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Fu svegliato dal telefono. Per un attimo non capì dove si trovava, poi avvertì una fitta di dolore alla schiena e si rese conto di aver dormito sul divano in ufficio.

 

Guardò l'ora. Le otto meno un quarto. Si trascinò faticosamente fino alla scrivania e rispose. Era Reinhart.

 

"Leggi il Neuwe Blatt?" domandò l'ispettore.

 

"No" rispose Van Veeteren. "E tu?"

 

"Quasi mai" disse Reinhart. "Oggi sì, però. Per caso mentre correvo sono passato davanti a una locandina."

 

"Mentre correvi?" disse Van Veeteren.

 

"Jogging. Vado sempre a correre il sabato mattina. Dovresti farlo anche tu."

 

"Correre?" gli fece eco il commissario.

 

"Anche quello, forse" disse Reinhart. "No, mi riferivo al fatto che dovresti leggere il Neuwe Blatt di oggi. Parlano di Hennan."

 

"Eh? E perché ne...?"

 

"Una pagina intera. Firmata da un certo Grouwer. Molto ben informato. È evidente che c'è una talpa."

 

"Una talpa?" disse Van Veeteren, cercando di raddrizzare la schiena. "Che diavolo stai dicendo? Lavori forse per i servizi segreti?"

 

"Procurati quel giornalaccio e leggi tu stesso" lo esortò Reinhart. "Ti fermi in centrale?"

 

"Credo di sì" disse il commissario.

 

"Mi faccio una doccia e arrivo al massimo fra un'ora. Così potremo discutere della faccenda."

 

Riattaccò. Il commissario fissò il vuoto per qualche secondo con la cornetta in mano. Poi fece il numero dell'agente di guardia e chiese che gli portassero una copia del Neuwe Blatt nel suo ufficio.

 

Poi imitò Reinhart e andò a farsi una doccia.

 

Reinhart aveva ragione. In prima pagina un titolo in grassetto recitava:

 

OMICIDIO PREMEDITATO A LINDEN?

 

Con il punto interrogativo, almeno, pensò il commissario rinfrancato. Già nel cappello si facevano i nomi di Barbara Hennan e del marito. Van Veeteren andò a pagina cinque, che era interamente dedicata al caso.

 

L'incidente avvenuto in Kammerweg a Linden del quale abbiamo riferito la scorsa settimana potrebbe essere invece un delitto architettato con particolare astuzia.

 

Così stava scritto sotto una grande foto di Villa Zefyr, con il trampolino che s'intravedeva fra i rami. Era semplicemente una foto scattata dall'altro lato della strada, constatò Van Veeteren. Cercò di non badare allo stile pedestre e proseguì nella lettura.

 

Era proprio come gli aveva preannunciato Reinhart. Estremamente ben informato.

 

La macabra scena della piscina era riferita in maniera molto particolareggiata e credibile. Quindi veniva dedicato ampio spazio alla faccenda dell'assicurazione. Jaan G. Hennan, si diceva, aveva stipulato una cospicua assicurazione sulla vita della sua giovane moglie americana, un mese prima che la donna venisse trovata morta nella piscina. Il direttore della F/B Trustor, Kooperdijk, esprimeva forti dubbi circa l'onestà di Hennan e si augurava che la polizia riuscisse il più presto possibile a citarlo in giudizio. Che si trattasse di una truffa, o di qualcosa di peggio, l'autore dell'articolo lo dava per scontato.

 

Verso la fine del pezzo si svelava che Hennan aveva dei precedenti e che negli Stati Uniti si era occupato di traffici illeciti per quasi dieci anni. In chiusura, Grouwer sottolineava l'importanza che la polizia giudiziaria di Maardam si decidesse a fornire informazioni esaurienti sul caso.

 

La polizia aveva qualcosa da nascondere? ci si domandava retoricamente. Perché non c'era stato ancora nessun fermo? Quando si sarebbe tenuta la prima conferenza stampa? In fondo c'era un assassino in libertà.

 

Non si diceva esplicitamente che l'assassino si chiamava Jaan G. Hennan, ma anche un bambino l'avrebbe colto fra le righe.

 

Van Veeteren bevve due tazze di caffè mentre leggeva l'articolo. Cercò anche di mangiare un tramezzino al formaggio e peperoni e una malinconica foglia d'insalata, ma non ci riuscì.

 

Ecco, pensò. Abbiamo contro pure i giornalisti. Adesso comincia il circo.

 

La supposizione di Van Veeteren era corretta. Proprio in quel momento squillò il telefono. Era un redattore vagamente irritato del Telegraaf, un certo Aronsen. Van Veeteren spiegò che stava per cominciare un importante interrogatorio e che in giornata avrebbe rilasciato un comunicato stampa.

