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L'aula del tribunale di Linden poteva ospitare una cinquantina di spettatori, compresi i rappresentanti della stampa. Quando le porte furono chiuse in vista dell'udienza preliminare, almeno un centinaio di persone furono costrette a rimanere fuori dall'aula.

 

Vista l'attenzione suscitata dal caso di Barbara Hennan, era stata presa in considerazione la possibilità di spostare il processo a Maardam, ma il giudice Hart si era opposto fermamente. Non si trattava certo di una partita di calcio, e il corso della giustizia non poteva dipendere da fattori trascurabili come l'affluenza di pubblico e l'attenzione dei media.

 

Il commissario aveva descritto Hart come un rospo indolente ma intelligentissimo. Osservando la sua figura possente, Münster trovò che fosse una descrizione piuttosto calzante. Quel mattino aveva l'aria di essersi alzato molto di malavoglia e, se non aveva dormito nella sua toga, negli ultimi sei mesi non l'aveva mai fatta stirare. Esordì schiarendosi energicamente la gola e cambiando gli occhiali tre volte. Poi pestò il martelletto sul codice sollevando una nuvoletta di polvere, dichiarò aperta la seduta e diede la parola al procuratore.

 

Il procuratore Silwerstein si alzò e presentò il caso. In meno di quarantacinque minuti spiegò la sua intenzione di dimostrare che l'incriminato, Jaan G. Hennan, aveva ucciso - o fatto uccidere - con premeditazione e freddo calcolo sua moglie, Barbara Clarissa Hennan, nata Delgado, giovedì 5 giugno, spingendola - o facendola spingere - nella piscina vuota dell'abitazione dove la coppia viveva in affitto, Villa Zefyr, al numero 4 di Kammerweg a Linden. L'accusa avrebbe dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, la colpevolezza di Hennan, pur in assenza di elementi probatori decisivi.

 

Il procuratore pensava invece di basare il processo su indizi molto chiari che avrebbero fugato qualunque dubbio - soprattutto dei cinque membri della giuria - su chi avesse organizzato, messo in scena e commesso l'omicidio. Allo stesso modo l'accusa avrebbe chiarito il movente del delitto e la sua relazione con quanto accaduto negli Stati Uniti: per ben due volte nell'arco di cinque anni, la moglie dell'accusato era deceduta in circostanze misteriose (a questo punto qualcuno nel pubblico aveva reagito con un cauto ridacchiare), e anche stavolta Jaan G. Hennan avrebbe intascato un'assicurazione cospicua. Un milione e duecentomila corone.

 

Una volta chiarito il quadro della situazione, il procuratore era certo che nessuno fra i presenti in aula avrebbe dubitato della colpevolezza di Jaan G. Hennan per la morte non di una moglie, ma di due. L'accusato andava condannato a una pena giusta e duratura.

 

Durante il lungo intervento del procuratore, Münster osservò i cinque giurati - tre donne e due uomini (cosa che forse, aveva spiegato il commissario, andava a svantaggio di Hennan, poiché le donne, per solidarietà femminile, erano meno inclini a mettere in libertà un uxoricida rispetto agli uomini) - e cercò di dedurre, dalla mimica e dalle reazioni, che opinione si fossero fatti fino a quel momento.

 

Ovviamente sarebbe stato impossibile stabilirlo. Quando Silwerstein ebbe concluso, uno dei due uomini della giuria - un signore brizzolato sui sessantacinque anni, che a Münster ricordava vagamente Jean Gabin - tirò fuori un fazzoletto colorato e si soffiò il naso con una strombazzata sommessa ma sonora. Secondo Münster, non era un buon segno.

 

Jaan G. Hennan rimase quasi sempre seduto a capo chino e con le mani compostamente intrecciate davanti a sé sul tavolo. Indossava un completo grigio con un nastro nero sul risvolto della giacca. Camicia bianca e cravatta nera. Non era difficile capire che il suo intento era quello di apparire in lutto.

 

Non era nemmeno difficile capire che ci stava riuscendo piuttosto bene.

 

Dopo la pubblica accusa, fu la volta dell'avvocato difensore.

 

Era una donna, cosa che forse riportava in equilibrio la posizione di Hennan. Se una donna era disposta a difendere un presunto uxoricida, aveva ammesso il commissario con un sospiro preoccupato, era possibile che perfino uno come Hennan fosse innocente.

 

L'avvocato Van Molde non accennò mai alla possibilità che il procuratore avesse o meno le chiappe scoperte, ma non risparmiò comunque le sue cartucce. Per circa mezz'ora cercò di mostrare come la cosiddetta accusa non fosse altro che un castello di carte, senza una sola carta vincente. Descrisse il suo cliente, l'accusato Jaan G. Hennan, come un uomo probo e onesto, colpito per la seconda volta da una perdita enorme. Invece di stare sul banco degli imputati a difendere il proprio onore, avrebbe dovuto essere messo subito in libertà per poter elaborare il lutto. Aveva perso la moglie nel modo più tragico, era quasi uno scandalo che - senza neanche lo straccio di una prova - fosse stato citato in giudizio, e alla tetra luce di tutto ciò solo un provvedimento poteva in qualche misura ristabilire la fiducia nei confronti della giustizia: che l'accusa fosse ritirata e il suo assistito rilasciato.

