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"Comincio a capire che ci fosse una certa premeditazione."

 

Elizabeth Nolan fumava e sembrava non avesse ancora deciso se parlare con lui oppure no. Van Veeteren attese.

 

"Abbastanza" disse alla fine.

 

"Più di quanto era stato nel caso di Philomena McNaught?"

 

Lei si concedette un vago sorriso, e all'improvviso, attraverso questa crepa involontaria, lui la vide. Dentro e fuori... come se fino a quel momento fosse riuscita a mantenere il suo travestimento.

 

Lady Macbeth, pensò. Piacere di conoscerla.

 

"Scava" gli rammentò lei. "Se devo raccontarti com'è andata, pretendo che tu almeno nel frattempo lavori."

 

"Naturalmente."

 

Lui iniziò stabilendo i confini. Disegnò un rettangolo lungo e stretto sollevando le zolle con la punta della vanga, due metri per sessanta, grossomodo. Capì che ci sarebbe voluto un po' di tempo. Venti minuti, forse mezz'ora.

 

Un tempo prestabilito.

 

Se lei non avesse perso la pazienza e non gli avesse sparato prima.

 

"Mi dispiace, non volevo ucciderlo" disse lei. "La colpa è vostra... vostra e di quel maledetto detective. E lui era diventato un rammollito."

 

Aha? pensò lui. Sente il bisogno di spiegare.

 

"Rammollito? Hennan?"

 

"Sì. Col passare degli anni."

 

Lui rifletté.

 

"Gli uomini diventano un po' più teneri" disse. "Anche certe donne, credo. Ma se c'è una delle tue vittime di cui non dovresti dispiacerti, è tuo marito, non credi?"

 

Lei lo fissò con un'espressione che Van Veeteren non riuscì a interpretare.

 

Indifferenza? Un generico disprezzo per gli uomini?

 

Oppure stava pensando di premere il grilletto? Almeno ebbe questa impressione. Adesso, pensò. È giunta l'ora.

 

Ma non accadde nulla.

 

"Non metterti in testa strane idee" riprese lei. "Non metterti in testa proprio niente, dannazione. Se fai storie ti ammazzo senza pensarci due volte."

 

Van Veeteren cercò di immaginare che cosa avrebbe provato quando la pallottola gli fosse penetrata in corpo.

 

Dolore. Un breve dolore incandescente, ma dove? Dove avrebbe colpito, come si sarebbe propagato? Avrebbe perso conoscenza prima di morire?

 

Sarebbe finito tutto nel giro di un secondo? O avrebbe sofferto più a lungo?

 

Scacciò il pensiero. Non aveva nessun motivo di tornarci su.

 

"Linden?" insistette. "Come andò veramente?"

 

Lei lasciò cadere il mozzicone e lo schiacciò nel terreno soffice. Cambiò posizione sul tronco. Se riuscissi ad avvicinarmi abbastanza, pensò lui, potrei tentare di colpirla con la vanga.

 

Una possibilità su cento, ma non posso sperare di meglio.

 

"Era una prostituta" disse lei. "Si chiamava Betty Fremdel, la trovammo ad Amburgo."

 

"Amburgo?"

 

"Sì. Era indispensabile andare all'estero. Non potevamo rischiare che la polizia scoprisse qualche collegamento. Trascorremmo alcune settimane là prima di trovarla. Ma qualcuna ce n'è, intorno alla stazione centrale, anche qualcuna che non si fa di eroina... almeno a quei tempi se ne trovavano ancora. Dopo averla scelta, fu tutto molto semplice."

 

"In che modo l'attiraste?"

 

"Un film. Porno, naturalmente. Nessun dettaglio, ma ben pagato... molto ben pagato. E discrezione, s'intende: lei non doveva dire a nessuno di che cosa si trattasse o dove sarebbe andata... del resto non lo sapeva nemmeno. Solo che sarebbe stata via qualche giorno per le riprese."

 

Fece una pausa e parve riflettere.