 

"L'avete portato lì?" domandò Aronsen.

 

"Certamente" rispose il commissario senza scomporsi.

 

Chiuse la conversazione e chiamò il centralino. Ordinò di non passare nessuna chiamata della stampa nelle ore successive, poi andò a lavarsi i denti.

 

Quando fece ritorno, era comparso Reinhart.

 

"Bella storia, eh?" disse con una smorfia.

 

"Molto bella" disse il commissario. "Ho promesso una conferenza stampa prima di mezzogiorno. Ti senti abbastanza in forma per organizzarla?"

 

"Nulla potrebbe farmi più piacere" assicurò Reinhart. "Dammi una decina di minuti e una tazza di caffè nero. Dove diavolo avrà preso le informazioni?"

 

Il commissario scosse il capo.

 

"Non ne ho la più pallida idea. In quanti siamo a saperlo?"

 

Reinhart contò mentalmente.

 

"Sei, credo. Oltre a qualche agente con informazioni frammentarie. Ma mi sembra strano che..."

 

"Maledizione!" lo interruppe Van Veeteren. "È ovvio! Verlangen! È stato quel ficcanaso a spifferare tutto in giro. Puoi chiamarlo, quando avrai finito il balletto con la stampa?"

 

"Lo faccio subito" disse Reinhart. "Probabilmente hai ragione. Non mi stupirei se fosse stato lui. Credo... credo che ora la situazione sia cambiata."

 

"In che senso?"

 

"Se c'è un assassino a piede libero e la gente sa come si chiama, tutti chiederanno che facciamo qualcosa."

 

"Tu dici, ispettore?" sospirò Van Veeteren. "Sì, forse hai ragione. Tanto vale fare subito una telefonata all'ufficio del procuratore... prima che siano loro a chiamarci... di solito dà un'impressione positiva."

 

"Credi davvero che leggano il Neuwe Blatt?" domandò Reinhart.

 

"Magari sono fuori a fare jogging" disse il commissario.

 

Reinhart accennò un sorrisetto storto.

 

"Okay. Chiamali. Quando hai intenzione di affrontare nuovamente l'assassino?"

 

Van Veeteren si stirò la schiena un paio di volte.

 

"Male?"

 

"Il divano."

 

"Te la sei cercata. Allora?"

 

"Non so di preciso" disse Van Veeteren. "Pensavo di proseguire stamattina, ma penso che rimanderò di qualche ora. Vuoi partecipare?"

 

"Intendi al tavolo o dietro il vetro?"

 

"Al tavolo" disse Van Veeteren. "Potrebbe essere interessante sottoporlo a un po' di fuoco incrociato."

 

"D'accordo" disse Reinhart. "Conta pure sulla mia presenza."

 

Poi uscì e Van Veeteren fece il numero dell'ufficio del procuratore.

 

Dopo aver compilato e diffuso il comunicato stampa - cinquantacinque parole che dicevano molto poco rispetto a quanto già pubblicato dalla stampa, oltre all'annuncio della conferenza stampa di lunedì - Reinhart telefonò al Neuwe Blatt e si fece dare il numero di casa di Bertram Grouwer.

 

Grouwer non era ancora del tutto sveglio, a giudicare dalla voce, ma non svelò la propria fonte. Reinhart gli chiese se per caso non fosse Maarten Verlangen, e Grouwer riattaccò.

 

Maledetto pennivendolo, pensò Reinhart, che non aveva ottimi rapporti con il quarto potere. Stai facendo il teatrino, e pure male.

 

Verlangen non sembrava più sveglio di Grouwer, almeno non prima di aver capito bene di che cosa si trattasse.

 

No, non aveva ancora letto i giornali. Però sì, ricordava di aver fatto quattro chiacchiere con il suo amico Grouwer giovedì sera. Erano stati fuori a festeggiare i loro compleanni, che cadevano nello stesso giorno, e avevano bevuto uno o due bicchieri.

 

"Quando pensi di poter essere qui?" volle sapere Reinhart. "Fra dieci minuti? Abbiamo bisogno di parlare con te."

 

Non sapeva se ne avessero davvero bisogno, ma non aveva certo intenzione di lasciare che un farabutto dalla lingua troppo lunga se ne stesse a poltrire a letto in un sabato mattina di fine primavera come quello. Al diavolo!

 

Verlangen promise con una punta di rimorso nella voce che si sarebbe mosso subito e che sarebbe arrivato alla centrale entro un'ora.

