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Rimosse alcune badilate di terra in silenzio. Ormai la schiena gli faceva male a ogni movimento, ma visto quanto lo aspettava non se ne curò. Finché sento dolore sono vivo, pensò. Sudava copiosamente, ma non voleva levarsi la giacca. Immaginava che sottoterra facesse freddo, e probabilmente era quello a trattenerlo.
"Non era necessario coinvolgere Verlangen" disse. "Poteva funzionare comunque."
"Stronzate. Jaan voleva fargliela pagare... e poi era necessario."
Intuì che era ansiosa, seppur controvoglia, di convincerlo su questo punto. Come se sentisse il bisogno di giustificare le proprie azioni.
"E perché?"
"Per gettare fumo negli occhi a voi. Jaan G. Hennan vuole uccidere la moglie, lei sospetta qualcosa e si rivolge a un investigatore privato, il quale non riesce a salvarle la vita. La polizia avrebbe spiegato così il caso, e infatti andò proprio in questo modo. Vi venne mai il sospetto che la vittima potesse essere qualcun altro?"
Lui non rispose, ma un senso di vergogna gli divampò dentro. Ha ragione, pensò. Nessuno ci ha mai pensato. Né io né nessuno dei miei colleghi. Solo un investigatore privato alcolizzato, quindici anni dopo. Ecco la verità.
Non molto onorevole.
Ben mi sta, si disse. Questo finale è la degna conclusione di tutto questo schifo. Ci manca solo che si metta a piovere.
Ma le previsioni per quel mattino di settembre non davano pioggia. Almeno non per il breve tempo che ancora gli restava. Ormai era giorno fatto. Ma il sole era nascosto dietro le nubi e non sarebbe comparso prima di mezzogiorno. E allora sarebbe stato già tutto finito.
Solo un pallido cielo ignaro di tutto, dunque. Niente vento, nessun segnale. Lui scavò qualche altra badilata in silenzio. Pensò che l'odore della terra gli piaceva.
"Chi era Liston?" domandò lei all'improvviso.
"Liston?"
"Sì. Verlangen parlava sempre di un certo Liston. Che secondo lui aveva preso dei soldi da mio marito."
Van Veeteren raddrizzò la schiena e si appoggiò con i gomiti sull'impugnatura della vanga.
"Non ne ho idea."
"Sicuro?"
"Certo. Come vi siete incontrati?"
"Chi?"
"Tu e Hennan."
Lei esitò qualche secondo. Poi decise di rivelargli anche questo.
"Era il 1980. Un paio d'anni prima che lui si sposasse con Philomena."
"Capisco. Dunque fu un finto matrimonio fin dall'inizio?"
"Finto matrimonio?" La donna scoppiò a ridere. "Sì, forse potremmo definirlo così. Lei era un'oca spaventosa, avrebbe dovuto essere grata anche solo del fatto di essersi sposata."
"Non avete mai provato rimorsi?"
Scoppiò a ridere di nuovo.
"Rimorsi? Che paroloni. Nessuno rimpianse Philomena McNaught, mi creda. Noi abbreviammo solo la sua sofferenza sulla terra di quaranta o cinquant'anni... E quanti crede che andranno al funerale di Verlangen?"
Lui notò che era tornata a dargli del lei. Riprese a scavare e si ricordò di una cosa.
"Un figlio" disse. "Aveva un figlio, la donna che hai ucciso, lo sapevi?"
Il suo sorriso si trasformò in una smorfia.
"Ad alcune puttane distratte succede."
Tutt'a un tratto lui sentì che non c'erano più parole. Questa donna non ne è degna, pensò. Non è un degno interlocutore per questa macabra conversazione. Non devo lasciarle credere che la rispetti in qualche modo, come un avversario al quale mostrare il collo.
E se la facesse franca? lo colpì il pensiero. Con la vita di cinque persone sulla coscienza. Compresa la mia.
Magari ce n'erano altre - in Inghilterra, per esempio, dove avevano trascorso alcuni anni - ma non voleva domandarglielo. Non voleva dire né sapere altro.