 

Münster non riuscì a decifrare con chiarezza la reazione dei giurati a tali richieste, e il giudice Hart non sospese il processo. Invece indossò un altro paio di occhiali, sbadigliò e dichiarò che era ora di andare a pranzo. L'udienza sarebbe ripresa alle due.

 

Nel corso del pomeriggio, i commissari Sachs e Van Veeteren trascorsero ognuno mezz'ora circa sul banco dei testimoni. Sachs riferì dettagliatamente del suo intervento e dell'aspirante Wagner la notte in cui Barbara Hennan era stata trovata morta; Van Veeteren parlò del ruolo ambiguo dell'investigatore privato Verlangen, del passato di Hennan, della storia di Philomena McNaught, e della faccenda dell'assicurazione. Münster si accorse che il commissario non era esattamente a suo agio, né con le risposte palesemente pilotate del procuratore, né con il tono piuttosto arrogante dell'avvocato difensore, il quale definì dilettantesco il modo in cui la polizia aveva trattato la faccenda.

 

"Perché non avete archiviato il caso, quando non siete riusciti a trovare uno straccio di prova?" domandò.

 

"Perché pensiamo che il compito della polizia giudiziaria sia arrestare gli assassini" rispose Van Veeteren. "A differenza di lei, avvocato Van Molde, che preferisce lasciarli in libertà."

 

Poi venne il turno di Meusse. Questi era, se possibile, ancora meno entusiasta del commissario di doversi sedere al banco dei testimoni, anche se, del resto, Münster non riusciva a ricordare di aver mai visto l'introverso medico legale entusiasmarsi per qualcosa. Meusse riferì con grande chiarezza della situazione nient'affatto chiara. Nulla indicava che Barbara Hennan fosse stata spinta giù dal trampolino, né che fosse stata prima tramortita. D'altro lato, nulla contraddiceva né la prima né la seconda supposizione. Le lesioni alla testa, al collo, alla nuca e alla colonna vertebrale erano estese, spiegò Meusse, ma una leggera spinta alla schiena di solito non lascia tracce.

 

Né l'accusa né la difesa avevano molte domande per il medico legale, e Meusse lasciò il banco dei testimoni dopo meno di un quarto d'ora. Benché fossero solo le tre e mezzo, il giudice Hart aggiornò la seduta all'indomani. Augurò ai presenti una piacevole serata, intimò ai membri della giuria di non discutere del caso, né fra di loro né con altri, e disse che si aspettava che tutti si ritrovassero nuovamente lì alle dieci del mattino dopo.

 

"Forse il procuratore avrebbe dovuto fare qualcosa di più" disse Münster mentre rientravano a Maardam in auto.

 

"Silwerstein è un idiota" sottolineò Reinhart dal sedile posteriore.

 

"Possibilissimo" disse il commissario. "Ma non possiamo farci nulla. In ogni caso, non saranno le schermaglie di oggi a determinare il verdetto."

 

"Me lo auguro" commentò Reinhart. "Intendi dire che tutto dipende da Hennan? Oggi sembrava distrutto, quel verme. Come se fosse ancora al funerale... o nella sala d'aspetto del dentista."

 

Van Veeteren sospirò.

 

"Be', che cosa ti aspettavi? Se oltre a tutto il resto fosse anche stupido, sarebbe dietro le sbarre da un pezzo."

 

Reinhart rifletté un istante.

 

"Che cosa mi aspettavo?" disse. "Ecco, mi aspettavo di trovare il complice, l'esecutore materiale dell'omicidio. In fondo ci abbiamo lavorato per un mese, ma senza alcun risultato. Voi cosa ne pensate?"

 

Van Veeteren e Münster non avevano nulla da obiettare.

 

"Non dimentichiamo Kooperdijk e Verlangen" intervenne Münster.

 

"Certamente" borbottò il commissario. "I testimoni della pubblica accusa. Già, speriamo solo che non si trasformino in strumenti della difesa."

 

"L'avvocato non ha convocato nemmeno un testimone?" domandò Münster.

 

"No" disse Van Veeteren. "Spero che Silwerstein sappia approfittarne. Il fatto che l'avvocato non sia riuscito a trovare neppure un testimone che parli bene di Hennan... ecco, non è cosa da poco."

 

"Non è necessario presentare testimoni di questo tipo" disse Reinhart. "Quando l'accusato non ha un buon carattere, può essere addirittura controproducente."

 

"È proprio quello che intendo" disse Van Veeteren. "Al diavolo, andiamo all'Adenaar's. Avete tempo per una birra?"

 

Münster guardò l'ora.

 

"Mmm... una piccola, al massimo" rispose. "È un po' tardi."

 

"Bisogna sapersi accontentare delle piccole cose" aggiunse Reinhart. "Quando quelle importanti vanno a puttane. Va bene, andiamo all'Adenaar's, almeno la smetteremo di rimuginare su questa storia."