 

Okay, pensò Reinhart. Riattaccò e accese la pipa. Se trovo Heinemann, ti potrà interrogare tutto il giorno!

 

Van Veeteren aveva avuto a che fare con il procuratore Silwerstein diverse volte e sapeva che non gradiva essere chiamato per questioni di lavoro in un sabato libero. Preferiva giocare a golf, cosa che ribadì appena varcata la soglia. Van Veeteren spiegò che, malgrado non si dedicasse a quel genere di passatempo, cercava per quanto possibile di evitare di lavorare durante il weekend.

 

Ma ora la situazione era diversa. Promise di essere breve. Offrì a Silwerstein una tazza di caffè e in dieci minuti gli illustrò la questione. Al termine chiese al procuratore se facesse parte della fedele cerchia di lettori del Neuwe Blatt.

 

"Ovviamente no" dichiarò Silwerstein senza esitazione. "Perché me lo domanda?"

 

Van Veeteren gli passò il giornale e il procuratore lesse l'articolo, le sopracciglia inarcate e la mascella cascante.

 

"Capisco" disse quando ebbe finito. "Lo stato di diritto impone... Perché avete fatto trapelare queste cose?"

 

"C'è stata una fuga di notizie" disse il commissario. "Le informazioni non arrivano da noi."

 

Il procuratore si tolse gli occhiali.

 

"E da chi arrivano, allora?"

 

Van Veeteren spezzò uno stuzzicadenti e guardò fuori della finestra. Silwerstein sospirò e si arrese.

 

"Ho capito. E l'impianto probatorio? Regge?"

 

"Difficile dirlo" rispose Van Veeteren. "Da come stanno le cose al momento, no. Ma finora lo abbiamo interrogato in modo un po' più approfondito solo una volta."

 

"Lui nega?"

 

"Sì. E continuerà a farlo."

 

"Sicuro?"

 

"Ci scommetterei un campo di golf."

 

Silwerstein tacque.

 

"Non possiamo aspettarci un accordo. Non in un caso come questo."

 

"Sembra piuttosto evidente che sia lui il colpevole. O no?"

 

"Non ci sono molti dubbi" confermò Van Veeteren. "Avrei preferito lavorare con la massima discrezione più a lungo, naturalmente, ma dopo quell'articolo..."

 

"Capisco" lo interruppe Silwerstein. "Adesso è da voi?"

 

"Da ieri sera."

 

"Che cosa volete? La custodia cautelare?"

 

"Lei che ne pensa?" ribatté il commissario, ripiegando il giornale.

 

Silwerstein rifletté un momento e guardò l'ora.

 

"Non mi piace giocare troppo d'anticipo" disse. "Volete trattenerlo?"

 

"Il suo nome è sul giornale" disse il commissario. "Si solleverebbe un polverone se tornasse in libertà."

 

"Mmm... sì" disse il procuratore, grattandosi sotto il naso. "Devo studiare più a fondo il caso. Potrei concedervi altre quarantott'ore, fino a martedì sera... per allora dovreste avere in mano elementi meno vaghi."

 

"Faremo il possibile" promise il commissario.

 

L'ispettore Reinhart intendeva occuparsi di persona del colloquio con Maarten Verlangen. A prescindere dall'aspetto squisitamente inquisitorio, voleva approfondire meglio un paio di punti. E Heinemann avrebbe di sicuro fatto buon uso del suo sabato libero.

 

Verlangen entrò nella stanza di Reinhart con l'aria del peccatore penitente. Appariva stanco e trasandato, forse coi postumi di una sbronza.

 

"Mi dispiace" esordì. "Non era mia intenzione..."

 

"Ti dispiace?" disse Reinhart. "Hai sabotato il nostro lavoro. Se Jaan G. Hennan verrà rilasciato, dovrà ringraziarti in ginocchio."

 

"Eh?" fece Verlangen.

 

"Se Hennan verrà rilasciato, dovrà..."

 

"Sì, sì, ho sentito" disse Verlangen. "Ma non è possibile, in fondo ho raccontato solo come stavano le cose, e..."

 

"Siediti" lo interruppe Reinhart. "Puzzi di alcol."

 

Verlangen si sedette.

 

"Ieri sera ho fatto un po' tardi. Io..."

 

"Anche ieri? Ne avrai approfittato per raccontare tutto a qualche altro pennivendolo."

 

Verlangen scosse il capo, gli occhi fissi sul pavimento.

 

Povero diavolo, pensò Reinhart all'improvviso. È proprio ridotto male.

 

"Tirati su" disse. "Voglio parlare con te di un paio di cose che non hanno nulla a che fare con l'articolo. Stai ancora smaltendo la sbornia? Hai bisogno di un caffè?"

