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Il corpo fu ritrovato sabato 24 agosto da una cercatrice di funghi.
Era una bella giornata di tarda estate. La settantacinquenne Jadwiga Tiller, in compagnia del marito Adrian, aveva battuto i boschi di latifoglie e conifere fra i villaggi di Hildeshejm e Wilgersee, qualche chilometro a est di Kaalbringen. Avevano parcheggiato l'auto al solito posto accanto a una catasta di legname lungo una delle tante stradine sterrate che scendevano tortuose verso il mare. In poche ore avevano riempito quasi due sacchetti di boleti. All'improvviso, con l'aiuto del suo ottimo fiuto ("I funghi si trovano col naso!" diceva sempre alle amiche Vera Felder e Grete Lauderwegs. "Potrei trovare un boleto giallo anche se fossi cieca!") fu attirata in un piccolo avvallamento di giovani betulle. Dopo aver perlustrato il tappeto di foglie secche e vegetazione marcia, non trovò nulla di commestibile, ma scoprì un uomo.
O meglio, il cadavere di un uomo. Un corpo in avanzato stato di putrefazione, poco più di uno scheletro coperto da brandelli di abiti. Per qualche confuso secondo, Jadwiga Tiller si domandò se non avesse seguito proprio quell'odore. Poi fu colta da un capogiro e dovette sedersi su un tronco caduto per riprendersi.
Le occorse qualche secondo. Dopo di che unì le mani a coppa intorno alla bocca e gridò: "Kolihoo! Kolihoo!"
Da trent'anni era il segnale convenuto fra i coniugi quando andavano a funghi. La donna sentì quasi subito il "Kolihoo!" di Adrian a poca distanza.
"Kolihoo! Kolihoo!" gridò nuovamente. "Vieni qui subito! Ho trovato un cadavere!"
Ci fu uno scricchiolio fra i cespugli e Adrian Tiller comparve nell'avvallamento. Seguì la direzione in cui puntava l'indice tremolante di Jadwiga e vide il corpo. Anche l'uomo, benché fosse un militare in pensione e avesse visto ogni genere di orrori, fu colpito da una vertigine e dovette sedersi. Si accasciò sul tronco accanto alla moglie, si tolse il berretto a visiera scozzese e si asciugò la fronte con la manica della camicia.
"Dobbiamo chiamare la polizia" disse. "Sono le tre e trentacinque."
"Lo so che dobbiamo chiamare la polizia" rispose lei. "Ma perché mi stai dicendo che ore sono?"
"Perché è importante sapere gli orari precisi, quando si tratta di indagini di polizia" spiegò Adrian Tiller.
Su questo punto l'ispettore Beate Moerk non la pensava esattamente come il signor Tiller, quando quella sera, nel suo ufficio a Kaalbringen, cercava di fare il punto su ciò che era emerso durante le prime, frenetiche ore.
Il cadavere era in avanzato stato di decomposizione.
In ogni caso, si trattava di un uomo. Età presunta, fra i sessanta e i settant'anni. Altezza un metro e ottanta. Jeans, scarpe da vela consunte, camicia di cotone e giacca di denim blu, tutti alquanto malridotti. Secondo una valutazione preliminare del medico legale, doveva essere morto fra i quattro e i sei mesi prima, e la causa del decesso era quasi certamente un colpo di pistola alla testa. Foro d'ingresso dalla tempia sinistra, foro d'uscita dalla tempia destra. Arma di grosso calibro, forse una Berenger, o una Pinchmann; il colpo era stato esploso da distanza ravvicinata. La pallottola - o il bossolo - erano stati rinvenuti nelle vicinanze.
Sul cadavere non c'erano documenti d'identità o effetti personali. A parte un pacchetto di Dentro Frukt con due chewing-gum ancora intatti nella tasca destra dei jeans. Lo stato del cadavere non permetteva di rilevare le impronte digitali, ma c'era la possibilità di stabilire il profilo dentale. Il corpo era già stato inviato all'Istituto di medicina legale di Maardam.
Sul luogo del ritrovamento o nelle immediate vicinanze non era stato trovato nulla di interessante. Non era stata notata neppure alcuna traccia di lotta; a una trentina di metri dall'avvallamento passava una strada facilmente percorribile; si poteva presumere che la vittima fosse stata portata nel bosco a bordo di un'automobile. Viva o morta.
Nulla faceva escludere l'ipotesi del suicidio, ma sul luogo non era stata rinvenuta l'arma e il cadavere era stato coperto da foglie e rami secchi. Questo faceva pensare che qualcuno avesse cercato di nasconderlo.
L'ispettore Moerk era sicura che si trattasse di omicidio. Lo aveva spiegato in poche parole al telefono al commissario capo deKlerk, che quel sabato si trovava ad Aarlach per motivi di famiglia, ma che ora - qualche minuto dopo le nove - era di ritorno (in direzione esattamente opposta rispetto al cadavere, che per forza avrebbe incrociato in qualche punto imprecisato del percorso, si rese conto Beate Moerk sorridendo vagamente dentro di sé). Sarebbe arrivato alla stazione di polizia entro le dieci e mezzo.
Così aveva promesso, almeno; a Kaalbringen non capitava tutti i giorni un'indagine per omicidio, e deKlerk era il capo.
Beate Moerk bevve l'ultimo sorso di tè e ripose i propri appunti in una cartelletta gialla. Si abbandonò contro lo schienale della poltrona e guardò fuori della finestra spalancata sulla tiepida oscurità di quella sera d'agosto.
Omicidio? si chiese. Poi si rese conto di sapere chi poteva essere il morto.