 

"Andai a prenderla a Oostwerdingen e la portai a Linden. Indossavo una parrucca bionda, lei non si rese mai conto di quanto ci somigliassimo... Mi ero anche premurata di tingermi i capelli della sua stessa orrenda tonalità di rosso, avevo perfino copiato il suo tatuaggio sul braccio. Fu tutto molto semplice. E in fondo avevamo aspettato un mese prima di inscenare il tutto."

 

Tacque. Van Veeteren rifletté su quanto la donna aveva rivelato, ma non gli venne nessun commento.

 

"La lasciammo girare qualche ora per casa bevendo drink e seminando impronte digitali. Poi salimmo sul trampolino, dove avremmo scattato qualche ripresa... avevamo sistemato anche una videocamera lassù. Lei si spogliò e si infilò il costume da bagno. Io mi misi dietro la macchina e finsi di filmare e, mentre lei assumeva le sue pose volgari, la spinsi giù. Poi andai di sotto a controllare che fosse morta, mi allontanai di casa e mi nascosi. Ovviamente nessuno dubitò che fossi io quella che si era schiantata in fondo alla piscina. O sbaglio?"

 

Van Veeteren raddrizzò la schiena.

 

Porca miseria, pensò. Era tutto così semplice. Così studiatamente banale. Era davvero possibile?

 

"O sbaglio?" ripeté lei.

 

Lui si rese conto che era possibile. Avrebbero potuto chiedere il profilo dentale dagli Stati Uniti, ma non l'avevano fatto. No, Elizabeth Nolan aveva ragione, nessuno aveva dubitato che in fondo a quella piscina ci fosse Barbara Hennan.

 

E per questo lui doveva morire?

 

Dopo quindici anni a lambiccarsi il cervello, aveva la soluzione del caso G. Ottenuta dall'assassino in persona, e il costo era la sua stessa vita.

 

C'era una sorta di giustizia, in tutto questo.

 

Una logica, almeno.

 

"L'identificazione?" disse comunque, più che altro per tenere viva la conversazione.

 

La sua ultima conversazione.

 

"Sono sicura che te lo ricordi" disse lei. "Io non ero presente, è ovvio, ma secondo mio marito andò tutto secondo i piani. Poiché lui attirò subito su di sé tutti i sospetti, nessuno si preoccupò dell'identità del cadavere. Verlangen si bevve tutto senza problemi. Avevamo immaginato che gli sarebbe stato chiesto un aiuto anche per l'identificazione, ma nemmeno quello fu necessario. Bastarono Jaan e quell'orrenda vicina di casa."

 

"Sì, me lo ricordo" riconobbe Van Veeteren. "La signora Trotta. Ma Verlangen ti identificò quindici anni più tardi."

 

Lei gli fece segno di continuare a scavare, e lui impugnò nuovamente la vanga. Aveva tolto lo strato superficiale. Aveva scavato di qualche decimetro e non aveva ancora incontrato né radici né grosse pietre. Si vedrà che è una tomba, pensò. Magari un giorno mi troveranno e mi porteranno altrove.

 

"Sì, lo fece" disse lei. "Quell'idiota. Gli è costata la vita, e così ad altre due persone... e per cosa, poi? Quella troia non sarebbe mai tornata in vita. Riesci a vedere un senso, nel suo riprendere a indagare?"

 

Van Veeteren ricordò fugacemente una conversazione con Bausen. Durante il caso del Tagliateste, nove anni prima.

 

Su certe equazioni che non dovremmo risolvere.

 

Partite a scacchi che non dovremmo portare a termine.

 

Bausen era del parere che ci fossero molti casi del genere, e che avremmo dovuto accettarlo. Van Veeteren invece era più dubbioso.

 

E adesso lui era lì con la soluzione del caso (equazione? partita a scacchi?) G, e la risposta implicava la sua morte. Come era stato per Verlangen e per G.

 

Certo che c'era una logica in tutto questo. Una necessità in un disegno diabolico.

 

O era una malvagità piuttosto banale? Perché sopravvalutarla?