 

"L'ho già preso" disse Verlangen. "Mi dispiace terribilmente... di cosa volevi parlare? Vorrei fare in fretta, devo incontrare mia figlia tra poco."

 

"Vedremo di fare il possibile" disse Reinhart.

 

"Grazie" disse Verlangen.

 

"Barbara Hennan. È di lei che volevo parlarti."

 

"E perché?"

 

"Dobbiamo cercare di chiarire perché si sia rivolta a te. Avrà pur avuto un motivo... forse aveva intuito che stava tramando qualcosa contro di lei. Tu che ne pensi?"

 

Verlangen corrugò la fronte.

 

"Non saprei" disse. "Anch'io ci ho pensato, ma lei non ha voluto spiegarmi di cosa si trattasse... il motivo per cui dovessi pedinarlo."

 

"Questo lo sappiamo" disse Reinhart. "Ammettiamo che avesse paura di qualcosa, e guarda com'è andata a finire... ti sembra che possa quadrare? Ti ha dato l'impressione che temesse qualcosa?"

 

Verlangen prese dalla tasca un pacchetto di sigarette sgualcito.

 

"Che avesse paura? No, non penso. Ha sempre mantenuto un atteggiamento molto formale, controllato. L'ho trovata una donna enigmatica."

 

"Enigmatica?"

 

"Sì."

 

"Che cosa hai pensato? Ti sarai pur fatto un'idea."

 

Verlangen accese una sigaretta.

 

"No, in realtà nessuna" disse. "Certo, pensavo che si trattasse della solita vecchia storia. Infedeltà."

 

"Quindi avresti dovuto controllare se Hennan si vedeva con un'altra donna?"

 

"Sì. Benché..."

 

"Sì?"

 

"Benché nulla nel suo comportamento lo facesse pensare... era solo una supposizione. È quasi sempre così."

 

"Capisco" disse Reinhart. "E Hennan non ha incontrato nessun'altra donna nel periodo in cui lo hai sorvegliato?"

 

"No."

 

"Per quanto tempo lo hai pedinato?"

 

Verlangen si strinse nelle spalle.

 

"Solo due giorni. Mercoledì e giovedì. Una monotonia spaventosa... tranne la sera di giovedì, ovviamente."

 

"Che cosa faceva?"

 

"Andava nel suo ufficio in Landemaarstraat, ci rimaneva tutto il giorno e poi andava a casa."

 

"Nient'altro?"

 

"No."

 

"Ha incontrato qualcuno?"

 

"Non ho notato nessuno. Potrebbe aver ricevuto visite in ufficio, ma non credo."

 

"E a pranzo?"

 

"È uscito a mangiare solo mercoledì... da solo."

 

"Ottimo" disse Reinhart con una certa delusione. "Ed era solo anche giovedì sera al ristorante?"

 

"Sì" confermò Verlangen. "Per quanto ne so, ha parlato solo con me."

 

"Per quanto ne sai?"

 

"Ha parlato solo con me" si corresse Verlangen.

 

Reinhart fece un sospiro.

 

"Dannazione" disse. "Ti è venuta qualche idea dall'ultima volta che ci siamo visti?"

 

Verlangen fumava e rifletteva.

 

"È stato lui" disse infine. "Sono sicuro che è stato Hennan a ucciderla, ma non so come. L'unica possibilità è che avesse un complice... non vedo altra soluzione."

 

Reinhart ruotò la sedia di lato e si mise a fissare il soffitto. Rifletté un istante e tornò nella posizione di partenza.

 

"No" disse. "Anche noi non ne vediamo altre. Se ci dici dove possiamo trovare pure il complice, ti perdoneremo la storia del giornale."

 

Verlangen guardò l'ora.

 

"C'è altro?" domandò con cautela.

 

"Per il momento no" disse Reinhart. "Devi incontrare tua figlia, hai detto?"

 

"Sì."

 

"Quanti anni ha?"

 

"Diciassette."

 

"Posso darti un consiglio?" disse Reinhart.

 

"Eh? Sì, naturalmente."

 

"Va' a casa a darti una rinfrescata, prima. Una ragazza di diciassette anni non vuole farsi vedere con qualcuno che ha l'aria di aver dormito sulla panchina di un parco."

 

Verlangen promise di seguire il consiglio dell'ispettore e scivolò fuori della porta. Reinhart scosse la testa e aprì la finestra.

 

Dieci secondi dopo telefonò il commissario.

 

"Hai finito?" chiese. "Potremmo parlare con Hennan."

 

"Ho finito" confermò Reinhart. "Un minuto e sono lì."