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Quando premetti il pulsante la portiera del passeggero della Polo si aprì. L’asciugamano non era stato lasciato lì per caso. Sotto c’erano le chiavi dell’auto e il cd di Pitbull. E un cellulare Nokia modello base.

Lo accesi. Una sim prepagata, cinque tacche di segnale e la batteria carica. Nessun numero in memoria, ma un messaggio vocale da un numero anonimo. «Ci metteremo in contatto alle ventuno in punto.»

Voce roca. Accento pesante. Europa orientale.

L’avevo già sentita. «Che si fotta. Ha avuto quel che si meritava.» Hesco era a non più di sei metri da me e anche in quel caso stava parlando al cellulare.

Le ventuno avevano senso. Poco prima che fosse notte.

Mi restavano due ore.

Infilai in tasca il Nokia e controllai l’interno della Polo, il cassetto portaoggetti, i vani delle portiere, il bagagliaio, tutto quanto, per essere certo che non avessimo lasciato nulla. Adesso che la Polo era stata individuata, l’avrei abbandonata qui. Era soltanto un ostacolo.

La guida della Svizzera era l’unica cosa che mi serviva. Ma presi anche l’asciugamano e il cd di Pitbull. Lasciai le chiavi inserite e mi augurai che qualcuno la rubasse prima che la Gestapo dei parcheggi la caricasse su un camion a pianale basso. Avrebbe creato un po’ di confusione in più. E se i cattivi ci avevano attaccato sotto un rilevatore, tanto meglio.

Tornato al furgone, aprii la guida, la posai sul sedile del passeggero e mi concentrai.

Avevano il bambino.

L’avrebbero usato per arrivare a me.

Raggiunto lo scopo, ci avrebbero uccisi entrambi.

Quindi non avrei atteso la loro telefonata comodamente seduto con un bicchiere di Starbucks in mano. E non avrei fatto una passeggiata attorno alla cattedrale con la speranza che Natasha stesse giocando alla famigliola felice mentre Stefan le raccontava tutto quello che sapeva sugli ERV.

Dovevo colpire per primo.

Il guardiano del cash-and-carry picchiettò sull’orologio mentre varcavo la porta girevole. Comunicai a gesti che mi bastavano cinque minuti. Mi sorrise e sollevò tre dita. Se non altro non erano soltanto due.

Quando ancora pensavo di rapire Lyubova per portarla in un posto tranquillo mi ero procurato tutto l’occorrente al negozio del Fai da Te lì a fianco. Ora però mi serviva qualcosa di più robusto. Terminai l’ultima sessione di shopping compulsivo della giornata alla velocità della luce. Millecinquecento metri di pellicola resistente con il relativo supporto da muro in metallo, una tazza grande e graziosa e ventiquattro bottiglie da venti centilitri di Cherry Fanta in due vassoi sigillati con pellicola termoretraibile.

Non avevo optato per le lattine. A me serviva il massimo della precisione, e le bottiglie hanno un bel collo sottile. E non avevo preso neppure la versione zuckerfrei: volevo che la roba fosse il più possibile appiccicosa e frizzante.

Per Lyubova, avevo ipotizzato di riuscire a farla parlare nel mio furgone frigorifero, aprendo il coltello a serramanico e minacciandola di farle qualche ritocco extra di chirurgia estetica. Con Hesco sarebbe servito un trattamento diverso. Prima di tutto dovevo catturarlo. Poi dovevo costringerlo a dirmi dove tenevano il figlio di Frank. E cosa cazzo stavano combinando lui e Dijani.

Accanto alla cassa, per celebrare la stagione del barbecue, avevano una rastrelliera di cavatappi avvolti nella plastica a bolle, di quelli che si fissano alla parete vicino al frigorifero, in offerta speciale. Era esattamente quello che cercavo. Ne buttai uno nel carrello, e acquistai anche una bomboletta di lubrificante WD-40.

Misi tutto quanto nella parte anteriore del piano di carico non più refrigerato dell’Expert, poi salii anche io. Afferrai di nuovo il cacciavite. Montai il supporto per la pellicola e il cavatappi in basso sulla partizione che separava il retro dalla cabina, controllai due volte che fossero facilmente raggiungibili con la mano destra mentre ero accucciato. Sotto ci misi il solvente e la Cherry Fanta. Dovevo riuscire a prendere le bottiglie senza sforzo.

Chiusi con il lucchetto tutte le altre cose che avevo comprato, tranne gli stracci e la tazza, nel cassone degli attrezzi insieme al mio zaino. Volevo che gli unici oggetti appuntiti fossero quelli che tenevo sotto controllo. In ultimo spruzzai una dose gigante di WD-40 sulla maniglia, sui rulli, sui cuscinetti a sfera della porta scorrevole.

Prima di mettere in moto controllai il Nokia, anche se non c’era motivo di trovare altri messaggi. Mancavano quarantacinque minuti alla scadenza.

Ne avrei impiegati venti per raggiungere la zona degli uffici della Adler, sempre che il traffico non fosse peggio di quello che avevo incontrato mentre effettuavo la ricognizione.

Ma comunque i tempi erano piuttosto stretti.

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