Mentre continuava a scavare, cercò comunque di valutare le probabilità che Elizabeth Nolan la passasse liscia. Si rese conto che la sua capacità analitica non era delle migliori, date le circostanze, ma gli sembrava che la donna avesse buone probabilità di farla franca.
Dannazione, pensò. Se queste fossero le mie memorie... che squallido finale. Il grande commissario mette la parola fine al suo unico caso irrisolto facendosi ammazzare da Lady Macbeth. Meno male che ho rinunciato alla scrittura. E che ho smesso di fare il poliziotto.
Ma qui non si trattava delle sue memorie o del suo lavoro, bensì della vita. Solo di questo.
Erich? mormorò una voce dentro di lui. Mi vedi ancora, figlio mio?
Non udì nessuna risposta, ma decise come sarebbe stata la scena finale. Non c'era motivo di indugiare oltre. Il tempo era finito. Sentì il sudore attaccaticcio sulla schiena.
Una possibilità su cento.
Non di più.
"Che cosa dovremmo fare?" disse Bausen. "Ora te lo dico. Dovrai emanare un comunicato di ricerca su Van Veeteren e sulla sua auto in ogni singolo dannato canale radiofonico e televisivo. Subito! Questa non è affatto una coincidenza, e se in quello che dice Rooth c'è qualcosa di vero, allora dobbiamo fare in fretta!"
Potrebbe essere troppo tardi, pensò, ma questo non lo disse.
"Alright" disse deKlerk. "Sì, questo avevo pensato anch'io di farlo. Ma per il resto, intendo?"
"Per il resto" borbottò Bausen "dobbiamo aiutare Rooth e Münster. Chiedere ai vicini se ieri hanno visto una Opel blu in Wackerstraat... e poi dobbiamo solo incrociare le dita. Vuoi che venga lì?"
DeKlerk esitò mezzo secondo.
"Sì, grazie" disse poi.
Münster e Rooth s'introdussero nella villa dei Nolan da una finestrella di ventilazione aperta sul retro.
Per alcuni minuti vagarono senza meta fra le stanze sperando di trovare una traccia che indicasse cosa fosse successo.
Sempre che fosse successo qualcosa.
"Che cosa stiamo cercando?" si domandò Münster.
"Non ne ho idea" rispose Rooth. "Ma se lo trovo, te lo dirò."
"Bene" disse Münster. "Ho sempre invidiato la tua capacità di fare chiarezza."
Rooth non rispose. Münster sospirò e si guardò intorno nell'ampio soggiorno. Non c'era traccia di Elizabeth Nolan, almeno questo era chiaro.
Ma nulla suggeriva dove fosse andata a finire. Poteva essere uscita per qualunque motivo, entrambe le auto, la Rover e la Hyundai, erano parcheggiate nel garage e nel vialetto, ma anche questo non significava nulla. C'erano treni e autobus, per esempio. E aerei. Dopo aver controllato per la terza volta che Elizabeth Nolan non era nel suo letto né era appesa nella cabina armadio, Münster avvertì un senso di impotenza.
"Così non otterremo nulla" spiegò a Rooth, che era appena uscito dal bagno per la seconda volta. "Stiamo girando a vuoto come due idioti. Qui non c'è niente."
Rooth scrollò le spalle impotente e guardò fuori della finestra verso la strada, dove Beate Moerk e l'aspirante Stiller stavano scendendo da un'auto.
"Arrivano i rinforzi" disse. "Adesso siamo in quattro. Ci prendiamo ognuno una casa del vicinato... sperando che non siano già usciti per andare al lavoro."
Münster guardò l'ora. Erano le sette e venti e la nausea non gli era passata. Anzi, era aumentata.
"Alright" disse. "Male non farà."
"Caffè?" chiese deKlerk.
Bausen scosse la testa e si sedette alla scrivania di fronte al suo successore di trent'anni più giovane.
"Il comunicato di ricerca è stato diramato" spiegò deKlerk. "Passerà in un notiziario televisivo e sarà trasmesso alla radio ogni mezz'ora fino alle..."
"Lo so" l'interruppe Bausen. "L'ho sentito in macchina venendo qui. Come vanno le cose in Wackerstraat?"