 

"Io lo odiavo" disse Van Veeteren. "Tuo marito. Saprai che aveva stuprato la sua sorellina per cinque anni. Uccise anche un ragazzino quando andavamo a scuola."

 

Per qualche motivo, gli parve anche questa una necessità. Poterne parlare.

 

Lei non reagì. Van Veeteren non riuscì a leggere nulla sul suo viso. E si ricordò che era con Lady Macbeth che stava conversando. Forse aveva saputo della sorellina, forse no.

 

"Mio marito non ti odiava" disse dopo un istante di silenzio. "Provava soltanto disprezzo, esattamente come me. Non pensare di ottenere qualcosa da tutte queste chiacchiere."

 

"Hai ucciso anche Philomena McNaught? Oppure l'ha uccisa lui?"

 

D'un tratto lei assunse un'espressione sarcastica. Sarcastica come quella di una pessima attrice a un'audizione di second'ordine.

 

"Insieme" disse. "Lo facemmo insieme. Era una donna orribile. Scava, sono stufa di aspettare."

 

Lui rifletté un istante. Poi obbedì.

 

Münster frenò, spense il motore e recitò in silenzio una preghiera. Lanciò un'occhiata a Rooth, che era rimasto per lo più seduto a mordicchiarsi le unghie dicendogli di andare più veloce durante i sei minuti di tragitto dal See Warf a Wackerstraat.

 

Rooth si tolse le dita dalla bocca e aprì la portiera.

 

"Andiamo dritto al sodo, adesso" disse. "Vieni, su, dannazione!"

 

Percorsero affiancati il vialetto di beole che conduceva alla porta d'ingresso. Münster non notò alcun segno di vita, solo un vago senso di nausea che gli pulsava dentro. Ma niente di concreto, se non un pallido mattino di fine estate, grigio, tiepido e senza vento.

 

Un mattino come qualunque altro. Suppose che in quel quartiere elegante la gente si stesse svegliando. Erano quasi le sette; qualcuno era già sotto la doccia, mentre qualcun altro era seduto al tavolo della colazione con il giornale aperto davanti e cercava di trovare l'energia per affrontare una nuova giornata. Ancora una.

 

Come stessero le cose in casa dei Nolan era più difficile immaginarlo, ma Rooth premette il campanello a lungo.

 

Non accadde nulla. Münster e Rooth si fissarono a vicenda, poi guardarono il legno tinto di scuro della porta.

 

Rooth suonò di nuovo.

 

Aspettò ancora qualche attimo pestando nervosamente i piedi.

 

"Niente da fare" disse Münster. "O non è in casa, oppure non vuole riceverci. Che cosa facciamo?"

 

Rooth stava per suonare una terza volta, ma rinunciò.

 

"Non lo so" disse. "Tu che cosa dici?"

 

Münster era così teso che non riuscì nemmeno a stringersi nelle spalle.

 

"Potremmo chiedere ai vicini" propose. "Magari hanno visto qualcosa."

 

"Che cosa dovrebbero aver visto?"

 

"Il commissario... o la sua auto, almeno."

 

Rooth parve rassegnato.

 

"Sì, hai ragione. Ma non possiamo andare in giro a bussare a tutti. Dovremmo entrare."

 

"Entrare?" ripeté Münster e provò ad abbassare con cautela la maniglia. "È chiuso a chiave."

 

"Non intendevo necessariamente dalla porta" disse Rooth.

 

"Ah, sì?" disse Münster, poi prese il telefono.

 

"Che fai?" chiese Rooth.

 

"Chiamo deKlerk per chiedergli un parere."

 

Rooth si grattò la testa mentre Münster faceva il numero.

 

"Informalo e basta" disse proprio mentre deKlerk rispondeva. "È sufficiente... spiega che stiamo entrando. Non dargli la possibilità di prendere una decisione, ci farà solo perdere tempo."

 

Münster annuì. Rooth cominciò a girare intorno alla casa per cercare altre vie d'ingresso.