mano, eppure..."

 

"Proprio per niente" lo interruppe il commissario, irritato. "In mano abbiamo una carta sola. Un jolly di nome Jaan G. Hennan, che si diverte a farsi beffe di noi."

 

"Alright" concordò Reinhart. "Probabilmente le cose stanno così. Quando hai intenzione di interrogarlo?"

 

Il commissario fece una smorfia.

 

"Presto."

 

"Lo spero" disse Reinhart. "Non sottovalutare la tua abilità. Magari crolla e confessa."

 

"Tu credi?" replicò Van Veeteren.

 

"No, ma non dovremmo metterlo sotto sorveglianza? Se non abbiamo intenzione di metterlo subito sotto torchio."

 

Van Veeteren si alzò per far capire che per il momento poteva bastare.

 

"Già fatto" disse. "Da ieri mattina gli ho messo un uomo alle calcagna."

 

"Ah, sì?" fece Münster. "E chi è?"

 

"L'agente Kowalski."

 

"Kowalski!" esclamò Reinhart. "Perché diavolo proprio Kowalski? Quell'uomo è discreto come... come un labrador in calore."

 

"Proprio per quello" disse Van Veeteren.

 

Reinhart rifletté un secondo.

 

"Capisco" disse poi.

 

Il medico legale Meusse si passò la mano sul cranio e si sistemò gli occhiali.

 

"Hai finito?" domandò Van Veeteren.

 

"Certo."

 

"E...?"

 

"Hm. C'era una cosa in particolare che volevi verificare, vero?"

 

"Esatto" disse Van Veeteren. "Sentiamo."

 

"Impossibile dare un responso preciso" spiegò Meusse. "Ma altrettanto impossibile escludere qualcosa. Le lesioni sono alquanto estese, dopo un tuffo del genere."

 

"Pensi che possa essere stata tramortita, prima?"

 

"Non lo escludo. Tutto qui. Comunque sia, si è schiantata a testa in giù."

 

"Sarebbe stato complicato spingerla in modo che cadesse così?"

 

"Niente affatto. Soprattutto se era incosciente."

 

"Capisco" disse Van Veeteren. "Qualcos'altro?"

 

"Cosa vuoi sapere? Grado di ubriachezza? Contenuto dello stomaco?"

 

"Questo lo so già."

 

"Forse una cosa" aggiunse Meusse, sfogliando nel raccoglitore che aveva davanti a sé sul tavolo. "Aveva avuto un figlio."

 

"Un figlio?" ripeté Van Veeteren.

 

"Sì" disse Meusse. "Solo uno, probabilmente. Magari ti interessa."

 

"Aha?" ripeté Van Veeteren. "Sì, forse. Altro?"

 

Meusse si strinse nelle spalle.

 

"Certamente. Hai tutta la relazione qui dentro. Prego, no, non occorre che mi ringrazi."

 

Avrei dovuto offrirgli una birra, si rese conto il commissario, e lasciò l'ufficio.

 

Un figlio? si chiese rientrando nel suo ufficio. Il rapporto di Horniman parlava di un figlio?

 

Lo rilesse per la terza volta. Niente figli.

 

Non avrebbe dovuto riportare un fatto del genere? si domandò, ma non fece in tempo a farsi un'opinione precisa. Si accorse che erano già le quattro passate, e che era ora di raggiungere la sala riunioni per il briefing.

 

Briefing dopo due giorni di lavoro sul caso Hennan.

 

Il caso G.

 

Non gli piaceva chiamare il caso in quel modo, ma sapeva che sarebbe andata così. Mentre erano in corso le indagini e in futuro.

 

Il caso G.