Naturalmente avrebbe già dovuto pensarci, ma erano stati un pomeriggio e una serata stressanti. L'agente Bang le aveva telefonato dalla stazione di polizia qualche minuto dopo le quattro e da allora era scattata la mobilitazione. Il caso, almeno per il momento, era sul tavolo della polizia di Kaalbringen. I tecnici e il team medico legale, invece, sarebbero arrivati da Oostwerdingen.
Ore febbrili senza molto tempo per fermarsi a pensare, dunque. Ascoltare l'anziana coppia di cercatori di funghi che aveva rinvenuto il corpo. Discutere a lungo con il medico che avrebbe eseguito l'autopsia, Meegerwijk, e con il sovrintendente Struenlee, che guidava il gruppo incaricato di esaminare la scena del crimine. Rispondere bruscamente a un paio di giornalisti che per vie imperscrutabili (Bang?) avevano saputo del caso... telefonate e fax a destra e sinistra, e solo adesso - alle nove di sera - era finalmente riuscita a sedersi un momento a riflettere.
Ma bastò. Tutt'a un tratto sapeva chi aveva ricevuto una pallottola in testa... "Sapeva" forse era eccessivo, ma se qualcuno le avesse proposto di scommettere su quel particolare, si sarebbe arrischiata a puntare una bella somma.
L'investigatore privato... come diamine si chiamava?
Le occorse un momento per ritrovare il nome in mezzo a tutti quelli archiviati, ma alla fine ci riuscì.
Verlangen.
Maarten Baudewijn Verlangen, per la precisione, e in circostanze simili la precisione era fondamentale.
L'ex investigatore privato scomparso, che l'ex commissario dell'anticrimine Van Veeteren era venuto a cercare proprio lì ai primi di maggio.
E che la polizia di Kaalbringen non era riuscita a ritrovare. Semplicemente perché non c'erano tracce.
Beate Moerk annuì fra sé con determinazione. Prese il telefono e chiamò Franek a casa. Per un attimo, quando udì la sua voce, avvertì una fiammata di nostalgia e desiderio.
Glielo disse, ma non c'era nessuna fretta, assicurò lui. I bambini dormivano, lui stava dipingendo ed era disposto ad aspettarla con una bottiglia di vino rosso e a braccia aperte anche dopo mezzanotte, se fosse stato necessario. Come stava andando con il cadavere? s'informò.
Lei gli disse che pensava di sapere chi era e che doveva rimanere lì per un paio di telefonate - e per fare rapporto a deKlerk, quando si fosse degnato di comparire. Ma che, una volta sbrigate queste incombenze, sarebbe corsa a casa a spegnere la luce nell'atelier.
Lui rise e le disse che era la benvenuta.
Beate rifletté un paio di minuti prima di prendere di nuovo il telefono. Non era una decisione facile, poi tagliò la testa al toro e fece il numero di Bausen.
Poiché supponeva che la libreria antiquaria di Maardam non fosse aperta alle nove e mezzo del sabato sera.
E poiché Van Veeteren non le aveva lasciato il suo numero di casa.
Van Veeteren ricevette la telefonata di Bausen mezz'ora dopo, e dopo aver assimilato le prime informazioni sommarie, fu ancora più sicuro dell'ispettore Moerk che si trattasse di Maarten Verlangen.
Per il momento non c'erano argomenti certi a sostegno di tale ipotesi, ma qualche notte prima Van Veeteren aveva sognato Jaan G. Hennan nel ruolo singolare di spietato giudice in una specie di tribunale di guerra. Inoltre aveva risolto il problema di scacchi dell'Allgemejne di quel giorno in tre mosse in meno di mezzo minuto. Quasi un record.
C'era qualcosa nell'aria, in altre parole, e dopo la telefonata di Bausen capì di cosa si trattava.
Era arrivato il momento di aggiungere un capitolo nella storia di G.
Ma questo dovrà essere l'ultimo, per la miseria, pensò dopo aver riattaccato ed essere tornato a sedersi sul divano insieme a Ulrike a guardare un lungometraggio finlandese in tv. Devo liberarmi di questa faccenda una volta per tutte, e alla svelta.
Ogni cosa a suo tempo, certo, ma a tutto c'era un limite.
"Chi era?" domandò Ulrike, sollevando il gatto Stravinsky e facendogli posto sotto il plaid.
"Bausen" disse Van Veeteren. "Forse hanno trovato Verlangen."
Ulrike afferrò il telecomando e tolse l'audio.
"L'investigatore privato?"
"Sì."
"Morto?"
"Sì. Da aprile, probabilmente. Era come credevo."
"Come?"
"Eh?"
"Come è morto?"
"Gli hanno sparato alla testa."
"Che diam...?"
"Hai capito bene."
"Gesù santo. A Kaalbringen?"
"Nelle immediate vicinanze. Anche se non l'hanno ancora identificato."
"Però credono che sia lui?"
"È evidente. La conferma arriverà domani."
Ulrike annuì. Sollevò di nuovo il gatto e lo grattò distrattamente sulla gola, mentre fissava le immagini mute sullo schermo. Trascorse mezzo minuto.
"Che cosa pensi di...?"
"Vedremo" disse Van Veeteren. "Comunque sia, è una faccenda che riguarda la polizia."
"Senza dubbio."
Lui rimase seduto qualche istante a cercare le parole giuste.
"Chiunque può dare la caccia alle ombre" constatò poi, "ma omicidi così evidenti non possono finire sul tavolo di un libraio antiquario."
"Naturalmente no" concordò Ulrike. "Dove l'avevo già sentita questa?"