"Stanno interrogando i vicini. La signora Nolan non era in casa. Questo non significa necessariamente qualcosa, ma al momento non abbiamo altre piste da seguire."
Bausen annuì demoralizzato.
"È già sufficiente questo, temo" commentò. "Se Rooth ha ragione... se quella donna ha davvero simulato lo svenimento... Elizabeth Nolan è una persona pericolosa."
"È un dettaglio piuttosto insignificante" fece osservare deKlerk.
"È vero. Ma non ha nessuna importanza. Siamo di fronte a un aut aut."
"Aut aut?"
"Sì. Se Rooth ha visto giusto, non possiamo prenderla alla leggera. Lei ha finto di essere sotto shock. La spiegazione può essere solo una. La morte di suo marito non era una sorpresa... e non è difficile giungere alla conclusione."
"Vorresti dire che l'ha ucciso lei?" disse deKlerk.
"È un'ipotesi plausibile. Per il momento, almeno. Come pure il fatto che avesse buoni motivi per farlo... e così via. Comunque, tutto va ricondotto alla vicenda di quindici anni fa. Non chiedermi come. Ormai conosco Van Veeteren abbastanza bene, e non è certo il tipo da sparire nel nulla senza un motivo, porca miseria!"
"Che cosa credi real...?" domandò deKlerk, ma fu interrotto dallo squillo del telefono.
Afferrò il ricevitore e ascoltò. Poi mise la mano sul microfono e bisbigliò con aria teatrale a Bausen: "Donna con segnalazione. Relativamente al comunicato di ricerca".
Poi continuò ad ascoltare, a fare domande e a prendere appunti per qualche minuto. Bausen si abbandonò contro lo schienale della sedia osservandolo attentamente, e mentre capiva di cosa trattasse la conversazione, si rese conto che qualcosa dentro di lui si stava lentamente sciogliendo. Come se avesse trattenuto il fiato per tutta la mattina.
Finalmente, pensò. Finalmente qualcosa va per il verso giusto in questa stramaledetta storia.
Ma buon Dio, fa' che non...
Non formulò mai il pensiero per intero. Non ce n'era bisogno.
"Ho finito."
Lei si alzò dal tronco.
"Come fa a saperlo?"
Lui uscì dalla buca, stirò con prudenza i muscoli della schiena e afferrò l'impugnatura della vanga con entrambe le mani. Fece in modo che la lama non fosse conficcata nel terreno, ma poggiasse su una zolla erbosa.
"Non credo di voler stare sepolto più in profondità."
Lei esaminò la tomba come se volesse valutare qualcosa. Van Veeteren guardò l'ora. Mancavano cinque minuti alle sette. Il bosco adesso si era svegliato. Lo percepì in maniera distaccata e semicosciente, attraverso impressioni sensoriali così sottili da risultare indistinguibili. Piccoli suoni, piccoli odori, piccoli movimenti.
"Vicino al cielo" disse. "Preferisco stare disteso un po' in alto. Se fosse la tua, di tomba, scaverei più in profondità."
Lei non fece commenti. Strinse solo le labbra riducendo la bocca a una linea sottile e sollevò l'arma.
"Posso esprimere un ultimo desiderio?"
"Un ultimo desiderio? Sentiamo."
La donna fece una risatina nervosa. Lui si schiarì la gola e strinse più forte l'impugnatura della vanga. Tese i muscoli di gambe e braccia.
"Un uccello. Vorrei vedere un uccello, mentre muoio. Potresti aspettare che ne arrivi uno?"
Van Veeteren alzò gli occhi verso il cielo pallido sopra la linea degli alberi. Sentì la donna emettere un suono che era una via di mezzo fra uno sbuffo e un'altra, breve risata.
Poi anche lei rivolse lo sguardo verso l'alto.
Adesso, pensò.
Fece un breve passo avanti e roteò la vanga.
Udì lo sparo e nello stesso istante percepì il dolore.
Un dolore così intenso come mai avrebbe potuto immaginare. Mai.
Poi un bianco accecante.
Poi, il buio.